Atanasio di Alessandria, roccia della fede nell’Incarnazione del Verbo (Corona d’Avvento dei Testimoni 2025 # 1)
Maestro
di Sant’Ildefonso, Sant’Atanasio, ultimo quarto del XV secolo, Museo nazionale di scultura di Valladolid
(immagine di pubblico dominio) |
Chi è?
Atanasio nacque intorno al 295, quasi certamente ad Alessandria d’Egitto, città dove fu avviato alla formazione letteraria e teologica. In età giovanile entrò in contatto con i monaci del deserto, tra i quali abba Antonio, ma non ci sono certezze se sia diventato a sua volta monaco.
Divenne
presto un membro di spicco della Chiesa alessandrina: al seguito del vescovo
Alessandro, come suo segretario, prese parte al Concilio di Nicea (attuale İznik
in Turchia) e con lui sostenne la posizione contro i problemi dottrinali
suscitati dalla predicazione di Ario.
Alla
morte di Alessandro, gli succedette come vescovo di Alessandria. Le sue prese
di posizione gli attirarono l’ostilità dei seguaci di Ario e di altre dottrine
e gli causarono il primo esilio, dopo il Concilio di Tiro, nel 335: rimase
quindi a Treviri fino alla morte dell’imperatore Costantino, che l’aveva
esiliato pur senza sostituirlo alla guida della diocesi.
Tornato
quindi ad Alessandria nel 337, subì un nuovo esilio a causa di Eusebio di
Nicomedia: dal 339 al 345 visse quindi in Occidente, soprattutto a Roma. Quando
il figlio di Costantino, Costanzo, dopo essere riuscito a rimanere unico
imperatore, cercò d’imporre l’arianesimo a tutto l’impero, Atanasio si rifugiò
nel deserto, dove non rimase inerte: attraverso le sue lettere e altre opere,
difese la fede come rappresentata dal Credo riconosciuto nel Concilio di Nicea.
Sei
anni dopo poté rioccupare la sua sede episcopale, ma l’imperatore Giuliano,
inaspettatamente, cominciò a perseguitare i cristiani: Atanasio, quindi, ebbe
una nuova condanna all’esilio, che scontò tra i monaci di Tebe.
La sua
opera in difesa dell’ortodossia lo rese ostile anche al nuovo imperatore,
Valente, che lo esiliò altre due volte, nel 362 e nel 365. Ormai anziano,
Atanasio morì nella notte tra il 2 e il 3 maggio 373.
Fu tra
i primi vescovi non martiri a essere venerato come Santo; la sua memoria
liturgica ricorre il 2 maggio. Fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1568 dal
Papa san Pio V.
Le sue
spoglie sono state restituite nel 1973 da san Paolo VI al Papa della Chiesa ortodossa copta Shenuda III; da allora sono collocate in una delle cappelle inferiori della
cattedrale copta di San Marco al Cairo. In precedenza erano state sepolte ad
Alessandria, quindi erano traslate nella basilica di Santa Sofia a Istanbul e,
nel 1454, portate a Venezia e venerate nella chiesa di San Zaccaria.
Cosa c’entra con
me?
Tra i Testimoni che hanno a che fare con me ci sono anche grandi personaggi che hanno davvero fatto la Storia della Chiesa. Sant’Atanasio è uno di essi, per le ragioni che ora racconto.
Sicuramente
il primo incontro che ho avuto con lui è stato tramite le vetrate della chiesa
dove sono stata battezzata e che ho frequentato finché non ho traslocato: quattro
erano dedicate ai Padri della Chiesa greci, quattro ai Padri latini. Quasi non me
ne ero accorta, finché la stessa vetrata non è stata sostituita.
Una
conoscenza più diretta mi è arrivata leggendo la Vita di Antonio
comunemente attribuita a lui, che avevo preso in un volume allegato a Famiglia
Cristiana. Non ricordo cos’avessi pensato ai tempi, ma di certo ho tenuto
conto di quella lettura quando ho riflettuto su cosa mi lega ad abba Antonio o
Antonio il Grande, ovvero sant’Antonio Abate.
Nei
miei studi universitari, ho incrociato di nuovo Atanasio, quando ho scelto di seguire
il corso di Letteratura Cristiana Antica perché avevo dei crediti formativi in
eccesso e perché pensavo di scegliere quell’insegnamento per l’elaborato finale
del triennio. Neanche ho molta memoria di quello che mi è successo affrontando quello
che il manuale indicava di lui.
Ricordo
invece piuttosto bene che, un paio d’anni dopo, mentre mi documentavo per la
tesi di laurea del biennio specialistico in Letteratura Latina, in cui avevo
scelto di esaminare il De Virginibus di sant’Ambrogio sul piano
linguistico e stilistico.
Passando
per la Biblioteca Ambrosiana, ho incontrato uno dei sacerdoti Dottori dell’Ambrosiana
(credo di aver attaccato bottone con lui per averlo visto in televisione) e gli
ho chiesto qualche consiglio. Lui rispose che avevo scelto un tema molto denso
e che, pur concentrandomi su sant’Ambrogio, avrei dovuto tener presente la
riflessione che, circa un secolo prima, aveva sviluppato proprio sant’Atanasio.
Non
solo ho seguito il suo consiglio, ma più o meno negli stessi anni ho capito la
fatica che Atanasio aveva provato nel rimanere fedele a quanto lui stesso aveva
udito partecipando al Concilio di Nicea. Mi sono resa allora conto di quanto
sia importante capire cosa davvero la Chiesa insegna, così da custodirlo e
tramandarlo.
Lo
scorso 16 maggio, Daniele Bolognini, uno dei miei colleghi sull’Enciclopedia
dei Santi, Beati e Testimoni, mi ha annunciato che era appena uscito un
piccolo libro, di cui lui era uno dei due autori, proprio su sant’Atanasio,
sperando in una recensione per Avvenire. L’ho ringraziato, ma non sapevo
in quale occasione poterlo presentare, naturalmente dopo aver chiesto se la
redazione fosse d’accordo. L’occasione del viaggio apostolico di papa Leone XIV
in Turchia e in Libano poteva essere utile, ma sono stata impegnata parecchio e
non ho potuto rispettare la promessa.
Allora
ho pensato di parlare di lui qui sul blog, ma ho avuto moltissimo da fare nei
giorni scorsi; perfino il post sui canti del Symbolum temo che non sia venuto benissimo
proprio per questa ragione. Temevo quindi di non fare più in tempo, ma proprio
la lettura di quel libro mi ha dato una nuova ispirazione.
Non mi
è servito, quindi, solo per ripassare quello che avevo imparato una ventina d’anni
fa, tra dottrine considerate eretiche per le più disparate ragioni, vescovi che
se ne lasciavano convincere, altri vescovi che le combattevano con la parola e
con lo scritto e un popolo che, come dichiarò sant’Ilario di Poitiers nella sua
opera Contro gli ariani, aveva orecchie più sante dei cuori di coloro
che avrebbero dovuto guidarlo.
Mi ha
infatti aiutato a riconoscere, come ha affermato anche il Papa nel suo discorso
durante l’incontro di preghiera di venerdì scorso con i vescovi, i sacerdoti, i
diaconi, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali nella cattedrale
dello Spirito Santo a Istanbul, che oggi molti, anche credenti, vivono una
sorta di arianesimo di ritorno: ammirano Gesù come un grand’uomo, capace di sconvolgere
la società del suo tempo, ma non lo riconoscono come il Figlio di Dio presente
e operante ancora tra di noi.
Ha testimoniato la
speranza perché…
Se sul piano dottrinale Atanasio è stato un maestro indiscusso, lo è stato anche per la santità di vita e per come ha affrontato tutte le avversità che si sono poste di fronte a lui, tra contrasti con gli imperatori da Costantino in giù e con i vescovi ariani. Lo aiutava in questo la familiarità con i Padri del Deserto, come Antonio il Grande e Paolo di Tebe, ma anche con la frequentazione della Scrittura.
A sua
volta ha alimentato la speranza nel popolo di Dio, durante ogni suo periodo di
esilio. Come sottolinea Leone XIV nella Lettera apostolica In unitate fidei,
la sua speranza non è morta con lui: è stata trasmessa ai cosiddetti “giovani niceni”,
fino a sant’Ambrogio e a sant’Agostino, e ha stimolato la riflessione sulla
dottrina cristiana di John Henry Newman, anche lui Santo e da poco Dottore
della Chiesa.
Il suo Vangelo
Alla fine non è stato un male aver rimandato la mia riflessione su sant’Atanasio: è capitata proprio all’inizio della nuova Corona d’Avvento dei Testimoni, ossia la rassegna di personaggi che mi paiono essere stati particolarmente sensibili al Mistero dell’Incarnazione.
Nei
suoi scritti ha infatti evidenziato come gli ariani, non i vescovi fedeli al
Credo di Nicea, avessero attinto alla filosofia greca, particolarmente a quella
neoplatonica, perché sostenevano che il Figlio non esistesse da sempre e che,
come intermediario tra l’uomo e Dio, visto come lontano e irraggiungibile, ci fosse
invece il Verbo.
In
particolare, nel discorso Sull’incarnazione del Verbo, ha sottolineato
la vicinanza tra il Verbo e noi e, soprattutto, la sua scelta di mostrarsi all’uomo
proprio assumendo la sua stessa carne (cito secondo la traduzione presente nell’Ufficio
delle Letture della Liturgia delle Ore di Rito ambrosiano):
Il Verbo di Dio,
immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se
prima non ne era lontano. Nessuna regione dell’universo infatti fu mai priva di
lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua
presenza. Venne dunque per amore verso di noi e si mostrò a noi in modo
sensibile.
In un
altro passaggio dello stesso discorso, nel paragrafo numero 54, dichiara che il
Figlio si è fatto uomo perché l’uomo potesse essere divinizzato. È un concetto
che il popolo di Dio forse ignora che risalga a lui, quando gli accade di
cantare, in Avvento e sotto Natale: «Dio si è fatto come noi per farci come lui».
Per saperne di più
Valerio Acri, Daniele Bolognini, Sant’Atanasio – Il Campione di Nicea, Velar 2025, pp. 72, € 5,50.
Un
breve profilo dal taglio divulgativo sulla vita di Atanasio, sulla riflessione
teologica in atto ai suoi tempi e sul contenuto della sua predicazione.
Sant’Atanasio, Il credo di Nicea, Città Nuova 2001, pp. 152, € 15,00.
Il testo
in cui Atanasio raccoglie quanto ha vissuto e imparato nei giorni del Concilio
di Nicea.
Sant’Atanasio, L’incarnazione del Verbo, Città Nuova 1993, pp. 144, € 15,00.
L’opera
dedicata più compiutamente a dimostrare l’infondatezza delle tesi ariane circa
l’Incarnazione e il rapporto tra Dio Padre e il Figlio.
Sant’Atanasio, Lettera agli antiocheni, Edizioni Dehoniane Bologna 2010, pp. 216, € 23,50.
La
testimonianza diretta di Atanasio sul Concilio di Alessandria, da lui stesso
convocato nel 362.
Sant’Atanasio, Lettere cristologiche, Paoline Edizioni 2025, pp. 264, € 46,00.
Raccolta
delle lettere al filosofo Massimo e ai vescovi Adelfio ed Epitteto, nelle quali
è condensata la sua certezza sulla divinità di Cristo.

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