Santina Campana, valorosa sentinella della Croce
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Santina Campana (nome completo Santina Celeste) nacque il 2 febbraio 1929 ad Alfedena, in provincia de L’Aquila e in diocesi di Trivento, oggi in quella di Avezzano. Era la penultima dei nove figli di Giuseppe Campana e Margherita Di Palma, contadini e piccoli proprietari di bestiame.
Pur essendo una delle ultime nate, dovette contribuire quasi subito ai lavori domestici e nei campi, tanto più che suo padre era grande invalido di guerra. Trovava comunque il tempo di frequentare la parrocchia, anche come membro della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, e di visitare gli ammalati. Amava poi radunare i bambini che conosceva per la recita del Rosario. A tredici anni emise il voto di verginità in forma privata, dapprima temporaneo, poi definitivo.
Nel settembre 1943, anche il suo paese venne raggiunto dagli eventi della seconda guerra mondiale. Con la famiglia, Santina si rifugiò nei boschi vicini al paese: durante i bombardamenti, incoraggiava i parenti e altri compaesani a non avere paura. Il 26 giugno 1944 poterono tutti tornare al loro paese, ma lei aveva contratto, nel frattempo, una grave forma di pleurite.
Mentre la vita ordinaria riprendeva, la ragazza divenne ancora più determinata a consacrarsi a Dio. Già i due fratelli maschi e tre delle quattro sorelle (gli altri figli erano morti nell’infanzia) avevano scelto la via della consacrazione, accompagnati dalle preghiere e dalle mortificazioni di Santina.
A sedici anni fu il suo turno: accompagnata dalla madre, lasciò Alfedena per iniziare il postulandato tra le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, tra le quali era già diventata religiosa la sorella Maria Rosaria, ovvero suor Alfonsa.
Riprese gli studi, interrotti all’ultima classe delle elementari, e si dedicò alla cura delle bambine che frequentavano l’asilo gestito dalle suore. Fu ammessa in noviziato l’8 settembre 1946, prendendo l’abito il 7 settembre dell’anno seguente.
Tuttavia, da qualche mese, aveva cominciato ad avere una tosse persistente e insistente, a cui si aggiunse una febbre continua. Dalle radiografie emerse che Santina aveva la tubercolosi, in forma particolarmente violenta.
Il 10 luglio 1947 depose l’abito da novizia e fu ricoverata al Policlinico di Roma. Il 16 luglio 1947 fu trasferita a Villa Rinaldi, sanatorio nella città di Pescina, sempre in provincia de L’Aquila, dove operavano, tra l’altro, le Suore della Carità.
Santina, pur sapendo di avere poco da vivere, appariva rasserenata e pronta a vivere la malattia come una missione. Continuò a essere legata all’Azione Cattolica, diventando Presidente della sezione della Gioventù Femminile interna al sanatorio.
Restò in contatto epistolare con i fratelli e le sorelle, offrendo la sua condizione per loro: non voleva assumere calmanti, per compiere meglio quella che sentiva essere la volontà di Dio su di lei. S’iscrisse anche all’Unione Cattolica Malati, sul cui foglio di collegamento, «Il Piccione», firmò alcuni contributi, sotto lo pseudonimo di «Sentinella della Croce».
La mattina del 3 ottobre 1950 cominciò a peggiorare: entrò in agonia alle 13.54 del giorno seguente. Rimase comunque lucida, rispondendo alle preghiere e invitando a pregare quanti le erano vicini.
La superiora delle suore di Villa Rinaldi l’aiutò a pronunciare la formula della professione religiosa, che però non era valida agli effetti canonici, perché non emessa al cospetto di un vescovo. Santina morì alle 22.05 del 4 ottobre 1950, a ventuno anni compiuti.
Il processo informativo diocesano della sua causa di beatificazione si è concluso presso la diocesi di Avezzano il 25 novembre 1973; dal 1° ottobre 1979 prosegue nella fase romana. I resti mortali di Santina riposano dal 3 settembre 1967 nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe a Pescina, non lontana da Villa Rinaldi.
Cosa c’entra con me?
Penso proprio che Santina Campana sia la prima Serva di Dio con cui sia mai entrata in contatto, insieme ad Angela Iacobellis, una bambina di Napoli: vedevo spesso le immagini di entrambe sugli adesivi di qualche automobile, girando per Portici, il paese di mia madre. Non sapevo nulla di loro: credevo che Santina fosse “campana” non di cognome, ma di provenienza regionale.
Non vorrei poi sbagliarmi, ma la nonna di una mia cugina (non mia nonna direttamente perché suocera di un mio zio materno) aveva una sua immaginetta in un suo libro di devozione. Di sicuro, ne trovai uno al convento di Sant’Antonio di Padova dei Frati Minori Conventuali, anzi, mi sa che me lo diede il frate che avevo deciso d’intervistare per un compito delle vacanze assegnato dalla maestra di Religione. La frase che compariva sotto il nome, ovvero «Vi scriverò dal Paradiso», mi destò molta impressione.
Decisi comunque che avrei scelto Santina e Angela come sorelle spirituali: avevo da poco letto una biografia per ragazzi di santa Teresa di Gesù Bambino, nella quale era raccontato che lei aveva compiuto la stessa scelta nei riguardi della martire sant’Agnese, dopo il pellegrinaggio a Roma nel quale aveva chiesto a papa Leone XIII di poter entrare al Carmelo a quindici anni.
Ogni giorno pregavo perché lei e tanti altri venissero riconosciuti Santi; lo facevo alle 18.45, all’ora delle presunte apparizioni di Medjugorje, delle quali avevo cominciato a sentire parlare. Non ricordo, però, come mai avessi iniziato a fare così e quale collegamento avessi riconosciuto tra le due cose.
Il mio fervore si spense con l’adolescenza, quando finii col sentirmi esasperata di fronte alle vite di ragazzi che sembravano molto più santi di me. Allo stesso tempo, cominciai a pensare che i Servi di Dio fossero “santi di serie B” e che non bisognasse invocarli, o comunque, che la priorità dovesse andare ai Santi riconosciuti.
Superata quella crisi di rigetto poco dopo aver compiuto ventuno anni, soprattutto dopo aver ascoltato papa Benedetto XVI alla GMG di Colonia ed essere sopravvissuta al freddo intenso della veglia, ripresi a leggere libri su Santi e simili e cominciai anche le mie esplorazioni sul web.
Non dovevo aver del tutto dimenticato Santina, se la sua scheda biografica è stata una delle prime che abbia mai letto sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni. Finalmente sapevo qualcosa in più su di lei, ma restavo ancora sconcertata al leggere che lei invocasse la sofferenza come segno della bontà di Dio.
Ci volle una visita alla libreria Elledici di Napoli, dove trovai un opuscolo molto vecchio su di lei, scritto da don Gaetano Meaolo per la collana Eroi della Elledici, perché iniziassi a considerare la sua vita nel complesso.
Ammirai il modo con cui incoraggiava familiari e compaesani durante la guerra, la tenacia nel perseguire la vocazione e anche la sottile vena umoristica con cui affrontava la permanenza in sanatorio. Pensai allora di poter chiedere informazioni sulla sua causa e anche qualche santino nuovo. Tuttavia, nel 2009, il terremoto de L’Aquila mi condusse a desistere.
In compenso, di passaggio dalle Missionarie dell’Immacolata del PIME, mi accadde di trovare e di prendere in prestito una biografia più grossa, mi pare intitolata Un giglio tra le spine: trovai molto originale l’impostazione che faceva coincidere gli episodi della vita di Santina con le parti della Messa, anche se mi sembrava più adatta a raccontare la storia di un sacerdote o, al massimo, di un seminarista. A ripensarci, forse quella era una visione troppo clericale.
Comunque, restituii il libro a un gruppo di quelle suore che scendeva da un autobus vicino alla loro casa, però credo che sia andato perso, perché, quando volli rileggerlo, le altre religiose non riuscirono a trovarlo.
Nel 2010, il giorno esatto del sessantesimo della sua morte, la ricordai con intensità particolare. Proprio il 4 ottobre, infatti, ebbi un colloquio per capire la ragione per cui mi era impedito di seguire il Gruppo Samuele, il percorso intensivo di discernimento vocazionale per i giovani della mia diocesi. Anch’io, come Santina, mi sentivo quindi impedita nella realizzazione del progetto di Dio su di me: non per ragioni di salute, ma perché avevo un’esperienza della vita della Chiesa già molto approfondita, quindi quel gruppo non faceva per me.
Non molto tempo dopo, sicuramente però dopo il 2011, partecipai alla presentazione del volume con gli scritti della Beata Enrichetta Alfieri. Ricordo di aver avvicinato una suora con responsabilità di governo, forse la superiora provinciale, per parlare di lei: fu molto felice che la ricordassi, ma nulla di più.
A quel punto, non mi restava che contattare direttamente la Curia Vescovile di Avezzano. Mi vennero lasciati i recapiti del sacerdote vicepostulatore, che mi mandò dei santini in formato segnalibro e un’altra copia della piccola biografia che già avevo. Non mi fu però detto nulla riguardo la causa e come modificare la scheda di santiebeati, che ormai ritenevo inadeguata a descrivere il percorso umano e spirituale di Santina.
Sul finire di ottobre 2017, come ogni anno, partecipai alla Veglia Missionaria diocesana, in Duomo. Pioveva a dirotto, quindi mi riparai, appena possibile, sotto la pensilina del capolinea del tram che mi avrebbe ricondotta a casa. Anche una suora aveva fatto lo stesso: mi venne quasi inevitabile iniziare a parlare con lei, riconoscendola immediatamente come una Suora della Carità.
Con lei, che si chiamava suor Luisa, era presente una consorella anziana, a cui faceva compagnia Giulia, una novizia. Nel corso della conversazione, finii col menzionare tutte le Sante e le Beate della loro famiglia religiosa, ma mi venne naturale menzionare anche Santina. Le suore e la novizia rimasero molto stupite dal mio racconto, che dovette interrompersi quando fu il loro momento di scendere dal tram.
Continuavo a non avere notizie sulla causa, fino al dicembre 2019, quando vidi l’uscita di un libretto per la novena dell’Immacolata, con testi tratti dai suoi scritti, nell’imminenza del settantesimo dalla morte.
A febbraio 2020 fece seguito un altro sussidio, stavolta per la Via Crucis, curato dallo stesso autore. Una rapida ricerca sul web mi permise di capire che quel sacerdote era il nuovo vicepostulatore (quello che mi aveva mandato i santini è morto nel 2016).
L’11 febbraio 2020, proprio nella Giornata del Malato, gli mandai un messaggio privato via Facebook, cui rispose quasi subito: il 30 marzo 2020 mi spedì un pacchetto con quei due libretti, la ristampa della biografia piccola che già avevo e, finalmente, i nuovi santini.
Mi rimanevano però inevase due domande: anzitutto, volevo capire se l’Oasi a lei dedicata, situata ad Alfedena e voluta da dom Bruno Maria, al secolo Sabatino, suo fratello e ampio propagatore della sua storia, fosse ancora attiva come casa del pellegrino anche dopo la morte di lui (a dicembre scorso è morto anche l’altro fratello, padre Leone, al secolo Michele; le sorelle suore sono invece decedute molti anni fa).
Quella, però, era una domanda secondaria rispetto a quella sullo stato di vita nel quale incasellare Santina per comodità biografica: non capivo, infatti, perché considerarla “giovane laica” se risultava che avesse emesso i voti religiosi in punto di morte.
A quest’ultimo interrogativo diede risposta la postulatrice generale delle Suore di Santa Giovanna Antida, a cui mi ero rivolta per capire la ragione per cui sant’Agostina Pietrantoni non è stata beatificata né canonizzata come martire in odio alla fede.
Oltre a chiarirmi quell’aspetto, come ho raccontato qui, mi spiegò che quelli di Santina erano voti di devozione: sul piano del Diritto canonico non avevano validità, a causa dell’assenza di un vescovo come autorità della Chiesa.
Come in almeno un altro caso che ho incontrato poi, penso che valga l’assunto secondo il quale salus animarum suprema lex; fuori dal “latinorum”, vuol dire che la superiora delle suore di Villa Rinaldi ha agito così per il bene dell’anima di Santina, la quale era consapevole di donarsi interamente a Dio, compiendo quindi un desiderio a cui si era allenata dall’adolescenza.
Mentre cercavo di capire chi si occupasse della sua causa, avevo peraltro scoperto che, nel 2017, l’oratorio di San Barnaba a Perugia le aveva dedicato un appuntamento sui quattro che avevano come tema la santità nei e per i giovani.
Ero davvero felice che, accanto ai soliti noti (almeno per me), qualcuno si ricordasse anche di lei: precisamente, si trattava di un signore che le è devoto da cinquantaquattro anni, come ha scritto in un commento su Facebook. Una costanza ammirevole, non c’è che dire.
Infine, lo scorso mese, mi sono accorta che si parlava di lei sulla rivista Il Segno del Soprannaturale. Non la leggo quasi mai, ma, se vedo in copertina qualche soggetto interessante, cerco di capire se valga la pena di comprarla.
In questo caso, la risposta era negativa: non solo l’articolo riprendeva il profilo di santiebeati, con tutte le sue inesattezze e l’accento sull’aspetto doloristico della testimonianza di Santina, ma sosteneva che, appunto, provenisse dal sito ufficiale (come magra consolazione, almeno riportava il link corretto, cosa che non succede molto spesso). Fosse stato in me, avrei citato la pagina presente sul sito della diocesi di Avezzano: quella sì che ha una maggiore patente di ufficialità.
Scoprire la sua vicenda e approfondirla mi ha portato a scoprire che effettivamente io e lei abbiamo molto in comune. Anch’io, infatti, ho un carattere ai limiti della testardaggine, quando cerco di ottenere qualcosa. Soprattutto, anche a me piacciono quelle che ai tempi di Santina erano definite “buone letture”, specie quelle che parlano di esempi santi.
La biografia piccola di don Meaolo riferisce, infatti, che lei aveva sentito parlare di Antonietta Meo, per amici e devoti (me inclusa, come raccontavo nel post su di lei) Nennolina: quella bambina di Roma ora è Venerabile, grazie alla fama di santità che si era diffusa già pochissimi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1937, soprattutto nei gruppi della Gioventù Femminile di Azione Cattolica.
Santina, quindi, si sentì spronata a imitarla e a sua volta raccontò di lei alla sorella Assunta, l’unica, della sua famiglia, che poi si sposò e divenne madre. Quest’ultima si spazientì, perché non era la prima volta che la sorella si entusiasmava per qualche figura di cui sentiva la storia e che voleva emulare: in effetti, le era già capitato con santa Teresa di Gesù Bambino (alla quale anch’io mi sento affine).
Molti, nel corso del tempo, hanno affiancato queste due giovani Testimoni, Santina di nome e la “santina delle rose”: principalmente, però, a causa della tubercolosi che le afflisse e che un tempo appariva la “malattia dei santi” per eccellenza. In minor misura, c’è chi sostiene che si somigliassero fisicamente, come dimostra il raffronto tra le loro fotografie.
A parere mio, si assomigliano, oltre che per questi aspetti, per aver vissuto dei rapporti di sorellanza, o meglio, di maternità spirituale, espressa anche tramite molte lettere, nei confronti di sacerdoti missionari.
Santa Teresa si vide affidare padre Maurice Barthélémy-Bellière, dei Padri Bianchi, e padre Adolphe Roulland, della Società delle Missioni Estere di Parigi. Invece Santina aveva ricevuto padre Andrea Mezza, degli Oblati di Maria Immacolata, missionario in Canada: padre Aristide Di Fausto, confessore delle novizie e anche lui Oblato di Maria Immacolata, le aveva chiesto di pregare per lui.
Il suo Vangelo
L’esperienza spirituale di Santina passa per il dolore, vissuto in molte forme, non solo quello dovuto alla malattia. Credo, però, che non sia giusto ricordarla solo per la sofferenza in sé, o per come l’ha vissuta, che va già bene, ma per la caratteristica che l’ha sempre accompagnata, ovvero il coraggio.
La caparbietà che si vedeva in lei dai primi anni si è mostrata in modo particolare durante gli anni della guerra: scappando di rifugio in rifugio, pur febbricitante e sempre più grave, riusciva a indicare agli altri che poteva ancora esserci speranza. Allo stesso modo, ha accompagnato le vocazioni dei fratelli senza mai venire meno: ecco spiegata, dunque, la sua insistenza a voler essere “vittima” per loro.
Quando poi è toccato a lei, si è impegnata tornando sui banchi di scuola: all’Istituto Magistrale Santa Antida riuscì a concludere il programma di tre anni in uno solo, per prepararsi meglio a quella che credeva sarebbe stata la sua missione di Suora della Carità.
Infine, arrivata in sanatorio, mise in campo tutte le sue risorse per migliorare l’ambiente in cui si trovava, né più né meno di quando radunava i bambini per insegnare loro a pregare e premiava i più assidui con piccoli regali.
Lo fece anche tramite il giornalino di collegamento «Il Piccione», sul quale, come ho già detto, si firmava «Sentinella della Croce». Una sentinella è un soldato speciale, a cui è affidato il compito di vigilare e di avvisare quando vede sopraggiungere il nemico. Per quello che raccontano le biografie, Santina ha saputo vigilare su tutta se stessa, corpo e anima, ma anche su quanti sentiva di dover amare perché Dio glieli aveva affidati.
Doveva apprezzare parecchio le metafore militaresche, perché le usa anche in una lettera alla sorella Assunta, datata 28 novembre 1947:
Coraggio, dunque, siamo generose, non avviliamoci dinanzi alle prove di questa vita. Quando si conosce che un soldato è valoroso? Certamente quando torna da fronte; ed allora come possiamo ripetere a Gesù che Lo amiamo, se non col dimostrarglielo durante la prova?
È un incoraggiamento che vale anche per chi è sano nel corpo e per i malati di oggi, che la Chiesa invita a ricordare soprattutto nella Giornata Mondiale del Malato.
Per saperne di più
Ennio Grossi, La Novena dell’Immacolata con la Serva di Dio Santina Campana, Edizioni Palumbi 2019, pp. 48, € 4,00.
Un sussidio per la Novena dell’Immacolata, basato su un commento all’inno Tota pulchra cui sono abbinati pensieri tratti dal Diario e dalle lettere di Santina; contiene anche, in appendice, la preghiera all’Immacolata di papa Pio XII, a cui lei era molto affezionata e che vide una volta di persona, e altre espressioni dalle lettere di Santina, come meditazione per la Novena di Natale.
Ennio Grossi, Via Crucis con la Serva di Dio Santina Campana, Edizioni Palumbi 2020, pp. 64, € 5,00.
Un sussidio per meditare la Via Crucis: a ciascuna delle quattordici stazioni dello schema tradizionale sono abbinati due brani scritturistici e due estratti dagli scritti di Santina (tranne che per l’introduzione e la conclusione, dove ne è riportato uno).
Non esiste un sito ufficiale di Santina e nemmeno una pagina Facebook controllata dalla vicepostulazione o dall’Associazione Diocesana Santina Campana, che ora segue la sua causa.
Come indicato sulle più recenti pubblicazioni su di lei, per segnalare grazie ricevute e richiedere materiale divulgativo, inviterei a contattare direttamente la diocesi di Avezzano, inserendo però nell’oggetto dell’e-mail “A proposito della Serva di Dio Santina Campana”.
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