Una vera mamma – La Beata Eurosia Fabris Barban (Cammini di santità Testimoniando #40)
Giuseppe Antonio Lomuscio, ritratto ufficiale della Beata Eurosia (fonte) |
L’articolo di questo mese per Sacro Cuore VIVERE non era affatto in programma; o meglio, il soggetto non era previsto affatto per quest’anno, neanche al mese di giugno. Il 9 gennaio 2022, però, il direttore mi ha inviato un messaggio WhatsApp in cui mi chiedeva di dedicare un articolo alla Beata Eurosia Fabris Barban, perché gliel’aveva chiesto un suo pronipote; peraltro, era proprio il giorno della sua memoria liturgica.
Immaginando che si trattasse di padre Gianluigi Pasquale, col quale avevo avuto uno scambio di e-mail un annetto fa, proprio riguardo il primo post che avevo dedicato alla sua prozia, ho pensato di doverlo accontentare quanto prima. Dovevo tenere conto, però, che nel mese di marzo sarebbe uscito l’articolo sui coniugi Mocellin, molto simile come tematica.
Mi sono data da fare a metà aprile, contattando padre Pasquale e chi si occupa oggi del culto della Beata Eurosia, specialmente per risolvere alcuni dubbi che mi erano sorti dopo aver letto la sua prima biografia, scritta dal figlio padre Bernardino Barban, più volte ristampata a cura dello stesso pronipote (il quale me ne aveva inviato una copia omaggio, sempre lo scorso anno).
Come spesso mi accade (possibile che non abbia ancora imparato?), la prima stesura non mi è riuscita bene. Incalzata dal direttore e aiutata dalle persone a cui ho chiesto consulenza, alla fine credo di aver prodotto un buon profilo.
Mi è servito per ripensare alle virtù che moltissimi devoti in tutto il mondo – nell’articolo spiego il perché di questa fama globale – riconoscono in “mamma Rosa”, come la chiamano, e che vorrei fossero un po’ mie. In particolare, ho cercato di dare risalto alle sue qualità di educatrice e all’attenzione che ha continuato a dedicare ai figli, anche una volta cresciuti e avviati sulle rispettive strade.
Durante la stesura, mi sono accorta che sarebbe stato molto meglio invertire i soggetti dei pezzi per maggio e per giugno: nel primo mese, in cui noi italiani ricordiamo la Festa della Mamma, sarebbe stata assai più adatta mamma Rosa; al secondo, invece, sarebbe spettato il profilo della Beata Armida Barelli, perché è il mese in cui cade la solennità del Sacro Cuore.
Ormai, però, è andata diversamente e non del tutto in modo sbagliato: grazie alla biografia di padre Bernardino, infatti, ho capito che anche Eurosia aveva una gran devozione al Cuore di Gesù, o meglio, che meditare sul suo amore per l’umanità le era servito, fin da ragazza, per crescere nella dedizione ai suoi familiari. Rientra quindi decisamente in quegli esempi di santità familiare di cui si parla in questi giorni, all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Roma.
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Primi mesi del 1917, in pieno tempo di guerra. Tre bambini, Diletta, Gina e Mansueto Mazzucco, hanno perso la madre, Sabina Segato; il loro padre Paolo, invece, è impegnato al fronte. I bambini sono subito accolti da Eurosia Fabris, zia della loro mamma, e da suo marito Carlo Barban: sono curati e amati senza badare a fatiche e privazioni.
Tornato dalla guerra e risposatosi, Paolo riprende con sé le due figlie, ormai cresciute. Invece Mansueto non vuole saperne di staccarsi da Eurosia: non la considera sua prozia, ma sua mamma. Da allora rimane con lei, allevato con lo stesso affetto che lei dona ai figli naturali e ai bambini che, per puro amore, ospita in casa: «Prego tanto, ogni giorno, per lui il Signore, affinché abbia da provvedergli un buon posto nella vita, in modo che possa salvarsi l’anima», ripete spesso, quando tutti gli altri figli hanno preso la loro strada.
Una semplice e devota ragazza di paese
Eurosia è nata il 27 settembre 1866 a Quinto Vicentino, ma quattro anni dopo si trasferisce con la famiglia a Marola, sempre nei pressi di Vicenza. Frequenta solo le prime due classi elementari, il tempo di imparare a leggere, scrivere e far di conto. La lettura, in effetti, è la sua passione più grande: si dedica a essa nel poco tempo libero rimasto dal lavoro nei campi, in aiuto ai genitori.
La Storia Sacra è il suo libro preferito: da quei racconti della Bibbia in forma popolare attinge ammaestramenti per sé e per le ragazze del paese, alle quali insegna il catechismo. Diventa poi una sarta molto abile: subito trasmette il mestiere alle altre giovani. Fin da piccola ogni sera, prima di andare a dormire, getta uno sguardo all’immagine del Sacro Cuore che ha in camera, quasi a chiedere a Gesù la forza e la consapevolezza di amare come Lui.
Quando in famiglia sorge qualche litigio, lei, che è la quarta di sette figli, è capace di mediare con fermezza e dolcezza. Racconta uno dei suoi fratelli: «Tutti la tenevamo superiore a noi per senno e per bontà; per cui bisognava ascoltarla, tanto era il suo ascendente sugli altri».
Condotta da Dio sulla via del matrimonio
Ha diciannove anni quando viene a conoscenza di un grave lutto: la sua vicina di casa, Stella Pierina Fattori, è morta ancora giovane, lasciando due bambine, Chiara Angela e Italia, rispettivamente di quattordici e tredici mesi. Il vedovo, Carlo Barban, vive con il padre e un fratello ancora minorenne; con loro lavora nei campi. Rosina si offre di aiutarlo: per tre mesi, gratuitamente, gli fa da governante. Si affeziona, ricambiata, alle bambine: presto si rende conto che hanno bisogno dell’amore materno.
Quando le arriva la proposta di sposare Carlo, prende tempo: prima di accettare, prega a lungo e si consiglia con il suo confessore. Il matrimonio è celebrato il 5 maggio 1886; è vissuto come il sigillo di un’opera di carità generosa e disinteressata, da parte dei compaesani.
A chi tra loro si meraviglia ugualmente per questa decisione, lei risponde: «Il Signore stesso mi ha messa su questa strada, ed io mi sono lasciata condurre da Lui. Io mi sono sposata proprio per sacrificarmi! Ho sposato il vedovo Carlo per pietà delle sue tenere figliole; per poter allevare queste piccole orfane. L’ho fatto proprio per amor loro, perché era la volontà di Dio. Io sapevo fare la sarta e quindi avrei preparato loro dei graziosi vestitini. Così avrei fatto ad essi da mamma e sarebbero cresciute bene, perché m’ero proposto d’educarle per il Signore, come intendevo io».
Rosa, come tutti la chiamano dal matrimonio in poi, è una moglie attenta e premurosa: le piace tenere la casa in ordine, ma senza concedersi alcun lusso. Al suo sposo non da mai del “tu”, ma del “voi”, per indicare il profondo rispetto che prova per lui. Sopporta con pazienza i suoi scoppi di collera, che però non sfociano mai in atti violenti.
Mamma Rosa e i suoi figli
Rosa ama le figlie del marito ed è disposta a generare figli propri: tuttavia, i primi due muoiono a pochi giorni dalla nascita. In cerca di conforto, va a pregare al santuario di Monte Berico, molto caro ai fedeli veneti e a lei stessa. Mentre contempla la statua della Vergine, che sotto il suo mantello raccoglie le figure dei devoti, una grande luce l’avvolge. In quello splendore vede la Madonna e da lei è rassicurata: avrà altri sei figli e una figlia. Chiede una sola grazia: che qualcuno di essi diventi sacerdote.
Dopo quella consolante visione, che si ripete una seconda volta, i figli arrivano, e sono proprio sette. Rosa insegna immediatamente a ciascuno come entrare in relazione col Signore, non solo facendo imparare le formule delle preghiere, ma anche con il suo esempio personale. All’occorrenza li corregge e li esorta a pensarsi sempre sotto lo sguardo di Dio.
I primi tre maschi diventano sacerdoti: due diocesani, uno tra i Frati Minori. Il penultimo inizia il cammino in Seminario, ma poi prende un’altra strada. L’ultimogenito, Mansueto, anche lui seminarista, muore di meningite appena quattordicenne. Chiara Angela, figlia di primo letto di Carlo, entra tra le Suore della Misericordia di Verona, col nome di suor Teofania. Invece Mansueto Mazzucco, il figlio adottato, diventa fra Giorgio dopo la morte di Rosa.
Ogni figlio che parte lascia un vuoto, nel lavoro e in casa. Quando Carlo si lamenta con la moglie di queste ripetute partenze, lei lo richiama con fede: «I figli ce li ha dati il Signore; sono suoi, prima che nostri. E se li vuole per sé, noi dobbiamo essere grati, anzi felici. Con questo ci fa un grande onore. Certo, dovremo faticare di più; ma Dio ci aiuterà in altro modo; abbiamo fiducia in Lui». Con la medesima cura segue la preparazione al matrimonio degli altri figli, vigilando sulla loro purezza.
Rosa vive la maternità anche in molti altri modi: ospita mendicanti e pastori, tiene a balia molti bambini, compatisce i sacerdoti che cedono alla debolezza umana. Una sua amica maestra ammette di aver imparato proprio da lei a pregare sempre per i loro bisogni spirituali.
Un cuore in Paradiso
Nel 1916 viene istituito nella parrocchia di Marola il Terz’Ordine Francescano. Mamma Rosa vi aderisce prontamente insieme ad alcuni dei familiari, perché lo sente in consonanza con quello che è il suo stile di vita. Da sempre, infatti, ama la povertà, condotta però in modo dignitoso, sia nell’andamento domestico, sia nel modo di vestire. A chi è privo di mezzi non manca di dare del proprio, sempre dopo aver chiesto il parere del marito.
Dopo una vita intera trascorsa con questo orientamento, si prepara a lasciare i suoi cari. Ha già accompagnato alla morte il suo amato Carlo, invitandolo a pensare al Paradiso: «Quello è il nostro posto; lassù ci ritroveremo tutti, tutti, per non separarci mai più!». Ora che tocca a lei, non si esprime diversamente: «Bisogna patire, per poi godere in Paradiso! Ho sofferto per tutta la mia vita; ma son contenta di aver fatto sempre la volontà di Dio», confida il 4 gennaio 1932 al figlio don Giuseppe.
Lui e gli altri figli sacerdoti, don Secondo e padre Bernardino, insieme al curato di Valproto, circondano il letto della madre quattro giorni più tardi, assistendo alla sua agonia. Dopo aver seguito le preghiere degli agonizzanti, all’improvviso mamma Rosa apre le braccia e con voce chiara, seppur affannosa, prega lentamente: «Mio Dio, vi amo sopra ogni cosa!», a cui aggiunge: «Nelle tue mani, Signore, raccomando l’anima mia». Si spegne così, alle 21.30 dell’8 gennaio 1932.
Il cordoglio dei compaesani è davvero unanime. Molti però sono convinti che lei sia morta da santa: «Se non è andata in Paradiso l’Eurosia noi certo non ci andremo». Sulla sua tomba sostano in preghiera persone anche da fuori paese, perché le sue virtù cominciano a essere raccontate oltre l’ambiente in cui è vissuta. In questo hanno gran parte le testimonianze dei figli, specie di padre Bernardino: diventa il suo principale biografo e ne racconta la storia anche quando viene inviato negli USA per incarichi di responsabilità tra i Frati Minori.
Proprio la Postulazione Generale del suo Ordine si fa carico di promuovere la causa di beatificazione e canonizzazione di mamma Rosa. Lei è la prima Beata proclamata sul territorio italiano dopo le nuove indicazioni in materia, con la solenne celebrazione svolta il 6 novembre 2005 nella cattedrale di Vicenza.
Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» giugno 2022, pp. 20-21 (visualizzabile qui)
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