Salvatore Zuppardo, la poesia di una vita

Salvatore in una foto del 1994 (fonte) 
Chi è?

 

Salvatore Zuppardo, detto Salvo o Totò, nacque a Gela, in provincia di Caltanissetta e diocesi di Piazza Armerina, il 30 maggio 1974, primo dei due figli di Emanuele Zuppardo e Giuseppina Russella. Frequentò la parrocchia di San Giovanni Evangelista a Gela, dove ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana (la Prima Comunione il 5 maggio 1984, la Cresima il 12 maggio 1987) e fu allievo, dalle elementari, dell’istituto  «Teresa Valsè» delle suore Figlie di Maria Ausiliatrice.

Dopo le medie, si diplomò come perito chimico. Subito dopo, lavorò come distributore di volantini pubblicitari e, contemporaneamente, come cameriere. Nel 1997 trovò impiego nello stabilimento petrolchimico dell’Ente Italiano Idrocarburi (Eni) di Gela. Solo in apparenza timido, esprimeva la sua personalità attraverso la scrittura, soprattutto in poesia, e la pittura.

Tra i diciotto e i vent’anni, conobbe la Comunità delle Beatitudini: decise di entrare in una delle case della Comunità, a Pettineo, presso Messina. Nel 1995 partecipò a un raduno giovanile della Comunità a Lisieux, che accrebbe il suo interesse per santa Teresa di Gesù Bambino.

La sua esperienza a Pettineo si concluse dopo un anno: il superiore del luogo, padre Joseph, lo invitò a tornare a casa, perché diventasse testimone di quello che aveva vissuto e lo riferisse all’interno della propria famiglia e della parrocchia.

Anche se con sofferenza, Salvatore accettò: riprese la sua vita di sempre, portando nel cuore e vivendo con gli altri i doni che aveva ricevuto. Anche la ragazza con cui si fidanzò, Marianna Iudici, avvertì in lui un’energia incontenibile.

A causa di un disturbo alle corde vocali, Salvatore accettò di sottoporsi a un’operazione chirurgica, effettuata a Verona. Tuttavia, dopo un mese – peraltro, era malato di talassemia – , ebbe una ricaduta: fu ricoverato all’ospedale di Caltagirone, ma i medici non seppero riscontrare un’embolia polmonare. Morì il 30 novembre 1998, verso sera; aveva ventiquattro anni e mezzo.

 

Cosa c’entra con me?

 

La storia di Salvatore è una di quelle che sono entrate rapidamente nella mia vita, per andarsene altrettanto rapidamente, ma poi si sono ripresentate quando proprio non me lo aspettavo.

Più di dieci anni fa, quando frequentavo il negozio delle suore Figlie di San Giuseppe di Rivalba nel centro di Milano, spesso trovavo a disposizione la rivista (un pieghevole, al tempo) Nazareth agli adolescenti e agli amici. Di quella pubblicazione apprezzavo soprattutto i profili, a puntate, di bambini, ragazzi e giovani a me quasi del tutto sconosciuti, eccetto alcuni casi.

Mi venne quindi il desiderio di scrivere a fratel Claudio Campagnola, il religioso che curava quella rubrica, con la speranza d’interessarlo a qualche storia a cui io stessa tenevo. Ricordo che mi ero fatta mandare alcuni di quei profili in formato testuale, chiedendogli il permesso di pubblicarli sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni, che non tardò a concedermi.

Me ne inviò sicuramente cinque, compreso quello di Salvatore, che venne pubblicato il 9 settembre 2012. Non mi viene in mente se fossi stata colpita in maniera particolare da quel racconto.

Due anni fa, invece, ho appreso dell’uscita di un libro che parlava di lui. Leggendo la sinossi, mi sono immediatamente interessata, tanto più che mi sembrava una vicenda ormai dimenticata, visto che erano quasi trascorsi venticinque anni dalla sua morte.

Non ricordavo più, però, che fosse uno di quei ragazzi e giovani che avevo segnalato nel 2012. Me ne sono accorta procedendo con la lettura e vedendo citato, sia in nota, sia integralmente, quello stesso profilo.

Lo stile di quel libro, a volte un po’ faticoso e discontinuo – ma potrebbe essere una mia impressione, dovuta al fatto che l’ho letto interrompendomi spesso – mi ha però restituito un quadro più ampio rispetto a Salvatore. Nelle testimonianze degli amici ho visto il ricordo commosso, ma anche l’impegno a ricordare i momenti gioiosi e divertenti vissuti con lui, del quale intuivano l’eccezionalità unita all’ordinarietà, le abilità artistiche in parallelo con la capacità di scherzare senza mai offendere.

Nel racconto di come suo padre, che si dichiarava agnostico ma non ostacolava le sue esperienze spirituali, si sia gradualmente riaperto alla fede, ho visto un parallelismo con quel che è accaduto al papà del Servo di Dio Pierangelo Capuzzimati (anche lui comparso su Nazareth agli adolescenti e agli amici, tra l’altro): quel ragazzo tarantino, nei suoi ultimi giorni, aveva insegnato ai genitori che non dovevano temere la morte.

Più o meno è accaduto lo stesso a Salvatore, il quale, ormai al limite della vita, chiese al padre di continuare a pregare al posto suo, visto che non ce la faceva più. In effetti, dopo la sua morte, il signor Emanuele ha affermato di averlo sentito ancora più vicino, attraverso segni di vario genere. Di certo, ha continuato a renderlo vivo anzitutto costituendo il Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana «Salvatore Zuppardo», promuovendo raccolte poetiche in suo ricordo e il premio letterario «La Gorgone d’Oro».

Soprattutto, però, ho apprezzato la selezione di alcune poesie di Salvatore e a Salvatore. Nelle prime ho riscontrato un’intonazione di lode a Dio per avergli donato l’amore per una donna (sono senza data, quindi non so se pensasse alla ragazza con cui si è poi fidanzato), ma anche l’impegno di consacrarsi interamente a Gesù Redentore, per vivere pienamente il suo Battesimo.

Nei temi ricorrenti, come la danza e l’amore, mi è parso di trovare corrispondenze con le opere di un’altra giovane poetessa, Lucia Roncareggi, di Bresso, ma anche (e scusatemi, lettori più fedeli, se colgo di nuovo l’occasione per citarlo) con le preghiere poetiche del seminarista Alessandro Galimberti. Inoltre, anche questi due giovani hanno affrontato, come Salvatore, l’esperienza della malattia, a volte chiedendosene il perché e urlando a Dio, ma molto più spesso fidandosi di Lui.

Invece, nelle poesie ispirate a Salvatore, anzi, da lui medesimo, selezionate tra quelle che hanno partecipato al premio letterario, ho riscontrato un’incredibile gratitudine, tanto più sorprendente al leggere che gli autori provenivano praticamente da tutt’Italia, non solo dalla Sicilia. In più, come lui era stato pittore oltre che poeta, così altri l’hanno ritratto con quest’altra arte, ad esempio con lo sguardo rivolto a Gesù in Croce, novello discepolo amato.

Quanto agli aspetti in cui mi sento affine o distante da lui, riconosco che la scrittura in poesia non mi corrisponde con esattezza: avevo composto qualche poesia al tempo delle scuole medie, ma non erano granché riuscite. Anzi, paradossalmente, quella che la mia professoressa d’Italiano apprezzò di più era sorta dalla mia mancanza d’ispirazione, da lei fraintesa per crisi adolescenziale.

Mi sento molto più vicina a lui, invece, per l’interesse verso i Santi e i Beati giovani. Dato che Salvatore teneva nel portafogli il santino del Beato Pier Giorgio Frassati, doveva averlo sicuramente molto caro, come lo è per me (qui i miei post su di lui). Mi pare di capire che si rifacesse a lui e alla sua amicizia con i poveri quando, d’estate, accostava i venditori ambulanti: il suo scopo era parlare con loro, più che acquistare qualche prodotto.

Tra tutti i modelli ufficialmente esemplari, però, aveva un posto specialissimo santa Teresa di Lisieux. La sua conoscenza di lei è strettamente collegata alla Comunità delle Beatitudini, che la considera una delle figure fondamentali della propria spiritualità, insieme a san Luigi Maria Grignion de Montfort.

Ha comunque cementato questo legame in modo personale, a cominciare con il viaggio a Lisieux nel 1995: aveva appena conseguito il foglio rosa, quindi era alle prese con le prime guide automobilistiche, e già si cimentava in un tragitto di parecchi chilometri.

Non è stato però solo un viaggio avventuroso, ma un vero e proprio pellegrinaggio in povertà: partito con centomila lire dell’epoca, tornò carico di regali per i familiari e gli amici e, soprattutto, senz’aver speso un soldo per l’alloggio.

Salvatore sentiva santa Teresa come modello anche quando insorgevano le crisi emolitiche, causate dalla talassemia, malattia ereditaria che lui aveva dall’infanzia. Anche i suoi pensieri sulla capacità di sopportare le prove con amore sono consonanti con la vita della giovane carmelitana scalza.

Per questo, se nell’elenco che ho pubblicato in occasione della Lettera Apostolica C’est la confiance, riguardante le figure che hanno imparato molto da lei, avessi incluso anche i semplici Testimoni, sicuramente avrei menzionato anche lui.

L’autrice del libro che ho letto non è intervenuta di persona alla presentazione che si è tenuta il 28 maggio 2021 nella parrocchia di Santa Lucia a Gela, ma ha fatto arrivare un commento in video, che riprendo qui sotto.


 

Il suo Vangelo

 

Al di là dei paragoni, più o meno immediati (non basta morire a ventiquattro anni per essere automaticamente santi, neanche a livello informale), Salvatore ha una sua testimonianza specifica, che dopo mezzo secolo dalla sua morte è ancora riconosciuta da quanti l’hanno avuto accanto, come anche da chi legge qualcosa sul suo conto.

La categoria della poesia può applicarsi anche alla sua intera esistenza, trascorsa amando pienamente chiunque gli accadeva d’incontrare: i genitori (la mamma è morta qualche anno fa, mi pare di capire), la sorella Linda, i cugini, gli amici, i fratelli della Comunità delle Beatitudini, la fidanzata, le suore sue educatrici, perfino il suo cavallo (unico capriccio chiesto al padre, ma anche suo compagno fedele di corse in mezzo ai boschi) e il suo cane Aaron.

La poesia, però, non è sempre serena, come la vita umana. Ha i suoi momenti di buio, da cui emergono spesso luci inattese. Le testimonianze di Salvatore concordano nel riferire, supportate da suoi scritti volanti, a volte lasciati dentro la sua Bibbia, che anche quando soffriva faceva del suo meglio per imparare ad amare ancora di più e meglio.

Non so se Salvatore immaginasse di morire da giovane. Sicuramente, pensava al momento del suo giudizio particolare come un incontro definitivo improntato alla gioia. Lo si evince da una delle poche poesie di cui ha riportato la data: 15 dicembre 1995; meno di tre anni dopo, sarebbe già morto.

Vale la pena di leggerla integralmente:

Un giorno, o Padre, giunto da Te,

cosa mai posso dirti:

piangerò, gioirò, perché finalmente

più non soffrirò

ma mi inebrierò del mio solo ed unico amore.

Oh gioia della mia anima

dal volto estraneo, ma dall’amore amico,

finalmente Ti vedrò e starò

tutta l’eternità in un angolo di Cielo

a guardarti e a pensare

tutta la mia vita passata.

Oh caro Padre mio, mi trema la mano

dalla gioia, vorrei gridare, ballare,

cantare al solo pensare che Ti rivedrò.

Sì, Padre, perdonami, vorrei cantarti

e gridarti che Ti amo e ballare con Te

in tutti gli angoli del Cielo.

Sì, Padre, così starò vicino a quei

maestri della mia vita, Santa Teresa,

San Francesco, a parlare del Tuo amore.

Chi conserva il ricordo di Salvatore è certo, ma non per questo intende precorrere i tempi del giudizio della Chiesa, che lui abbia testimoniato anche in vita questa gioia che sperava di gustare nell’eternità.

Oggi, alle 18.30, monsignor Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina, presiederà la Messa per il venticinquesimo anniversario della sua morte, nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangelista a Gela.

 

Per saperne di più

 

Maria Luisa Tozzi, Salvatore Zuppardo – Nel vento dello Spirito, San Paolo 2021, pp. 224, € 16,00.

Più che una biografia cronologicamente intesa, una riflessione spirituale, corroborata dalla citazione dei suoi scritti e delle poesie dedicate a lui.

 

Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana «Salvatore Zuppardo»

via Cammarata 4

93012 Gela (CT)

e-mail: centrozuppardogela@gmail.com

 

Su Internet


Vecchio sito dell’Associazione Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana «Salvatore Zuppardo», che contiene anche molte testimonianze su di lui

Pagina Facebook ufficiale del Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana «Salvatore Zuppardo» (ferma al 2020)

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