Sulla scia di… santa Francesca Saverio Cabrini (seconda parte)

Anche stavolta, tutte le foto sono opera mia

 

Dato che mi sono dilungata troppo, ecco la seconda parte del piccolo pellegrinaggio al Museo Cabriniano e Centro di spiritualità delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, che ho compiuto il 31 agosto scorso, insieme a una fedele lettrice di questo blog.

Ero arrivata a raccontare del “Bambino Missionario”, la statuetta che santa Francesca Saverio Cabrini teneva nella sua stanza. Ricomincio proprio da lì, dal luogo dove lei ha scritto i testi fondamentali per le basi del suo istituto.

 

La “celletta” e il baule della Madre


 

Nella stessa sala è conservata la stanza, o “celletta”, dove madre Francesca riposava – ma penso proprio che la sua idea di riposo non fosse come la nostra – ma anche dove pregava e scrisse le prime Regole. Anche il pavimento è rimasto tale e quale ai suoi tempi. Tra le immagini poste alle pareti un altro Gesù Bambino, quello dell’Ara Coeli, riprodotto in una stampa.

Suor Terezinha ci ha invitate a scrivere una preghiera e a metterla sotto il cuscino del letto della Santa. L’ho fatto anch’io, ma preferisco che resti una cosa tra me e lei, per una volta.

La stanza custodisce anche il baule, acquistato a Seattle, che ha più volte varcato l’Oceano insieme alla sua proprietaria.

 

Il Cenacolo delle Missionarie

 


Dalla “celletta” siamo passate alla sala dove si riunivano le prime Missionarie. Lì sono conservati i ritratti delle altre otto Superiore Generali a partire dalla prima seguita alla fondatrice, ovvero madre Antonietta Della Casa. 

Non vorrei sbagliarmi, ma credo di aver conosciuto quella che era in carica negli anni Duemila, di passaggio per quella che le suore conoscono come “il 105”, ovvero la casa di corso di Porta Romana 105 a Milano: l’anno prossimo ricorrerà il centoquarantesimo anniversario di fondazione di quella, che è la terza casa in assoluto.

Ho trovato molto gustoso il cartello sul “personale dirigente” dell’Istituto: è un atto di umiltà, perché da una parte riconosce che le Missionarie hanno sì una fondatrice, ma lei ha seguito ciò che Dio, tramite i consigli di molti sacerdoti, le chiedeva di compiere. Dall’altro ricorda che la superiora non è altro che “una semplice suora rivestita di autorità”: niente male come richiamo!

 

Una Santa... da collezione!

 

La saletta seguente mi ha svelato un aspetto di santa Francesca davvero insolito. Avevo dimenticato la sua attenzione per i carcerati – in una delle teche era conservata la lettera di ringraziamento da parte dei detenuti di Sing Sing – ma proprio non sapevo che fosse una collezionista di medaglie, cartoline e francobolli!

In particolare, amava ricevere in regalo quelle relative ai Papi e alla casa reale italiana, ovvero ai Savoia. Penso che fosse un ulteriore indizio del suo amore alla Patria, per la quale ha davvero operato molto.

 

I due miracoli per la beatificazione

 

L'attestato relativo al primo miracolo


Poco prima, sono esposti i documenti relativi ai due miracoli necessari, secondo la legislazione del tempo, per la sua beatificazione. Precisamente, il primo caso preso in esame fu quello di Peter Smith, un bambino nato all’ospedale Columbus di New York il 14 marzo 1921. Stava rischiando di rimanere cieco e di morire di polmonite a causa di un errore da parte di un’infermiera: per disinfettargli gli occhi, lei aveva usato una soluzione di nitrato d’argento, ma al cinquanta per cento, non all’uno per cento come prescritto.

Il secondo miracolo riguarda di suor Delfina Grazioli, Missionaria del Sacro Cuore: era malata di colecistite in forma grave e non era guarita neanche dopo l’asportazione di cistifellea, appendice e parte dell’intestino. Peggiorata rapidamente a metà dicembre 1925, sognò la fondatrice nella notte tra il 14 e il 15. Il 17 apparvero i primi miglioramenti: nel giro di pochi giorni fu dichiarata guarita.

 

Altri doni papali

 

Dopo la piccola sezione relativa ai rapporti tra madre Francesca e il Lodigiano, segue un corridoio con numerosi doni da parte di papa Leone XIII, colui che l’aveva invitata ad andare “non all’Oriente, ma all’Occidente”, orientandola verso gli emigrati italiani. In quel corridoio, il soffitto è lo stesso dell’epoca.

Un altro articolo interessante esposto è la fotografia della cappella del cimitero di West Park, a New York, dove lei stessa aveva voluto essere sepolta, sebbene fosse morta (all’improvviso, però, per problemi cardiaci e per non essere mai guarita del tutto dalla malaria) a Chicago.

 

I ricordi della canonizzazione

 

I cimeli del Beato Schuster

Il tratto finale del corridoio conserva le memorie della canonizzazione, avvenuta il 7 luglio 1946 a opera di papa Pio XII, il quale, il 17 settembre 1950, nominò santa Francesca patrona degli emigranti.

I miracoli per la canonizzazione sono avvenuti entrambi nel 1929: riguardano uno Paolo Pezzini, autista di Lodi, che rischiava di morire per polmonite doppia con aggravamento di cistopielite cronica, ed Ettore Pagetti, di Lodi anche lui, di professione fuochista; nel suo caso, si trattava di aggravamento di osteosi giudicata irreversibile.

Una piccola vetrina è collegata alla storia della diocesi di Milano e al Beato cardinal Alfredo Ildefonso Schuster (del quale il giorno prima ricorreva la memoria liturgica), arcivescovo al tempo. Sono conservate una sua mozzetta (parte dell’abito cardinalizio), il calco della mano destra, una statuetta, una fotografia e alcuni biglietti autografi.

Fu proprio lui a tenere un discorso, due giorni dopo la canonizzazione, ovvero martedì 9 luglio, di fronte ai numerosi pellegrini convenuti nella chiesa del Gesù a Roma, dove, stando al documento, abitualmente si svolgevano le celebrazioni di ringraziamento dopo le beatificazioni e le canonizzazioni.

 

L’esposizione missionaria

 

Le ultime sale costituiscono un museo nel museo: raccolgono infatti ricordi delle missioni dove le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù operano o hanno operato. Molto commoventi sono quelli che provengono dalla Cina, dove le suore arrivarono nel 1926 – nove anni dopo il transito della fondatrice, esaudendo il sogno che lei aveva fin da piccola – ma che dovettero lasciare nel 1957, a causa dell’espulsione di tutti i missionari di ogni istituto e congregazione.

 

Un bottino da condividere

 

Era ormai passato mezzogiorno, ma ci mancava ancora una parte della casa da visitare. Prima, però, suor Terezinha ci ha condotte in una sala dove potevamo riposare un momento, ma anche dove potevamo prendere liberamente qualche ricordino della nostra visita.

Non mi sono fatta scappare l’occasione: dato che ormai abito lontano dal “105” – c’era anche una vetrina che riguardava il venticinquesimo di fondazione, con l’album firmato, tra i primi, dall’altro nostro Beato arcivescovo, il cardinal Andrea Carlo Ferrari – , valeva la pena di prendere qualcosa lì, tranne, ovviamente, i libri che mi avevano già procurato le suore che avevo conosciuto.

Ho però pensato anche a chi non era venuto con me: per questo ho preso parecchie copie della novena a santa Francesca, l’immagine del Sacro Cuore che è venerata nella chiesa detta del Tabor (dopo spiego perché si chiama così), tre medagliette, un portachiavi e un paio di piccoli libri. Non avrei preso una biografia piuttosto datata, ma la nostra guida me l’ha concesso, così avrei annotato meglio i dati relativi ai miracoli presi in esame nella causa della fondatrice.

Infine, prima io, poi la mia compagna di viaggio, abbiamo scritto un pensiero sul registro dei visitatori. Questo, dato che non è personale, lo trascrivo:

Grazie al Signore perché in santa Francesca Saverio Cabrini ci mostra un esempio di coraggio e di fiducia. Grazie perché le Missionarie sono buone e generose e continuano la sua missione.

Che la nostra vita prenda spunto da lei per il proprio personale cammino di santità.

 

Aggiungi due posti a tavola...

 

Era ormai ora di pranzo, ma non potevamo ancora andare via. Per questo, suor Terezinha ci ha condotte nel refettorio, così da rifocillarci un momento. Mentre eravamo lì, sono arrivate le altre suore della comunità: suor Maria, che credo fosse la superiora, e suor Oksana (spero di aver scritto il nome nel modo giusto), che si ricordava vagamente di me, per avermi incontrata a Milano una quindicina d’anni fa. Visto che le suore insistevano, abbiamo accettato di restare a pranzo, prendendo ciò che era avanzato dal pasto che loro (tranne la nostra guida) avevano già consumato.

Prima di pranzare con suor Terezinha, abbiamo condiviso con loro le nostre impressioni, davvero entusiastiche, sulla visita. Le nostre ospiti ci hanno ricordato che la Madre lavorava sempre con i laici, che considerava preziosi per compiere “velocemente e ardentemente”, come amava dire, quello che sentiva necessario.

In questo aveva attinto lo spirito della fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore, santa Teresa Eustochio Verzeri: aveva provato a entrare nel loro istituto, ma fu respinta per ragioni di salute. Santa Teresa, ci ha raccontato suor Maria, è stata la prima fondatrice ad avere un controllo diretto delle finanze relative al suo istituto.

Ancora prima del pranzo, suor Terezinha aveva fatto notare che molti gruppi vengono a Codogno anche dall’estero, ma che solo negli ultimi tempi si è riacceso l’interesse su santa Francesca: di fatto, non è una Santa popolare per i suoi prodigi e nemmeno per i suoi doni mistici, che le sue figlie condividono solo con quanti reputano preparati (e io, invece, li avevo spiattellati in un articolo uscito per il centenario della morte...). 

 

Nella chiesa del Tabor, dal cuore di santa Francesca

 

L’ultima tappa del nostro piccolo pellegrinaggio è stata la chiesa del Tabor. Santa Francesca medesima aveva desiderato quell’intitolazione, anche se fu madre Antonietta a concludere la costruzione: voleva che fosse, come il monte della Trasfigurazione, un luogo dove Gesù si rivela pienamente e da cui ripartire per la missione. Di fatto, fino allo scoppio della pandemia – Codogno ormai è nota come la città che ha visto il primo caso – lì si svolgeva l’Adorazione Eucaristica perpetua, se ho capito bene.

A partire dalla beatificazione, è conservata lì, nell’altare della navata destra, la reliquia del cuore di santa Francesca (un frammentino dello stesso organo, però, è custodito a Sant’Angelo Lodigiano).

Qualcuno, ancora oggi, inorridisce al pensiero che i corpi dei Santi e dei Beati, anche in tempi piuttosto recenti, vengono smembrati e distribuiti, in frammenti più o meno grandi, in giro per il mondo, o messi in vetrina. Come scrivevo in un post di qualche anno fa, penso che sia un modo per renderli ancora presenti e per ricordare che, come amava dire il Venerabile Pasquale Canzii, sono di carne e ossa come noi.

Il reliquiario artistico ha un particolare molto grazioso, ma che non è solo decorativo: proprio sotto la teca del cuore, sono riprodotte delle violette, con pietre preziose ovviamente di colore viola.

Per chi conosce la vicenda di santa Francesca, sono un immediato richiamo ai suoi giochi di bambina, quando, ospite a Livraga dallo zio materno don Luigi Oldini, prendeva delle violette e le poneva dentro alcune barchette di carta, che posava sulle acque del torrente Venera: immaginava che fossero delle missionarie, pronte a partire per la Cina.

 

Un ultimo colloquio

 

Suor Terezinha si è offerta di portarci anche in stazione. Prima, però, abbiamo incontrato suor Assunta, superiora della comunità delle suore anziane. Anche lei ricordava bene suor Rosa, colei che mi ha aiutata molto nell’approfondimento di santa Francesca, morta però sette anni fa.

Ho colto l’occasione per togliermi una curiosità: se, dopo la canonizzazione della fondatrice, le Missionarie non abbiano mai pensato ad aprire le cause di qualche altra consorella. Suor Assunta mi ha risposto di no, senza fornirmi motivazioni di carattere economico o altro.

In compenso, ha riferito che conservano un buon ricordo di molte sorelle: ad esempio, di madre Maria Bianca Belloni (al secolo Francesca Maria Carolina), una delle ultime suore presenti in Cina, morta a causa di percosse; ha preferito non darle, nemmeno informalmente, la qualifica di “martire”.

 

Per saperne di più

 

Se anche voi, dopo aver letto questo racconto, avete pensato di visitare il Museo Cabriniano di Codogno, visitate il sito ufficiale e prendete contatti con la segreteria. Vi suggerisco di portarvi il pranzo al sacco, specie se avete un gruppo numeroso.

Il sito è anche molto utile perché contiene delle audioguide da ascoltare durante la visita (sui muri del museo sono riportati dei QRCode, ma non sempre corrispondono alle pagine).

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