Don Enzo Boschetti: un’avventura di servizio, preghiera e Carità

Don Enzo in una foto in posa del 1991,
la stessa usata per le sue immaginette
(fonte)
Chi è?

Enzo Boschetti (al Battesimo, Enzo Maria) nacque il 19 novembre 1929 a Costa de’ Nobili, in provincia e diocesi di Pavia, secondo dei tre figli di Silvio Boschetti, prima falegname e poi autotrasportatore, e di sua moglie Carolina Giulia. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza al suo paese, proseguendo gli studi, dopo le elementari concluse a fatica, alle scuole commerciali di Belgioioso.

A diciassette anni era già socio dell’Azione Cattolica e partecipava frequentemente ai ritiri spirituali dell’associazione, spesso nella Villa Sacro Cuore a Tregasio di Triuggio. Durante uno di questi ritiri, sentì di dover abbandonare le illusioni del mondo e d’impegnarsi per cercare la propria vocazione.

Per questa ragione, nel 1949, lasciò la famiglia (praticamente scappando di casa) e fu ospitato per tre settimane dai Gesuiti che all’epoca gestivano Villa Sacro Cuore. Ritrovandosi pienamente nella lettura della Storia di un’anima di santa Teresa di Gesù Bambino, fu accompagnato dal superiore della comunità a incontrare il superiore provinciale dei Carmelitani Scalzi.

Il 17 aprile 1949 Enzo entrò nel convento dei Carmelitani Scalzi a Concesa: inizialmente aveva scelto la vocazione sacerdotale, ma fu orientato dai superiori a diventare fratello laico, sia perché c’erano già molti postulanti in formazione verso il sacerdozio, sia a causa di alcune lacune scolastiche. Dal 29 luglio 1949 fu invece a Parma, per i sei mesi di postulandato e il primo anno di noviziato. Alla vestizione, l’11 febbraio 1951, prese il nome di fra’ Giuliano di Santa Maria.

Tornato a Concesa per il secondo anno di noviziato, emise la professione semplice il 22 febbraio 1953 e quella solenne il 15 gennaio 1956. Maturò un forte desiderio per la missione, che si concretizzò nella primavera dello stesso anno, quando fu inviato alla missione carmelitana in Kuwait. Lì divenne più forte la sua vocazione al sacerdozio: sentiva, infatti, pur stimando i religiosi fratelli, che solo da sacerdote avrebbe potuto aiutare i giovani a fare la stessa scoperta che era accaduta a lui.

Il 10 giugno 1956, pochissimi mesi dopo la sua partenza, fra’ Giuliano rientrò in Italia, colto da una grave crisi psicofisica, acuita dal fatto che le regole del suo Ordine non permettono a un religioso che ha professato come fratello laico di diventare sacerdote. Il 10 dicembre 1956, dopo un discernimento sofferto, ottenne la dispensa dai voti.

Accolto a Villa Grazia a Giogoli presso Firenze, una delle sedi dell’opera fondata dalla dottoressa Antonietta Capelli dedita, tra l’altro, al sostegno delle vocazioni adulte al sacerdozio, Enzo intraprese gli studi teologici, che concluse a Roma presso la Pontificia Università Lateranense, risiedendo, negli ultimi due anni, presso il Pontificio Seminario Lombardo. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1962, incardinandosi nella diocesi di Pavia.

Il suo primo incarico fu come viceparroco a Chignolo Po, seguito, nel 1965, da quello nella parrocchia del Santissimo Salvatore a Pavia, occupandosi anche della pastorale degli operai e dei nomadi. Ascoltando le sofferenze di molti giovani, perlopiù emigrati dal sud Italia per cercare lavoro, cominciò a ospitarli per la notte in un garage in viale Libertà, che una parrocchiana aveva messo a sua disposizione perché lo trasformasse in un oratorio. Il 28 febbraio 1968 ottiene da monsignor Carlo Allorio, vescovo di Pavia, di trasferirsi lì in pianta stabile: quello spazio divenne l’Oratorio e la Cappella del Sacro Cuore.

Don Enzo cominciò anche a riunire i volontari che nel frattempo erano arrivati ad aiutarlo, guidandoli nella preghiera e nella meditazione sul Vangelo. A loro propone un metodo di accoglienza che punti anche alla responsabilizzazione degli ospiti, con uno stile di vita umile e povero.

Il 20 aprile 1971 acquistò un appartamento in via De Pretis a Pavia: fu quella la prima sede della Piccola Opera San Giuseppe. Da quell’appartamento passò a uno stabile più ampio, che da allora fu la Casa Madre della Comunità Casa del Giovane.

Affrontando le inevitabili incomprensioni, don Enzo e i suoi volontari ampliarono il loro raggio di azione alle provincie limitrofe e alle situazioni di bisogno più disparate: donne sole, tossicodipendenti, persone senza fissa dimora, ragazzi abbandonati.

A partire dal 1978, alcuni ragazzi e ragazze cominciarono a fargli presente di voler donare interamente la propria vita ai poveri. Sorse quindi la Fraternità di Vita della Casa del Giovane, composta da sacerdoti, consacrati e consacrate e da alcune famiglie.

L’impegno dovuto all’espansione della Comunità e all’ascolto di tanti bisogni incise sulla salute di don Enzo, anche sul piano morale. Dopo un’operazione allo stomaco, nel 1987, cominciò a essere di nuovo tormentato dall’esaurimento nervoso e ad aver bisogno sempre di più di momenti di riposo. Nonostante questo, continuò a seguire la formazione dei futuri membri consacrati e dei Definitivi della Comunità (i fratelli e le sorelle che vivevano stabilmente da consacrati nelle varie case) e a riflettere su come poter aiutare i poveri e i giovani e sulle cause dei loro disagi.

L’11 febbraio 1992 monsignor Giovanni Volta, vescovo di Pavia, riconobbe la Fraternità di Vita della Casa del Giovane come Associazione privata di fedeli. Nel settembre dello stesso anno, don Enzo fu ricoverato nell’ospedale di Esine, in provincia e diocesi di Brescia, per sottoporsi a cure chemioterapiche: gli era infatti stato diagnosticato un tumore al pancreas. Seguì alcune cure anche nell’ospedale di Ghiffa. Morì a Esine il 15 febbraio 1993, alle 4.30 del mattino.

L’inchiesta diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione si svolse a Pavia dal 15 febbraio 2006 al 15 febbraio 2008. L’11 giugno 2019 papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sull’eroicità delle sue virtù.

Le spoglie di don Enzo riposano presso il cimitero di Costa de’ Nobili, suo paese natale, precisamente nella tomba di famiglia.


Cosa c’entra con me?


Abitavo ancora nella mia parrocchia d’origine e frequentavo il gruppo adolescenti, quando partecipai a un ritiro alla Casa del Giovane. Doveva essere tra il 1999 e il 2003, più probabilmente il 2003. Forse era lo stesso in cui vidi un quadro che raffigurava una sorta di frate con un abito bianco su cui spiccava un cuore sormontato da un cuore: si trattava, come mi spiegò il sacerdote che seguiva me e compagni, di Charles de Foucauld.

Di quel ritiro ricordo che mi fece molta impressione incontrare gli ospiti della Comunità: era la prima volta che vedevo persone impegnate a uscire da un percorso di dipendenza da droghe e altre sostanze. 

Al vedere il don così interessato, mi venne da pensare che forse avrebbe lasciato noi per trasferirsi lì; ci avrebbe lasciati dopo non molto tempo, ma per un’altra ragione. Non ricordo, però, se avessi sentito parlare di don Enzo.

Parecchi anni dopo, quand’ero ormai universitaria, mi trovai a passare per la cappella di San Giuseppe ai Padiglioni, del Policlinico di Milano; non ricordo se fosse per una semplice preghiera o se fosse in concomitanza della degenza di uno dei miei genitori.

In ogni caso, nello spazio dove i fedeli lasciano immaginette e opuscoli da condividere (io stessa l’ho fatto di frequente), trovai un’immagine di don Enzo: leggere dietro che era il fondatore della Casa del Giovane mi fece tornare in mente il ritiro. Sul retro del santino c’era l’indirizzo del sito della Casa del Giovane: appena ne ebbi la possibilità, andai a visitarlo, per appurare a che punto fosse la causa.

Dopo quel fatto, non me ne curai praticamente più. Solo la notizia del decreto sulle virtù eroiche risvegliò, seppur temporaneamente, il mio interesse. Il risveglio definitivo è avvenuto, però, solo l’anno scorso, dopo che mi sono procurata un libro su di lui uscito nel 2021.

Avevo iniziato a leggerlo, ma mi sono interrotta quando ho ripreso in mano il santino che avevo trovato e mi sono resa conto che quest’anno sarebbero caduti i trent’anni dalla morte di don Enzo: a quel punto, sarebbe stato più opportuno occuparmene in quell’occasione. Così, la scorsa settimana, ho ricominciato la lettura daccapo.

Il primo fatto che mi ha colpito è stato aver notato che il suo cammino avesse avuto una svolta durante alcuni ritiri a Villa Sacro Cuore, dove all’epoca c’erano ancora i Gesuiti, anzi, che andò lì dopo essere scappato di casa; la notizia della chiusura della Villa, avvenuta poco dopo il mio ultimo ritiro lì, mi addolora ancora di più.

Ho letto poi che, per il noviziato, il futuro fra’ Giuliano aveva risieduto nel convento della Divina Maternità di Concesa. È un luogo che ho visitato anch’io nel 2009, accodandomi a un ritiro per i ragazzi del mio oratorio perché avevo espresso il desiderio di visitare i luoghi dov’era vissuto il Venerabile Benigno di Santa Teresa di Gesù Bambino (una di quelle figure di cui mi sono ripromessa di parlare, ma non ho ancora colto l’occasione giusta). Lui e il futuro don Enzo, però, non si sono conosciuti, in quanto padre Benigno è morto nel 1937.

Proseguendo nella lettura, sono stata colpita da un altro aspetto: nella parte del libro che presenta una sorta di diario scritto nel 1989, don Enzo scrive sempre la parola “carità” con l’iniziale maiuscola. È un evidente segno di come avesse in altissima considerazione questa virtù e di come fosse diventato consapevole di non ridurla ad assistenzialismo: anzi, insieme alla preghiera, era quello che, secondo lui, doveva distinguere le opere come la Casa del Giovane da altre realtà.

Un aspetto di lui che invece non mi pare molto sottolineato è l’importanza che lui dava alla stampa: sia come strumento educativo per il lettore, sia per chi lavora nella presentazione dei contenuti. In effetti, la Casa del Giovane ha una piccola casa editrice.

Non mi sarei invece mai aspettata che un personaggio come lui vivesse in maniera tanto intensa il mistero della Comunione dei Santi. Don Enzo, infatti, riteneva che non fosse una parola vaga, ma che emergesse dal Vangelo. Sentiva per esperienza che il bene compiuto da una persona riusciva a raggiungere lui e molti altri, purché la Grazia potesse irrompere nei cuori.

Per questa ragione stimava i cammini di molte realtà di cui veniva a conoscenza, come quello della Comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, anche lui con la causa in corso adesso. 

Tra gli altri suoi contemporanei che condividevano un ideale simile al suo, dei quali peraltro la Chiesa sta valutando l’effettiva santità, per limitarmi solo a quelli che c’entrano anche con me, c’erano poi fratel Ettore Boschini (mandava al Rifugio del Cuore Immacolato di Maria fondato da quest’ultimo i giovani che vivevano il Tempo di Formazione vocazionale alla Casa del Giovane), fra Cecilio Cortinovis (all’epoca del Diario era morto da appena quattro anni; don Enzo ricorda che spesso riceveva da lui pasta e riso a volontà) e anche monsignor Antonio Bello, alias don Tonino (lesse almeno uno dei suoi libri, precisamente Sui sentieri di Isaia).

C’erano poi molte persone sue contemporanee nelle quali sentiva di aver intravisto un riflesso della presenza di Dio: il suo collaboratore Luigi Patrini, la canossiana madre Chiarina, la dottoressa Antonietta Capelli e molti altri. Aveva infine la stessa considerazione anche per il cardinal Carlo Maria Martini, che ascoltò negli Esercizi spirituali predicati al santuario di Rho intitolati Avete perseverato con me nelle mie prove, sulla vicenda di Giobbe (don Enzo gli raccontò di riconoscersi davvero in quella storia), e per monsignor Renato Corti, all’epoca Vicario generale a Milano (prese contatti con lui per cercare di aprire a Milano una casa per ragazze madri malate di AIDS).

Col futuro cardinal Corti, però, don Enzo aveva un’affinità più profonda, basata sulla comune conoscenza di Charles de Foucauld, ora Santo; ecco quindi perché, in quel ritiro, avevo visto una sua immagine.

Negli anni del noviziato carmelitano, infatti, gli avvenne di leggere Come loro – Nel cuore delle masse di padre René Voillaume: come molti altri, arrivò alla scoperta di cosa significasse vivere la vita di Nazareth, in preghiera e servizio.

Infine, non dimenticò mai la vita trascorsa al Carmelo e i suoi Santi riformatori, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, e si confrontò con le vite di due dei Santi di più recente canonizzazione, ovvero san Riccardo Pampuri (venerato a Trivolzio, sempre dalle parti di Pavia) e santa Maddalena di Canossa (don Enzo frequentava le madri Canossiane di Pavia ed era loro confessore).


Il suo Vangelo


La Casa del Giovane si presenta come una comunità di vita evangelica e di servizio, anzi, dove il servizio è nato dalla preghiera. Anche la vita di don Enzo è stata caratterizzata da questi due aspetti che mai si escludevano, nemmeno quando le sue condizioni fisiche e morali peggioravano.

Anzi, proprio quando la depressione – se la chiamiamo clinicamente – o la notte oscura – se vogliamo considerarla come prova spirituale; avendo poi lui trascorsi da Carmelitano Scalzo, il termine è ancora più efficace – incalzava, lui si aggrappava a Dio. Sono frequenti, nel Diario, le occasioni in cui lui invoca Dio per essere più disponibile e paziente, nonché per capire come guidare la Comunità (in realtà, il 10 agosto 1986, aveva presentato le dimissioni da responsabile primo, ma erano state respinte).

Come spesso accade, quasi nessuno, all’esterno, percepiva queste profonde preoccupazioni. Per quanti arrivavano da lui, don Enzo rappresentava davvero la possibilità di tornare a sperare: “Don Enzo è la speranza”, aveva titolato in prima pagina La Provincia Pavese.

Dal canto suo, nel Diario, lui commentava:

Vorrei davvero essere la speranza e la fiamma d’amore che arde per tutti questi fratelli poveri e abbandonati, perché non amati. Vorrei che l’amore si facesse carico di tutte le loro vere e profonde esigenze. Invece, devo riflettere, aspettare e fare i conti con le possibilità. Prego perché il Signore mi faccia sempre più “strumento” del Suo amore di Padre.

A dirla tutta, ho come l’impressione che la Casa del Giovane non sia più tanto famosa dalle mie parti; magari il trentennale di don Enzo potrebbe aiutare a riscoprirla e a riconoscere in lui il testimone di una Carità maiuscola.


Per saperne di più


Enzo Boschetti, Le radici del servizio. Meditazioni sulla carità come servizio e pienezza di vita, OCD 2007, € 12,00.

Riflessioni sui binomi che don Enzo riteneva fondamentali per la vita della Casa del Giovane e per l’esistenza umana in generale.


Enzo Boschetti, Carissimo don... Lettere dall'emarginazione e risposte per liberare la libertà, OCD 2007, € 12,00.

Raccolta di circa cento lettere ricevute da don Enzo dal 1970 al 1990, divise per temi, con il suo commento.


Enzo Boschetti, Donarsi nel servizio. Un cammino di liberazione e di promozione umana e cristiana, OCD 2008, pp. 186, € 12,00.

Altri pensieri e testimonianze sul senso del servizio per don Enzo.


Enrico Impalà, Le confessioni di don Enzo Boschetti - La lode, la vita, la fede, San Paolo Edizioni 2021, pp. 276, € 15,00

Volume che presenta in sintesi la vita di don Enzo e riporta il testo del suo Diario del 1989.


Tranne l’ultimo sono di difficile reperibilità: suggerisco allora di rivolgersi direttamente alla Casa del Giovane per ordinarli.


Su Internet


Sito ufficiale della Comunità Casa del Giovane 

Sito ufficiale della causa di don Enzo 

Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi con un profilo biografico e il testo del decreto sulle virtù eroiche 

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