Madre Serafina della Croce: senza amare non si può stare

Vera foto di madre Serafina,
realizzata presso lo stabilimento fotografico
di Aurelio Betri a Cremona
(
fonte)


Chi è?

Ancilla Ghezzi nacque a Monza il 24 ottobre 1808, quartogenita e penultima figlia di Carlo Ghezzi, operaio in una fabbrica di cappelli, e Teresa Galbiati, domestica a ore. Ancora bambina dovette cominciare a lavorare in una bottega di colletti e bretelle, interrompendo la scuola.

Adolescente, andò a servizio di alcune famiglie, resistendo alle insidie dei padroni presso i quali passò. In cerca di un lavoro più sicuro,fu assunta come operaia in un negozio di manifatture, quindi, dal 1830 circa, alla Filanda Corti.

La sua vita spirituale intensa si tradusse anche in fenomeni insoliti, che si verificavano anche mentre lavorava come inserviente al Collegio Bianconi di Monza. Dal settembre 1844, insieme alla madre, andò a vivere in un piccolo appartamento nei pressi del Carrobiolo a Monza, ma continuava ad avere manifestazioni strane.

Per due mesi, dal 3 febbraio al 24 aprile 1846, fu ricoverata all’ospedale di Porta Nuova a Milano e sottoposta a vari esami, a causa delle pesanti accuse contro di lei, giunte perfino all’arcivescovo di Milano, il cardinal Carlo Gaetano Gaysruck. Tornata a Monza, ebbe nuove calunnie, ma trovò una nuova guida spirituale nella persona di padre Giampietro Curti, barnabita.

Ancilla, col passare degli anni, divenne sempre più certa che il Signore volesse da lei la fondazione di un monastero dove si praticasse l’Adorazione Eucaristica perpetua. Quell’ispirazione le era giunta il 22 maggio 1845, solennità del Corpus Domini.

Dalla sera del 3 novembre 1849 cominciò a fare vita comune con tre compagne, in un altro piccolo appartamento in affitto al Carrobiolo. Nel 1852, un decreto dell’Imperial Regia Luogotenenza riconobbe la “Pia Società di vergini dette Sacramentine esistente nella città di Monza”, sotto la responsabilità di monsignor Francesco Zanzi, arciprete della basilica di San Giovanni Battista (ovvero il Duomo) di Monza.

Aiutata da padre Curti, nel frattempo trasferito a Milano, fu indirizzata ad abbracciare la Regola delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, fondate nel 1808 da madre Maria Maddalena dell’Incarnazione (beatificata nel 2003).

Il 4 novembre 1856 Ancilla e Giuseppina Carrer partirono per Roma, dove avrebbero svolto la regolare formazione nel monastero delle Adoratrici Perpetue. Il 5 dicembre 1856 vestirono l’abito religioso e, il 29 settembre, compirono la professione religiosa: Ancilla divenne quindi suor Serafina della Croce. La fondazione del monastero divenne effettiva il 15 dicembre 1857, con sede presso l’antico monastero delle Umiliate intitolato a santa Maria Maddalena.

Suor Serafina venne nominata maestra delle novizie; divenne superiora con l’elezione avvenuta durante il primo Capitolo del monastero, il 3 marzo 1863 e fu rieletta fino alla morte. Resistette con fiducia al rischio di soppressione del monastero, che ebbe una filiazione a Innsbruck, in Austria, dove lei stessa si recò nel 1871. Morì l’8 febbraio 1876, nel monastero di Monza.

I suoi resti mortali riposano nella tomba scavata nel pavimento della chiesa pubblica del monastero delle Adoratrici Perpetue di Monza (con ingresso da via Italia 37), di fronte all’altare; accanto alle sue, riposano anche le spoglie di monsignor Zanzi.

La Congregazione delle Cause dei Santi ha accolto il Transumptum del processo informativo, aperto nella diocesi di Milano il 13 marzo 1943.

 

Cosa c’entra con me?

 

Colei di cui tratto oggi è una di quelle figure native della mia diocesi delle quali non conoscevo affatto l’esistenza. Non avevo mai letto nulla su di lei sui mezzi di comunicazione cartacei e online; nemmeno avevo trovato in giro immaginette o qualcosa di simile, almeno fino alla festa di sant’Ambrogio del 2013. Sono riuscita a risalire alla data perché ricordo che avevo già traslocato e perché quell’anno, il 7 dicembre, ci fu un’abbondante nevicata a Milano.

Insomma, mi trovavo proprio nell’atrio della basilica di Sant’Ambrogio, dopo aver partecipato al Pontificale dell’Arcivescovo di Milano, quando mi fermai presso un banco-vendita di libri a prezzi stracciatissimi; non vorrei sbagliarmi, ma erano appartenuti a un monsignore da poco deceduto. Ne comprai tre o quattro, compreso quello su madre Serafina.

Tuttavia, poco dopo aver cominciato a leggere, mi passò la voglia di andare oltre: provai una viva impressione nel leggere i racconti delle apparizioni, dei sogni e delle visioni che Ancilla ebbe sin da bambina, anche se l’autrice li presentava in maniera sobria, basandosi sulle fonti storiche (ossia le tre biografie contemporanee alla sua vita, le memorie scritte dai suoi confessori e direttori spirituali e anche da due monache, una delle quali era sua nipote) e premettendo un’introduzione a scopo di cautela. Peraltro, non mi era chiaro se per lei fosse in corso la causa di beatificazione. Così lasciai il libro su uno degli scaffali di casa mia, che intanto andavano affollandosi di altri volumi e di altre storie che, almeno per il momento, reputavo più interessanti.

Tuttavia, quando mi sono trovata a percorrere via Italia a Monza mentre mi dirigevo verso il parco che avrebbe ospitato la Messa per la visita di papa Francesco, sono passata davanti alla chiesa del monastero. È successo anche in altre mie brevi visite in quella città, però non ho mai pensato di fermarmi, tanto più che la porta sembrava chiusa.

A settembre scorso, ho saputo che una delle tappe diocesane de Il cammino del Cuore, l’itinerario formativo proposto per contribuire alla ricreazione dell’Apostolato della Preghiera, o meglio della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, sarebbe stata proprio nella chiesa delle Adoratrici Perpetue.

In quanto segretaria diocesana di quella realtà – come abbia avuto quell’incarico è una storia lunga, che prima o poi racconterò per esteso – ero tenuta ad andare, ma ammetto che volevo anche cogliere l’occasione per visitare quella chiesa. Per prepararmi a quell’appuntamento, allora, ho pensato bene di riprendere la biografia di madre Serafina.

Nel frattempo, aver affrontato altre vicende di donne, religiose o laiche, dall’intensa vita spirituale, caratterizzata anche da segni eccezionali (penso, ad esempio, alla Beata Edvige Carboni), mi aveva aiutata parecchio a riconoscere che la loro santità, verificata a più livelli o ancora tutta da dimostrare, non doveva ridursi a quelle esperienze, ma essere, ancora una volta, vista nel suo complesso.

Sabato 21 febbraio, quindi, sono arrivata alla chiesa del monastero; per entrare, ho premuto un pulsantone nei pressi della porta (ecco perché sembrava chiusa). Pur rimanendo affascinata dal contesto in cui mi trovavo, che mi ha ricordato molto le mie visite alla chiesa della Visitazione a Milano quando c’era l’Adorazione al primo venerdì del mese, ammetto di aver cominciato a guardare se, da qualche parte, ci fosse qualche altro materiale sulla fondatrice.

Non vedendo nulla, ho pensato che, forse, avrei potuto domandare alle monache, una volta terminato il momento di preghiera. Così sono riuscita a raccogliermi e pregare bene, pensando anche al tema di quella tappa, che era «Vi ho chiamato amici».

Quando l’ora di adorazione prefissata si è conclusa, ho chiesto a Raffaele, il coordinatore diocesano della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, anche lui lì presente, se fosse il caso di andare a ringraziare le monache per l’ospitalità; in fin dei conti, avremmo potuto provare a trovarle, visto che non erano impegnate nella Liturgia delle Ore.

Abbiamo quindi guadagnato l’uscita, poi svoltato alla nostra destra e preso via Santa Margherita, fermandoci al civico 2. Da lì è uscito un signore, al quale abbiamo spiegato che eravamo lì per via de Il Cammino del Cuore e che avremmo voluto salutare le monache. Quell’uomo, che si è poi presentato come Luciano, ha preso il telefonino per avvisarle, quindi ci ha chiesto di aspettare nella saletta dove, nel frattempo, eravamo entrati.

Dopo qualche minuto di attesa, Luciano ci ha fatto cenno di entrare in parlatorio, dove ci attendeva una giovane monaca, suor Benedetta. Anche lì sono rimasta molto impressionata: era la prima volta, dopo anni, che mi avvicinavo a una claustrale, sebbene tra me e lei ci fosse una grata.

Raffaele ha quindi ringraziato per la gentilezza che lei e consorelle avevano dimostrato sin da quando avevano accolto la sua proposta. Dal canto mio, avevo pensato che fosse il momento più opportuno per chiedere se avesse a disposizione la più recente biografia della fondatrice.

Abbiamo avuto un lieve fraintendimento: io intendevo quella di madre Serafina, ma lei si riferiva, giustamente, a quella della Beata Maria Maddalena dell’Incarnazione, al secolo Caterina Sordini, fondatrice delle monache Adoratrici Perpetue in generale.

Comunque è riuscita a procurarmi quella che cercavo (ne ho chiesta una copia anche per Raffaele), più un opuscolo per bambini che riprende le parole della Beata Maria Maddalena su come vivere la Messa e una selezione di suoi pensieri spirituali, uscita poco prima della beatificazione ma sempre valida.

Ho ricambiato col biglietto da visita su cui ho stampato l’indirizzo di questo blog e i miei contatti, oltre che con un’offerta che, mi sono accorta troppo tardi, non corrispondeva al prezzo di copertina dei libri che avevo chiesto.

Nel corso della lettura, ho appurato come Ancilla, sin da quando viveva ancora nel mondo, avesse un profondo senso della Comunione dei Santi. Considerava infatti sua maestra spirituale santa Teresa d’Avila, con la quale, secondo le biografie coeve, aveva parlato più volte in visione.

Viveva quel mistero anche in senso orizzontale, per così dire: con la preghiera sentiva di partecipare, a suo modo, ai problemi della società italiana, che si avviava allo Stato unitario. Nei suoi intensi colloqui spirituali, a volte anche estatici, si sentiva ispirata a pregare davvero per tutti, perfino per il re Carlo Alberto di Savoia. Lo testimonia anche una sua preghiera, quasi in forma litanica, nella quale raccomanda a Gesù coloro che governano, supplicandolo in nome di varie manifestazioni del suo amore.

Inoltre si è trovata a incrociare la propria strada, in vario modo, con alcuni candidati agli altari, a cominciare da una delle sue compagne in filanda: Maria Matilde Bucchi, futura fondatrice delle Suore del Preziosissimo Sangue (o Preziosine) di Monza, attualmente Venerabile. Più avanti, ormai col monastero avviato, ebbe rapporti anche epistolari con monsignor Luigi Talamoni, fondatore delle Suore Misericordine di San Gerardo, Beato dal 2004.

Inoltre, prima di fondare il suo monastero, aveva incontrato don Marco Passi, fratello di quel don Luca che avrebbe di lì a poco fondato le Suore Maestre di Santa Dorotea e che è stato beatificato nel 2013 (avevo preso anche la sua biografia insieme a quella di madre Serafina).

Don Marco, che le era stato presentato dal confessore, le aveva proposto di farsi monaca nel monastero che lui avrebbe voluto fondare; a quello scopo, si offriva perfino di aiutarla a completare gli studi.

La risposta di Ancilla fu che non si sentiva chiamata a quella scelta: avrebbe poi capito che doveva seguire la vita, quindi la Regola, delle Sacramentine, avviata dalla Beata Maria Maddalena dell’Incarnazione (nella sala vicina al parlatorio c’è una lunetta dove sono raffigurate insieme).

Infine, anche se non direttamente, condivideva il problema educativo avviato da due Santi suoi contemporanei: san Lodovico Pavoni, fondatore dei Figli di Maria Immacolata (non lo conobbe di persona, ma tramite la scelta di aderire ai suoi religiosi da parte di un sacerdote di Monza, don – poi padre – Luigi Dossi) e san Giovanni Bosco (di passaggio per Monza, l’andò a trovare due volte).

 

Il suo Vangelo

 

Il messaggio che ancora oggi madre Serafina indirizza a tutti è quanto lei stessa aveva sperimentato in vita e insegnato alle prime compagne, quindi alle altre Sacramentine monzesi: bisogna amare la Croce e l’Amore. Questo implica riconoscere che è con la Croce che Gesù ha salvato l’umanità, ma anche che l’ha fatto per amore, restando però sempre presente nell’Eucaristia.

Anche lei ha quindi vissuto profondamente la Parola in cui Gesù ricorda agli apostoli di averli chiamati amici perché ha confidato loro ciò che aveva ricevuto da Dio Padre. Vale non solo per i colloqui mistici di cui riferiscono le biografie, ma anche per i momenti in cui le sembrava di non vedere chiaro, a causa dei rivolgimenti politici. L’amicizia del Signore era davvero la sua unica certezza e la portava a sperare, sicura che Lui avrebbe risolto ogni cosa.

A questo incoraggiava i suoi numerosi corrispondenti, anche da fuori diocesi. A don Giuseppe Zanetti, parroco a Venezia, scrisse così il 3 novembre 1872:

Siccome vicino al fuoco non si può stare senza bruciare, così amiamo, amiamo e fra le fiamme dellamoroso incendio gridiamo con le parole, gridiamo con le opere: senzamare non si può stare. 

Di questo amore sono speciali testimoni le monache di Monza, ben diverse da colei che fu immortalata da Manzoni nei Promessi Sposi, e chiedono lo stesso per tutto il mondo, sull’esempio della loro fondatrice.

 

Per saperne di più

 

Massimiliano Taroni, Madre Serafina della Croce – Fondatrice del monastero di Monza delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, Velar-Elledici 2013, pp. 48, € 3,50.

L’unica biografia attualmente in commercio; evidenzia i dati essenziali della sua vita e della fondazione del monastero.

 

Su Internet

 

Sezione su di lei del sito del monastero delle Adoratrici Perpetue di Monza

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