Cari Preti ambrosiani 2022 (e non solo...)

Anche quest’anno mi sono trovata inizialmente a corto d’idee per festeggiare le ordinazioni sacerdotali nella mia diocesi. Mai come stavolta avrei ragione di essere felice: uno dei ventidue diaconi che sono stati ordinati oggi è nativo della stessa parrocchia dove sono stata battezzata e sono cresciuta.

Man mano che l’ordinazione si avvicinava, però, sono stata colta da pensieri davvero foschi. Non potevo guardare serenamente il tableau, ovvero il poster con cui i candidati si presentano alle parrocchie e alle comunità religiose mettendoci letteralmente la faccia, senza domandarmi quanti tra loro verranno riconosciuti colpevoli di abusi di potere e sessuali, come quel loro confratello per cui non ho pregato abbastanza, o quanti lasceranno il ministero come colui che è stato il più giovane della sua classe, ma poi ha concesso a una ragazza di entrare fin troppo nella sua vita.

Perfino leggere che solo cinque dei futuri preti non sono presenti sui social media mi ha portato a pensare che, un giorno, i post, le immagini e i video degli altri, come anche per tutti, la versione digitale del tableau – vale a dire i post con le foto dei singoli candidati e una breve presentazione in formato testuale (si usa così dal 2019, ma quest'anno sono state postate anche le immagini con i rispettivi motti personali) – o le testimonianze scritte per l'occasione potrebbero essere usati per il loro necrologio (è successo recentemente per un sacerdote in procinto di ricordare il nono anniversario di ordinazione), o riletti sotto un'altra luce, se il sacerdote in questione si fosse reso colpevole di abusi, anche liturgici, o se avesse lasciato il ministero.

Perché affrontassi nel modo giusto questo momento ci è voluto l’editoriale sul numero di maggio de La Fiaccola, la rivista del Seminario di Milano. Ho capito che devo continuare a stupirmi del fatto che Gesù continua a chiamare giovani e meno giovani a continuare la sua missione nel mondo: di questo devo solo rendere grazie.

Nel frattempo sono stata raggiunta dalle notizie dei cambi di parrocchia di due sacerdoti che conosco: uno che fino a settembre è nella mia parrocchia, un altro in procinto di lasciare quella vicina. 

Quest’ultimo caso è ancora più clamoroso, perché il prete in questione è il mio Decano: partirà come missionario fidei donum per il Brasile, precisamente in quella Macapá dove ha operato per anni il Venerabile Marcello Candia.

Ho provato ad affrontare in modo maturo questi distacchi, tanto più che sono consapevole che sono ben altre le tragedie che possono colpire una comunità a causa di coloro che avrebbero dovuto esserne ministri.

Non altrettanto posso dire di altri comparrocchiani, o fedeli dell’altra parrocchia. Questo non implica che mi sia indurita: anch’io sono dispiaciuta, ma capisco che fa parte della scelta che quei sacerdoti hanno compiuto, sigillata con l’imposizione delle mani del loro vescovo più o meno tempo fa.

Tornando all’argomento di partenza, per tutte queste ragioni avevo pensato di scrivere una lettera aperta ai Preti 2022, ma più in generale a tutti i sacerdoti che conosco.

Mi sono però accorta che di messaggi ai presbiteri, novelli e non, è pieno il web, spesso con aspettative e consigli sbilanciati da una parte o dall’altra, secondo quelle polarità in cui finiscono le discussioni online. 

Io stessa ne avevo riportati alcuni, basandomi sull’autorità del Venerabile Giuseppe Quadrio, o suggerendo cosa farei io se fossi un sacerdote.

In ogni caso, provo a dare il mio contributo.

 

* * *

 

Cari Preti ambrosiani 2022 (e non solo),

 

non so se le mie parole vi raggiungeranno. Del resto, questo blog è letto da pochissime persone, forse a causa dell’algoritmo di Facebook, o perché, di fatto, quanto scrivo non interessa granché.

 

Voglio comunque farvi sapere che sono davvero felice che ci siate. So che siete consapevoli che il vostro ruolo è cambiato insieme alla società e che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno mutato anche le loro aspettative su di voi. Quello che non cambia è la chiamata che avete ricevuto, il dono che vi è stato concesso e che vi accomuna a moltissimi altri nella bimillenaria storia della Chiesa, fino agli Apostoli.

 

Sin dalla mia infanzia sono stata educata a portare rispetto a quelli come voi, riconoscendo il Signore nelle loro persone, specie quando mi donavano i Sacramenti. Quando qualcuno lasciava la mia parrocchia per un altro incarico, piangevo tutte le mie lacrime, convinta che non li avrei mai più rivisti, se non (speravo) nell’altra vita.

 

Altre lacrime ho versato quando ho saputo, tramite una telefonata, che il sacerdote incaricato del mio oratorio aveva cambiato strada. Ancora di più ho pianto quando ho scoperto che a me e agli altri del gruppo giovani era stata raccontata una pietosa bugia: non aveva deciso di partire per un paese lontano, ma stava per diventare genitore insieme a una ragazza che aveva conosciuto quand’era ancora diacono e che, invano, aveva cercato di dimenticare.

 

Da allora mi sono ripromessa che mai e poi mai avrei cercato di costruire ricordi belli con uno come voi, come quelli che mi tornavano alla mente. Per citarne alcuni, un pranzo offerto, una mantella antipioggia acquistata durante un campo estivo in montagna, un inseguimento lungo il cortile dell’oratorio per riuscire a farmi confessare, terminato con parole che mai dimenticherò: «Tu mi ricordi che io sono un prete!».

 

Invece, ho finito per avere moltissimi altri ricordi, legati alla mia vita in parrocchia, ma anche alle esperienze che, sempre più spesso, avevo iniziato a vivere al di là dell’ombra del campanile (e la mia parrocchia di nascita, il campanile, ce l’ha).

 

In una di queste, per la prima volta in modo diretto, ho avuto a che fare con un seminarista: è stato lui a incoraggiarmi a seguire le proposte della Pastorale Giovanile diocesana, per sentirmi meno sola. Al vederlo scendere dal treno che riportava me e due mie compagne a casa, dopo tre giorni di Esercizi Spirituali, ho sentito una fitta al cuore. Avrei voluto chiedergli il permesso di scrivergli, ma non volevo essere invadente: pregare per lui e ricordare il suo nome mi doveva bastare. Per quanto ne so, è stato ordinato nel 2008 e prosegue nel ministero.

 

Non molto tempo dopo, ho sentito parlare di Alessandro Galimberti. So che alcuni di voi l’hanno conosciuto e, tendenzialmente, conservano di lui un ricordo positivo. Altri hanno letto i suoi scritti e li hanno proposti ai loro giovani e ai parrocchiani in genere. A me ha davvero cambiato la vita, anche se forse l’ho solo incrociato una volta, in una visita al Seminario di Seveso col mio oratorio.

 

È grazie a lui – o meglio, a Dio che me l’ha fatto incontrare – che mi è parso di capire perché la mia vita non sia terminata in un incidente stradale, prima del Natale 2005, o poco prima, quando sono quasi morta di freddo alla GMG di Colonia. Dovevo volere bene ai nostri seminaristi e incoraggiarli a restare fedeli alla via che avevano scelto: così avevo letto in una testimonianza su di lui.

 

Non l’ho fatto apposta a conoscere alcuni di voi negli anni dell’università; anzi, uno era proprio mio compagno di corso. In compenso, ho deliberatamente voluto fare la conoscenza di molti altri, durante alcune visite in Seminario o approfittando della Settimana Pastorale, della Settimana Vocazionale (anche se non era nel mio Decanato) o di qualche concerto con il Gruppo Shekinah.

 

Per la legge dei grandi numeri, non dovrei quindi rammaricarmi quando sento brutte notizie che li riguardano; eppure, sto male come se fossi la diretta causa di quegli abusi o di quell’abbandono. Vorrei che almeno a voi ordinati quest’anno non accada nulla di quel genere. Non sto a fornirvi consigli o considerazioni su come vivere il ministero: immagino che ne abbiate la testa piena.

 

Non ho avuto solo sofferenze, ma anche tante consolazioni. Moltissimi preti che conosco sono in servizio nelle parrocchie, mentre alcuni insegnano in Seminario o aiutano negli Uffici e Servizi di quella Curia Arcivescovile che tanti disprezzano. 


Qualcuno ha cambiato diocesi, ma è rimasto fedele alle promesse dell’Ordine. Se vi capitano cose belle non è per merito mio, ma di Colui che ve le dona e che mi fa partecipe dei vostri progressi.

 

Mi rivolgo ora a voi preti novelli che ho conosciuto più direttamente.

 

Don Emanuele, sono particolarmente felice per te. Quando ti ho conosciuto a Venegono eri uno dei giovani partecipanti al Triduo Farò la Pasqua da te e, dopo che ti avevo chiesto la provenienza, mi avevi svelato di essere nativo della mia stessa parrocchia d’origine.

 

Ammetto che non mi ricordavo affatto di te, forse perché eri troppo piccolo quando ho cambiato casa. Neanche un anno dopo, quando un tuo ex compagno di scuola e mio attuale comparrochiano mi ha rivelato che saresti entrato in Seminario, non ci ho dormito la notte per l’entusiasmo.

 

In questi anni ho cercato di starti alla larga, ma anche di accompagnarti con il pensiero e la preghiera. Tra l’altro, quando mi hanno raccontato la storia di Alessandro, il mio primo pensiero è stato che magari il suo sacrificio avrebbe fruttato molte vocazioni al sacerdozio diocesano, tra le quali almeno una dalla mia parrocchia.

 

Alla tua ordinazione diaconale e alla “prima predica” non ho voluto mancare, ma mi sono lasciata rovinare la festa dall’esclamazione meravigliata di chi, apprendendo che cerco di non mancare mai alle ordinazioni, ha frainteso il mio entusiasmo, paragonandolo all’atteggiamento simile a quello di certe ammiratrici che fanno la posta ai loro artisti preferiti.

 

Anche oggi ho voluto esserci per te e per condividere la gioia delle persone con cui sono – anzi siamo – cresciuti: se ancora una volta mi sono comportata male, ti chiedo perdono. 


Rinuncio al sogno di vederti salire l’altare per celebrare la tua Prima Messa perché, nella parrocchia dove vivo ora, c’è più bisogno di me, per aiutare i miei nuovi amici a sopportare il distacco da uno dei nostri sacerdoti.

 

Don Gianluca, non avrei mai immaginato di ritrovarti un mese fa, dopo averti conosciuto quando prestavi servizio di pastorale speciale in carcere. So che hai amiche molto più vicine, ma vorrei potermi considerare ugualmente una di loro.

 

Ascoltare recentemente i tuoi discorsi con altri preti più avanti nel ministero mi ha procurato una tenerezza profonda e portato a sperare che almeno tu non sarai danneggiato dall’avermi conosciuta. Anche i momenti di preghiera silenziosi che abbiamo condiviso mi hanno rafforzata nella decisione di sostenerti.

 

Come ti ho promesso, potrò unirmi alla festa dei tuoi compaesani e farò di tutto per farti avere quel piccolo dono – che non costituisce la “zavorra” paventata dall’Arcivescovo – che ho realizzato pregando per te.

 

Don Roberto, ti ho visto sì e no tre volte: in carcere, all’ordinazione diaconale e in una Messa dov’eri in servizio, quindi non posso affermare di conoscerti davvero. Da quel momento, però, ho cercato di ricordarmi anche di te, sperando di vederti sul tableau


Apprezzo le tue idee chiare e la precisione con cui ti ho visto compiere quella vicinanza ai fratelli ristretti, sperando che la porterai con te anche nelle prossime esperienze che avrai.

 

Volevo limitarmi, ma come al solito ho dato sfogo a quel che sentivo. Chiedo a voi tutti, novelli e più stagionati, di pregare per me, affinché io trovi qualcuno che prenda le mie difese quando compio qualche azione gentile nei vostri riguardi, come avvenne a quella donna di cui parla il Vangelo di Marco. 


Sarebbe bellissimo che foste magari voi stessi a ribattere come Gesù, di fronte a quelli che mi accusano: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6).

 

Con immutato affetto nel Signore,

 

la vostra indegna sorella,

peggior incubo dei preti novelli,

fissata con i seminaristi e i giovani preti vivi e defunti,

ultras del Seminario,

groupie dei diaconi,

collezionista di preti e di santini-ricordo di Prime Messe e anniversari,

 

Emilia

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