Don Giovanni Bertocchi: un giovane, un prete, un “sogno di Dio”

Copertina della più recente edizione
del diario di don Giovanni (fonte).

Chi è?

Giovanni Bertocchi è nato ad Alzano Lombardo il 10 ottobre 1975, ultimogenito di Piero e Maddalena e fratello di Barbara ed Elisabetta. Nell’adolescenza, riconobbe di sentirsi chiamato al sacerdozio diocesano: compì quindi la propria formazione nel Seminario Minore e, successivamente, in quello maggiore della Diocesi di Bergamo. Ordinato sacerdote il 3 giugno 2000, fu destinato alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Verdello, dove si prese cura in particolare dei bambini e dei giovani, nell’oratorio dedicato a San Giovanni Bosco.
Il 30 aprile 2004, giocando con gli adolescenti mentre sistemava alcuni materassi al termine di una settimana di vita comune cadde dal sopralzo della palestra e morì sul colpo, all’età di ventotto anni. I suoi genitori, nel 2009, hanno acconsentito alla pubblicazione del suo diario spirituale, col titolo «Io sono un sogno di Dio».
I suoi resti mortali riposano nel cimitero di Clusone, suo paese di origine.

Cosa c’entra con me?

Il mio primo incontro con don Giovanni Bertocchi è avvenuto il 24 aprile 2009. Non è un errore di battitura e non ho sbagliato nemmeno nell’indicazione della data di sopra. Eppure, ve l’assicuro, è successo proprio così.
Alcuni giorni prima, avevo visto in una puntata di A Sua immagine l’intervista a suor Giovanna Negrotto Cambiasio, detta “Sorella Pellegrina”. Ricordandomi che il conduttore aveva mostrato alle telecamere la copertina del libro dove lei raccontava la sua esperienza, sono andata sul sito delle Edizioni Messaggero. Tra gli altri testi presentati sulla pagina del libro che cercavo, ce n’era una che mi attirò da subito: in copertina, il volto sorridente di un giovane sacerdote con gli occhiali, lo stesso della foto che ho messo in apertura.
Il mio primo pensiero è stato: «Oh no, eccone un altro!», in riferimento al fatto che, da un po’ di tempo, mi accadeva di sentire sempre più storie di giovani morti in prossimità dell’ordinazione o preti per pochi anni a causa di incidenti o malattie.
Il secondo pensiero proveniva da un’insinuante vocina nel cervello, che, come in altri casi, voleva dirmi di lasciar stare, di non approfondire quella vicenda, di non cliccare sull’immagine di copertina. Alla fine, ho deciso d’ignorarla: dopo aver letto la sinossi del libro, ho deciso senza esitazioni di comprarlo. Tuttavia, lo tenni da parte per un po’, dato che avevo deciso di darmi a tutt’altro genere di letture.
Nel frattempo, mi sono messa a cercare in Rete degli articoli che mi permettessero di capire qualcosa di più, oltre all’incidente menzionato nel riassuntino. Fra le testimonianze che ho letto, sono rimasta colpita in particolare da un articolo di Francesca Lozito, originariamente comparso su Avvenire, dove veniva riportata un’affermazione del cardinal Loris Francesco Capovilla, che applicava al curato (nella bergamasca, il prete d’oratorio si chiama così) di Verdello un’espressione con cui definì san Giovanni XXIII: «Due occhi e un sorriso. Innocenza e amore». Tra l’altro, ho sentito che ha ripetuto quella frase, cambiando però “amore” con “bontà”, durante l’intervento filmato trasmesso durante il briefing dalla Sala Stampa vaticana dello scorso 25 aprile.
Nell’estate del 2009, portai il diario con me, leggendolo a spizzichi e bocconi. Penso proprio che mi abbia fatto molto bene vedere come don Giò – così lo chiamavano i suoi giovani – avesse attraversato momenti di slancio spirituale, altri in cui si sentiva inadeguato alla chiamata ricevuta, altri ancora in cui aveva deciso di continuare a fidarsi di Dio, come il giorno in cui vide, nel chiostro del Seminario, alcune rondini in volo per portare cibo ai loro piccoli. Di conseguenza, mi sono pienamente identificata in lui: potrà sembrare strano, dato che lui aveva scelto il sacerdozio mentre io, essendo una donna, non posso fare altrettanto, però mi sentivo di condividere pienamente quanto lasciò scritto.

Osservando il volo delle rondini, don Giò capi il senso della sua vocazione:

«La mia vita doveva essere il mio regalo per Lui»
(fonte dell'immagine)
Inoltre, quelle pagine mi hanno permesso di entrare, in un certo senso, nei sentimenti di un ragazzo che si prepara a diventare sacerdote e a capire cosa poteva passare nell’animo dei miei amici seminaristi ambrosiani e religiosi. Le frequenti menzioni della famiglia e della gente incontrata da lui, durante il tirocinio pastorale prima e il ministero poi, mi hanno fatto scoprire un aspetto che fino ad allora avevo solo intuito: un prete non nasce già pronto. La sua vita, ancor prima della vocazione, cresce e matura grazie alla vicinanza dei parenti, degli amici, della gente che incontra e che l’aiuta a delineare meglio il volto di Dio, per riprodurlo nella propria esistenza.
Da ultimo, nel leggere le pagine in cui lui racconta di un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1996, ho notato un significativo parallelo con Alessandro Galimberti, se mi può essere concesso. Mentre si trovava a Betania, don Giovanni si lasciò ispirare dallo stesso brano che quel seminarista brianzolo aveva scelto come base per la sua Regola di Vita: invocò quindi il Signore affinché il suo cuore fosse come il vasetto dell’olio di nardo e, una volta pieno dell’amore di Dio, potesse essere infranto per versarlo al di fuori.
Per non parlare del fatto che entrambi erano affascinati dalla musica, tanto che il figlio di Piero e Maddalena, nel ripercorrere in un corso di Esercizi la sua storia personale, scrisse che da ragazzino voleva essere come due persone: o Gianni Morandi o... il Papa! A parte questo, scrisse anche alcuni canti religiosi, che a Verdello sono tuttora eseguiti.
Per tutti questi motivi, una volta terminata la lettura del diario, decisi di contattare i coniugi Bertocchi, tramite l’indirizzo riportato all’interno del libro. La mia intenzione era d’incoraggiarli, semmai ce ne fosse bisogno, perché sentivo che sacerdoti come il loro figlio esistono ancora, anzi, ne conoscevo alcuni. Tornata dalle vacanze, ho imbucato la mia lettera, convinta che non avrei ricevuto risposta.
Il 1 ottobre 2009 stavo tornando dall’università e, come ero solita, ho telefonato a mia madre per avvisarla del mio arrivo. Poco dopo avermi risposto, lei mi disse che ero stata contattata da una signora che si era presentata come la mamma di un certo don Giò. Sono rimasta sbalordita: come faceva ad aver avuto il mio numero fisso, dato che nella lettera non gliel’avevo scritto?
Dopo essermi precipitata a casa, ho telefonato a mia volta, scoprendo il perché: una sorella del signor Piero abitava a Milano e aveva cercato, dietro indicazione del fratello, il mio numero sull’elenco telefonico. Inoltre, la signora Maddalena mi aveva detto di andare da quella sua parente, per ricevere un regalo da parte loro: una copia di Don Giò – Due occhi e un sorriso, il volume commemorativo che era stato fatto stampare a un anno dalla caduta fatale. La loro generosità mi sembrava incredibile, per cui ho deciso di ricambiare raccontando la “piccola storia” (lui la definiva proprio così) del loro figlio alla stregua di quanto andavo facendo per Alessandro.
I legami tra questi due giovani “chiamati” si sono poi accentuati due anni dopo, quando mi sono decisa a scrivere per posta elettronica a don Arturo Bellini, parroco di Verdello durante gli anni di ministero di don Giò e direttore del mensile della Diocesi di Bergamo L’Angelo in Famiglia (omologo dell’ambrosiano Il Segno). Volevo domandargli come fare per parlare dei semplici testimoni senz’anticipare il giudizio ufficiale della Chiesa su di essi. In breve tempo, lui mi rispose citando la catechesi di papa Benedetto XVI che concludeva il ciclo sui santi (la riprendevo qui). A quel punto, gli ho spiegato il perché di quella domanda, passandogli il link al mio primo articolo su Ale per santiebeati.
Con mia sorpresa, proprio lo stesso giorno in cui venni a sapere che il cardinal Scola sarebbe stato il mio nuovo Arcivescovo, don Arturo mi rispose chiedendomi di poterlo pubblicare sul mensile da lui diretto! Appena il mio entusiasmo si fu sbollito, contattai chi di dovere per avere l’autorizzazione a scrivere e, in seconda battuta, una verifica della versione riveduta e corretta del profilo biografico. La diffusione del “profumo” si è quindi espansa a Bergamo e dintorni con l’uscita del numero 7/2011 de L’Angelo in Famiglia.
Non ho mai dimenticato don Giovanni né i suoi genitori, anche quando la mia lista dei giovani preti scomparsi si è allungata di parecchio. Di conseguenza, il 14 ottobre, mentre stavo seguendo Nel cuore dei giorni – Azzurro su TV2000 e ho sentito la conduttrice in studio leggere le parole di un giovane che nell’adolescenza voleva essere Gianni Morandi o il Papa, ho iniziato a saltare per casa e a gridare: «È don Giò! Parlano di don Giò!», neanche stessero per intervistare un sacerdote vivente di mia conoscenza. Ecco quindi il filmato di quella trasmissione.


Il suo Vangelo

È senza dubbio un Vangelo di gioia quello vissuto da don Giò nei suoi ventotto anni, di cui quattro di sacerdozio. Gioia che trasmetteva componendo canti religiosi, nelle sue omelie, o perfino travestendosi a Carnevale. Sentirsi amato e perdonato da Dio era per lui la molla che lo spingeva a inventarsi iniziative sempre nuove, ma senza dimenticare i momenti in cui portava a Lui le persone che gli si facevano accanto.
A me personalmente ha insegnato, seppure a distanza di anni, come rapportarmi correttamente con i Santi: per lui, figure che anch’io reputo fondamentali come san Francesco d’Assisi o san Giovanni Bosco, dovevano essere «un mezzo, non un fine» e, quando avvertiva di dare un’importanza eccessiva a loro, lo riconosceva come un peccato di cui chiedere perdono.
Così, nel decimo anniversario del suo incidente, ho ritenuto giusto presentarlo su queste pagine, certa che, se anche non sarà mai un santo da altare (e non voleva esserlo!), può insegnare tanto, anzitutto ai sacerdoti.
Se non dovessi essere vincolata dalla prudenza, raccomanderei alla sua intercessione in particolare i suoi confratelli e omonimi che si trovano immersi tra i ragazzi dei loro oratori, per incarnare, come lui stesso provò a fare, la passione evangelica che fu di san Paolo apostolo (cfr. «Io sono un sogno di Dio», Edizioni Messaggero, p. 235): 
«La mia scelta di vita come sacerdote implica per se stessa il dono di te all’altro.
Devi essere tutto a tutti.
Tutto per i ragazzi, per i loro bisogni, per le loro «menate», per i loro problemi.
Tutto per i genitori, con la fatica di educare.
Tutto per la comunità che a volte ha sete di Dio, a volte no…
Tutto per i baristi dell’oratorio, per le signore delle pulizie, per i catechisti, per i malati, per gli anziani, per la scuola…
Mi accorgo di quanti vuoti lascio… Di quanto troppo sono ancora solo per me».
Per saperne di più [aggiornato 04/04/2024]

Giovanni Bertocchi (a cura di Arturo Bellini), «Io sono un sogno di Dio». Diario spirituale, Gamba Edizioni 2011, pp. 240, € 13,00.
Dopo l’esauritissima ristampa della versione edita da Edizioni Messaggero, questa è l’ultima versione disponibile; si può ordinare direttamente a don Arturo Bellini all’indirizzo arturobellini @ tiscali.it (ovviamente togliendo gli spazi, che ho messo per evitare spam).
Suggerisco di mettere nell’oggetto «Richiesta copie di “Io sono un sogno di Dio”», così don Arturo fa prima.

Oliviero Giordani, Don Giò Bertocchi - Sul suo volto il sorriso di Dio - La bella parabola del giovane prete, Velar 2018, pp. 48, € 6,00.
Il racconto della vita di don Giovanni, tratto dalle testimonianze su di lui e dai suoi scritti.

Su Internet

Articoli a lui dedicati nel sito d’informazione La Sacra Famiglia

AGGIORNAMENTO: mi è appena arrivato via mail il collegamento a un altro filmato, trasmesso dall'emittente della Val Seriana Antenna2 TV. Lo presento ben volentieri!


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