Sulla scia di… santa Francesca Saverio Cabrini (prima parte)

 

Questa foto e le altre sono opera mia

Non avevo proprio previsto di poter visitare la casa madre delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù fondate da santa Francesca Saverio Cabrini. O meglio, quando mi capitava più spesso di andare a trovare alcune di loro nella loro scuola di Milano, visto che abitavo nelle vicinanze, molto spesso venivo invitata ad andarci. 

Tuttavia, all’epoca non ero ancora così pratica di treni regionali come adesso, per cui speravo in un pellegrinaggio organizzato, un giorno. Un invito davvero inatteso da una delle mie più assidue lettrici, però, ha finalmente concretizzato questo vago pensiero.

Visto che lei, recentemente, ha compiuto un viaggio negli Stati Uniti d’America con i suoi familiari, e che spesso si è imbattuta in raffigurazioni di quella Santa, ma non è riuscita a visitare il santuario dov’è venerata la maggior parte dei resti mortali, ha ipotizzato di poter vedere i luoghi dove la sua storia di missione è cominciata, appena tornata a casa a settembre.

Tuttavia, la casa natale a Sant’Angelo Lodigiano era chiusa per almeno una settimana, quindi ha optato per la primissima casa delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, a Codogno. Ha telefonato per prendere accordi così da avere una visita guidata, quindi ha esteso la proposta a me, trovandomi davvero felice.

Così, alle 9.20 di giovedì 31 agosto, eccoci sullo stesso treno, in direzione Codogno. Per l’occasione avevamo preparato, l’una all’insaputa dell’altra, alcuni libri e santini da regalarci: ce li siamo scambiati durante il viaggio.

 

Alla ricerca dell’ingresso

 

L’incaricata con cui la mia compagna di viaggio aveva preso accordi le aveva suggerito di entrare da via Carducci, probabilmente perché credeva che sarebbe arrivata in automobile. Abbiamo quindi preso via Madre Cabrini, entrando nella Rsa che effettivamente è collegata alla casa madre. Ci è quindi stato indicato di procedere lungo quella stessa strada, fino a un cancello grigio di ferro, che però non abbiamo visto, perché eravamo distratte.

Siamo allora arrivate alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, dove abbiamo ricevuto l’indicazione di tornare indietro finché non avremmo visto un cartello giallo. In effetti, l’indicatore c’era, ma era incastrato tra i palazzi e molto in alto rispetto all’altezza dei pedoni…

 

Nel “Nido” delle Missionarie e di madre Cabrini

 


Finalmente trovato il cancello grigio, abbiamo suonato. Visto che eravamo in leggero anticipo, abbiamo aspettato la suora che ci avrebbe fatto da guida, guardando una mostra a pannelli situata vicino a un altro accesso. È stato un ripasso utile, per me che già conoscevo la storia di madre Cabrini, ma anche un buon punto di partenza, per chi non ne sa molto.

Guardandomi attorno, sono rimasta colpita dal fatto che sull’ingresso del Museo Cabriniano c’era la scritta della foto. Avevo sentito la definizione, per la prima casa abitata da una nuova comunità di suore, di “casa culla” (precisamente, delle Piccole Operaie dei Sacri Cuori fondate dal Beato Francesco Maria Greco e dalla Venerabile Maria Teresa dei Sacri Cuori), ma il nome di “Nido” mai.

Avevo però un vago ricordo del fatto che la Santa lodigiana avesse da sempre un legame particolare con gli uccelli: un volo di colombe, che non volevano lasciare l’aia dove suo padre batteva il grano, salutò la sua nascita. Ci sono altri episodi che indicano il suo affetto verso le creature dell’aria, ma è altrettanto importante l’esortazione con cui invitava le sue figlie a lanciarsi nella missione: «Scioglietevi e mettete le ali!».

 

La visita inizia

Mentre ancora aspettavamo, abbiamo pensato di andare un momento nella cappella al piano terreno. Neanche il tempo di un’Ave Maria, poi abbiamo sentito che qualcuno era entrato nel chiostro. Siamo uscite subito, trovandoci davanti la nostra guida, suor Terezinha, brasiliana, con una lunga esperienza missionaria in Sud Sudan e non solo.

L’abbiamo seguita lungo le scale originarie dell’edificio, che portano al piano superiore, sede del museo vero e proprio. Mentre salivamo, ci ha illustrato i dipinti di Paolo Cabri, che raffiguravano le tappe essenziali della vita di madre Francesca. 

A un certo punto, però, ha affermato che lei e le prime sei compagne avevano iniziato a vivere in quella casa non il 14 novembre, come scritto sopra l’ingresso del museo, ma il 10. Non era un errore: nella storiografia della congregazione, la data d’inizio è indicata al 14 novembre 1880 perché quel giorno fu il primo in cui, nella nuova casa, fu celebrata la Messa. A oggi vivono nel Centro di Spiritualità quattro suore, mentre altre quindici, molto anziane e malate, sono ospiti della Rsa.

 


Nella prima sala


Il quadro del Sacro Cuore

La prima sala del Museo Cabriniano è dedicata all’abbigliamento in uso agli inizi della nuova famiglia religiosa. Inizialmente, santa Francesca e le prime sei compagne indossavano un abito scuro con una cuffia annodata sotto il mento con un caratteristico fiocco, ma, quando finalmente poterono partire per gli Stati Uniti, adottarono anche un velo (e il fiocco rimase).

Da altri indumenti esposti nelle vetrine abbiamo potuto capire che la fondatrice era effettivamente di corporatura piuttosto minuta, mentre i ritratti fotografici riprodotti prima dell’entrata e anche dentro ci hanno restituito uno sguardo profondo – occhi blu tendenti allo scuro, ha precisato suor Terezinha – che sapeva guardare davvero lontano.

Le teche successive invece contengono ricordi della fanciullezza e dell’adolescenza: ricami realizzati da lei, il quadro con i voti scolastici e la medaglia dell’associazione delle Figlie di Maria.

Seguono i ricordi della fondazione: su tutti, mi ha colpito la riproduzione del Sacro Cuore di Gesù di Pompeo Batoni, immagine fondamentale per la diffusione del culto al Sacro Cuore. Non tanto per la qualità artistica, ma perché fu l’immagine che santa Francesca volle a tutti i costi esporre nella prima cappella della casa madre. 

È un ulteriore segno della sua determinazione, la stessa che l’avrebbe portata a contestare, perché estraneo all’ispirazione originaria, l’aggettivo “Salesiane” (in riferimento a san Francesco di Sales, che comunque rimase uno dei Santi più venerati nell’istituto) nel nome delle Missionarie.

 

Superiora generale sempre in viaggio e con l'Eucaristia al centro

 

Il Tabernacolo da viaggio

Santa Francesca, a trent’anni dalla fondazione, fu nominata superiora generale a vita (oggi non sarebbe più permesso). Gli oggetti della sala seguente riferiscono di quello e di altri momenti importanti per l’istituto, commemorati da pergamene dipinte a mano.

Seguono poi gli oggetti da lei usati in viaggio, come la borsa davvero essenziale in cui riusciva a far stare quel che le occorreva (che differenza con me, che torno sempre stracarica di borse dai miei viaggi!).

L’oggetto che più ha destato il mio interesse lì è stato però il Tabernacolo da viaggio, accanto al quale era esposto il diploma di associazione alla Santa Lega Eucaristica, di cui conoscevo le immaginette e la casa editrice, firmato dal fondatore padre Gerardo Beccaro in persona.

Mi ha fatto ricordare quando ho letto i racconti di viaggio di madre Cabrini, che mi sono tornati alla mente durante il primo lockdown e quando ho preso il coronavirus, circostanze in cui non ho potuto ricorrere alla Comunione sacramentale.

Madre Francesca era in viaggio anche quando fu celebrato il Giubileo d’Argento (i venticinque anni dalla fondazione) dell’istituto. Ne fanno memoria i diplomi, gli auguri e i documenti esposti nelle vetrine seguenti.

 

Il “Bambino Missionario”

 

Nella sala successiva sono esposti numerosi segni della devozione di santa Francesca, come reliquiari e immagini varie. Tra tutti, suor Terezinha ha fissato la nostra attenzione su di una statuetta di Gesù Bambino, posta su di una seggiola (o sarebbe meglio dire un trono), vestita con un abito ricamato e con le scarpine ai piedi.

La Madre lo chiamava “Bambino missionario” e lo teneva nella sua stanza della casa madre. Su di lui si raccontano vicende simili a quelle di altre immagini di Gesù Bambino: ad esempio, a volte pare che le suore notassero le scarpine consumate e che lo fossero anche dopo che le cambiavano con un paio nuovo.

Quel che più conta è che quella statua, come altre esposte nella vetrina a fianco, fosse per lei e per le Missionarie un continuo ricordo del fatto a cui ripenseremo nel prossimo Natale: Dio si fa piccolo per farci crescere.

 

Dato che, come mio solito, mi sono dilungata, interrompo qui il racconto, che proseguirà domani, con le altre sale del museo e la chiesa che è davvero al cuore del centro di spiritualità.

 

Per saperne di più

 

Se anche voi, dopo aver letto questo racconto, avete pensato di visitare il Museo Cabriniano di Codogno, visitate il sito ufficiale e prendete contatti con la segreteria. Vi suggerisco di portarvi il pranzo al sacco, specie se avete un gruppo numeroso.

Il sito è anche molto utile perché contiene delle audioguide da ascoltare durante la visita (sui muri del museo sono riportati dei QRCode, ma non sempre corrispondono alle pagine). 

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