Sulla scia di… don Fabrizio De Michino
La copertina del libretto fatto stampare in ricordo di don Fabrizio |
Mi
è venuta l’idea di aprire l’ennesima rubrica, dedicandola alle mie visite sui
luoghi dei Testimoni nei quali mi sono imbattuta. Precisamente, è sorta quando
mi sono decisa ad andare alla Basilica di Maria SS. della Neve a Ponticelli, il
quartiere di Napoli dove ha trascorso il suo ministero don Fabrizio De Michino,
deceduto appena due anni fa per una rara forma tumorale, diventato famoso per
una lettera indirizzata a papa Francesco.
Come
scrivevo il giorno dopo aver saputo della sua morte, avrei
voluto approfondire la sua storia per due motivi: anzitutto, per il mio
particolare interesse circa le vite dei sacerdoti e seminaristi scomparsi in
giovane età, poi per il fatto che il paese dove passo le vacanze, Portici, non
è tanto distante da Ponticelli, dove lui fu vicario parrocchiale. Lo scorso 20
agosto, accompagnata da mia madre, mi sono quindi diretta lì coi mezzi
pubblici, ma pubblico solo ora il resoconto, scritto a caldo, della mia visita.
Mi scuso se non ci sono fotografie, ma l’idea di scrivere il post mi è venuta
una volta giunta a casa.
Il
tragitto è durato appena venti minuti, ma ho cercato di arrivare in tempo utile
per partecipare alla Messa. Passando di fronte a uno spiazzo a destra della
chiesa, ho notato una targa di ottone con la dicitura “Largo don Fabrizio De
Michino”. Ammetto che la mia prima reazione è stata allibita: è morto da così
poco e già gli hanno dedicato un tratto di strada!
Ho
quindi fatto il mio ingresso nella basilica, passando accanto a un gruppetto di
giovani. Mi è venuto spontaneo domandarmi come il don abbia provato a farli
passare dai gradini dell’edificio all’interno, se gli sia accaduto di sedersi
accanto a loro, se qualcuno di loro l’avesse mai incontrato.
Appena
entrata, ho salutato il Padrone di casa e mi sono fermata un momento a pregare,
poi mi sono alzata per girare tra le navate. In verità, ero lì per un altro
scopo: mentre ero ancora a casa mia, nel tentativo di capire come fare per
arrivare, avevo letto sulla pagina ufficiale Facebook della parrocchia che era
stato da poco aperta la fase diocesana del processo di beatificazione di don Agostino
Cozzolino, parroco del luogo fino alla sua morte, avvenuta nel 1984. Di
conseguenza, ho prelevato alcuni dei santini collocati nel punto in cui
immagino si trasleranno i suoi resti (dico così perché la cappella era chiusa
da un lenzuolo, quindi non vedevo nulla oltre a quello).
Mentre
proseguivo la visita, ho notato che c’era un sacerdote intento a leggere il
Breviario: era il parroco, don Ciro. L’iniziale confessione si è trasformata in
un colloquio, appena il reverendo ha sentito che ero lì per vedere il luogo
dove aveva operato il suo vicario. Non penso che, nel periodo sinora trascorso,
sia accaduto tanto spesso che venisse gente da fuori o comunque dal Nord Italia
per saperne di più, anche in seguito alle trasmissioni che TV2000 ha dedicato a
lui, compresa una breve menzione durante Bel
tempo si spera dello scorso 11 giugno, che riporto volentieri.
Don
Ciro era interessato al mio racconto, ma ha dovuto interromperlo perché doveva
prepararsi per esporre il Santissimo Sacramento: al giovedì, infatti, c’è
un’ora di Adorazione Eucaristica, cui segue la Messa. Prima di andarsene, però,
mi ha chiesto di poter tornare un’altra volta prima di partire, per poter
ricevere un libretto sul giovane sacerdote, da poco pubblicato.
Mentre
contemplavo Gesù nell’ostensorio, mi è tornato alla mente che proprio quel
giorno, nel 2005, ero a Colonia per la GMG.
Ricordando le parole di papa Benedetto XVI che tanto mi segnarono, ho
riconosciuto che, in fin dei conti, mi trovavo là per adorare il Signore perché
attirata dalla luce di due sacerdoti che si sono spesi per la gente di
Ponticelli, né più né meno di come i Magi hanno seguito la stella fino a
trovarsi davanti la Madonna col Bambino, che nel mio caso troneggiavano nella
nicchia dell’altare maggiore.
Il
Vangelo del giorno per il Rito Romano prevedeva la parabola degli invitati al banchetto di
nozze. Prima di offrire la sua riflessione, don Ciro ha chiesto ai presenti di
trovare un punto del brano su cui meditare, ma senza dirlo apertamente a tutti.
Personalmente, ho pensato agli invitati non ritenuti degni e a quello espulso
dal banchetto perché privo dell’abito bello. Nell’esegesi del parroco,
quest’abito consiste nelle opere di giustizia che ogni credente, nel proprio
stato di vita, può compiere. Ho quindi ripensato a don Fabrizio, ma una vocina
nel cervello, che aveva lo stesso timbro di quella del mio direttore
spirituale, mi ha ricondotta a badare a me stessa: dopotutto, lui non c’è più,
a differenza di me, che sono ancora in tempo a compiere tante altre azioni
giuste e misericordiose al tempo stesso.
Finita
la celebrazione, mi sono avvicinata alla sacrestia, dove mi aspettava la
signora a cui, prima dell’Adorazione, avevo chiesto di procurarmi qualche
santino della Madonna lì venerata. Non ho tardato a rivelarle il motivo della
mia visita, causando un certo stupore in lei.
Dopo
averla ringraziata, sono entrata per salutare don Ciro, alle prese con un’altra
parrocchiana. Gli ho detto arrivederci, ma, proprio mentre guadagnavo l’uscita,
mi ha fermata dicendo alla sua interlocutrice: «Sai perché questa signorina è venuta
qui? Perché voleva vedere la chiesa di Fabrizio!». Mentre lei si stupiva
esattamente come la sacrestana, io mi sentivo sprofondare dalla vergogna;
d’altronde, non potevo negare che era proprio come aveva detto lui.
Dopo
quella presentazione, si è allontanato per tornare, pochissimo dopo, col
libretto promesso. Nel frattempo, quasi come scambio, ho passato alla signora
un santino di Alessandro Galimberti: i dieci anni
dalla sua scomparsa cadevano proprio nel giorno in cui ho letto l’articolo che
riportava la lettera di don Fabrizio al Papa. Appena don Ciro mi ha dato
l’opuscolo, mi sono nuovamente vergognata, dichiarandomi indegna di tale
gentilezza: in fondo, potevo sembrare solo un’impicciona fissata coi preti
morti. «Sei una piagnucolona?», ha chiesto il sacerdote, che aveva capito male
perché, quando mi viene da commuovermi, parlo più velocemente di quanto già
faccia di solito. Quel piccolo fraintendimento ha avuto il merito di farmi
tornare il sorriso, mentre mia madre, da fuori, incalzava perché uscissi. L’ho
fatto, non prima di aver promesso al parroco e alla signora che avrei pregato
per loro.
A
dire il vero, mi sono ricordata che avevo mandato, un mese dopo l’accaduto, un
messaggio di posta elettronica all’indirizzo che avevo trovato sul sito della
parrocchia, dove, oltre a segnalare il mio post, domandavo di poter ricevere
un’immagine ricordo di don Fabrizio. Né don Ciro né la parrocchiana hanno
affermato di averlo mai letto, quindi mi hanno invitata a segnalarlo di nuovo.
Ho promesso che l’avrei fatto e che, già che c’ero, avrei dedicato un altro
articolo a lui, o meglio, al racconto di quel mio passaggio da loro. Avrei
voluto dire “pellegrinaggio”, ma ero andata in forma privata, benché
accompagnata da mia madre unicamente perché lei conosce meglio quei luoghi.
Ho
atteso un’ora e tre quarti prima che arrivasse l’autobus che mi riportasse a
Portici. Tuttavia, ero soddisfatta per aver ricevuto quello che cercavo e,
ancor di più, per essere ritornata alle motivazioni del mio interesse per i
veri Testimoni.
Il
giorno dopo, quando sono andata a trovare un giovane sacerdote che conosco, ho
notato sulla sua scrivania lo stesso libriccino che avevo ricevuto. È stata la
conferma di un’ipotesi che avevo formulato sulla base di altri indizi: lui e il
vicario di Ponticelli sono stati compagni di studio e di ordinazione. Avrei
voluto chiedergli altri dettagli, ma il tono con cui mi ha riferito di averlo
conosciuto bene aveva ancora troppe sfumature di rimpianto. Penso proprio che,
un giorno, sarà più disposto a raccontarmi qualche fatto interessante.
* * *
A
cinque mesi da quella visita, mi sono decisa ad aprire per la prima volta il
libretto. Ho avuto la stessa reazione di quando ho letto altre testimonianze
analoghe, ma ho anche trovato la caratteristica specifica di don Fabrizio:
l’insistenza sul tema del cuore, presente anche nei brani di preghiere tratte
dai diari, nelle meditazioni precedenti il diaconato e il presbiterato, ma
anche nei messaggi che scambiava coi suoi giovani nel periodo di assenza
forzata dalla parrocchia.
Qualcosa
mi dice che presto, se la sua buona fama continuerà, potrebbe uscire una
pubblicazione ancora più grossa, che troverà certamente posto nello scaffale
della mia biblioteca dedicata a quei giovani che, come lui e tanti altri,
stanno probabilmente celebrando Messa in Cielo.
Intanto, se anche a voi
interessasse avere l’opuscolo, provate a contattare la parrocchia di Maria SS. della Neve o direttamente l’Associazione intitolata a don Fabrizio, però non sono sicurissima che sia ancora disponibile.
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