Canti travisati di Natale e anche un po’ di Avvento (Le 5 cose più #24)


Conclusa la Corona d’Avvento dei Testimoni di quest’anno, per il post del giorno di Natale ho pensato di rifarmi nuovamente alla rubrica volutamente copiata da quella di una famosa radio, come già avevo fatto per quei canti religiosi, generici (qui e qui) o mariani (qui) di cui io o altri miei conoscenti abbiamo, a volte, frainteso le parole, con effetti più o meno buffi.

I canti natalizi sono, in effetti, tra i più travisabili, specie quelli che circolano da decenni, per non dire secoli. Anche in questo caso, il principio per cui bisogna leggere il testo prima di cantarlo, così da capirlo al meglio, resta valido.

Il riferimento, per il testo ma non per le armonizzazioni (ce n’è un’infinità), è in maggioranza alle esecuzioni contenute nelle raccolte Classici di Natale di Andrea Montepaone, pubblicate da Paoline Audiovisivi.

 

Astro del ciel

 

Anni fa, quand’ero piuttosto piccola, sono sicura di aver sentito cantare, in una chiesa di Portici, dove andavo in vacanza:

Luce dona alle genti, pace infondi nei cuor

In effetti, avrebbe un suo senso, ma ho più spesso sentito menti, ripetuto due volte. Cercando in Rete compaiono versioni o solo con genti, o solo con menti, o con menti nella prima riga, genti nella seconda.

Le Edizioni Carrara hanno ancora oggi in catalogo lo spartito col testo di monsignor Angelo Meli, sacerdote di Trescore, poi arciprete di Santa Maria Maggiore a Bergamo.

Il blog Musica e Memorie riporta

se le informazioni di colui che firma l’articolo sull’Eco di Bergamo (fonte che si presume ben informata, se bergamasco fu l’autore dei versi in italiano) sono certe, il monsignor Angelo Meli scrisse in una strofa “menti” e nell’altra “genti”.

Tramite Wayback Machine ho rintracciato il link all’articolo, ma in realtà il blogger si rifà al testo riportato in alto sulla pagina, non all’effettivo spartito, che pure è riprodotto, ma tagliato: sia per la prima che per la seconda strofa, nella prima riga riporta menti, mentre la seconda riga è tagliata.

 

Tu scendi dalle stelle

 

Per questo canto ho presente almeno tre versioni modificate: una derivante da un ricordo d’infanzia di una persona che ha chiesto di restare anonima, altre due causate dalla circolazione del testo in sé.

 

Questo mio conoscente, insomma, mi ha raccontato che quando era piccolo la cantava così:

Tu scendi dalle stelle, o re del gelo

Evidentemente, pensava al freddo tipico, almeno dalle nostre parti, del periodo natalizio.

In più, credeva che il re in questione avesse un nome preciso:

…e vieni in una grotta, Alfredo

Adesso devo mettermi d’impegno per non pensarci e non ridere, quando lo canto!

 

Riguardo al testo, invece, c’è una riga che crea non poche perplessità: quella in cui si dovrebbe cantare

mancano panni e fuoco, o mio Signore…

L’accento naturale della parola sarebbe màncano, ma per seguire la melodia diventa abitualmente mancàno, per quello spostamento degli accenti che ora è massicciamente presente nella musica leggera. Per ovviare al problema, so che esiste la variante non sono panni e fuoco, intendendo l’A te del verso precedente come dativo di possesso.

Un’altra possibilità che ho sentito è cambiare il tempo verbale e troncare la vocale finale, ottenendo quindi mancaron.

 

La terza travisata sul medesimo canto è invece un cambio di complemento oggetto. Sono infatti sicura di aver sentito concludere la prima strofa con:

Ah, quanto ti costò l’averci amato!

Pur collettivo ed ecclesiale, non tiene conto del fatto che, sempre nella stessa strofa, chi canta usa il singolare (O Bambino mio divino, io ti vedo – o più arcaicamente veggoqui a tremar; nell’audio sopra non c’è a, forse per evitare uno iato e un effetto cacofonico).

 

In notte placida

 

Nella mia parrocchia, i primi tempi, dovevo stare bene attenta a non cantare

…il fiore più bello dei nostri fior

ovvero com’ero abituata, ma

…il fiore più bello dei nostri cuor

Questa versione si trova circolante anche online, ma la prima, col complemento partitivo, è più sensata.

 

Un’altra modifica presente nel testo in uso dalle mie parti (ma anche altrove, per esempio qui e qui) è

…un cuore che brama Gesù cullar

anziché, come cantavo fino a otto anni fa,

…un sen che Te brama, Gesù, cullar

Forse è stato cambiato per questioni di pudicizia, a ben vedere.


Dio si è fatto come noi (titolo originale Vieni Gesù, resta con noi)

 

 

Non a tutti è gradito questo canto, ma a me rievoca i ricordi della Novena di Natale alle 7.30 del mattino, prima di andare al liceo, nella mia parrocchia di nascita. Non ricordo però se cantassi

Viene dal grembo di una donna / la Vergine Maria

o

Viene nel grembo di una donna / la Vergine Maria

Il primo è quello originale: si sente in queste riprese delle due incisioni originali (la prima è de Gli Alleluia, il secondo del Clan Alleluia, che del primo complesso è un allargamento) della Messa Alleluia con musiche di Marcello Giombini e testi di Gino Stefani, che andrebbero riconsiderate per tenere conto del ritmo con cui andrebbe eseguito il canto (la seconda edizione, a dire il vero, ha un arrangiamento che risente parecchio dell’epoca in cui fu composta).

 

Adeste fideles

 

Qui, anche se temo di essere troppo pedante, rispolvero le mie conoscenze di grammatica latina per rendere più comprensibile il testo nella lingua classica.

Nella seconda strofa, che inizia con

En grege relicto humiles ad cunas

la prima parola, alle orecchie di chi non conosce il latino, potrebbe suonare come un complemento di stato in luogo, magari riferibile a Gesù Bambino. In realtà, en è un’interiezione, traducibile con “ecco”.

Invece, grege relicto è un ablativo assoluto composto da grege, ablativo maschile singolare da grex, “gregge”, e relicto, participio passato maschile singolare del verbo relinquĕre, “lasciare”.

La frase andrebbe quindi tradotta con Ecco, lasciato il gregge… e dopo en starebbe bene una virgola, come ho scritto io, tenuto conto però che nel latino classico i segni d’interpunzione non esistevano. Anche cantando farei sentire un brevissimo stacco.

 

Nella medesima strofa c’è un altro punto problematico:

Et nos ovanti gradu festinemus.

Anche qui serve un minimo di spiegazione grammaticale per capire bene il senso, dato che si sente cantare come se ovanti fosse un attributo di nos, con un respiro tra ovanti e gradu.

Siamo nuovamente di fronte a un ablativo assoluto: ovanti è participio presente maschile singolare del verbo ovare, “esultare”, mentre gradu è ablativo maschile singolare di gradus, “passo”. Quindi sarebbe da tradurre con Anche noi, con passo esultante, ci affrettiamo.

 

Bonus tracks

 

I due canti seguenti, in realtà, sono più tipici del Tempo d’Avvento, però li presento ugualmente.

 

Maranathà (Frisina)


 

La coordinatrice del mio coro ha trascritto, in un sussidio per l’Avvento a uso di noi coristi,

Rischiara il cuore di chi ricerca

Il senso è simile al testo reale, però manca il complemento oggetto e, soprattutto, qui il riferimento per non sbagliare è univoco.

 

Vieni Signore Gesù (Mazzarisi-Palmitessa)

 


Avevo citato questo canto, tra quelli di più fresca introduzione nel mio repertorio parrocchiale, tra i brani che mi ricordano canzoni profane o sigle di cartoni animati (o entrambe, come in questo caso).

Lo ripropongo perché mia madre, travisatrice seriale come si vede dalle altre puntate, mi ha svelato di averlo a lungo cantato così:

Papà Natal, vieni! Papà Natal, scendi!

Armandomi di parecchia pazienza e soffocando a stento le risate, le ho spiegato che maranatha (con o senza accento) è l’acclamazione con cui la Chiesa delle origini invocava la seconda venuta del Signore, a cui fa riferimento anche il canto di Frisina di cui sopra.

 

Considerazioni finali

 

Ancora una volta, chiedo perdono se sono salita in cattedra per cercare di raddrizzare canti così famosi. A volte si sente dire che bisogna combattere l’abitudine, il “si è sempre fatto così”: anche nel canto è una lotta da attuare, perfino quando sembra ardua.

Questo è il mio contributo, per aiutare a capire perché bisogni usare certe parole e non altre e a farle risuonare, ancora una volta, per ribadire l’annuncio portato dagli angeli nella notte santa.

A voi tutti, lettori occasionali o di più vecchia data, buon Natale!

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