Padre Tito Brandsma, annunciatore di amore e di verità
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Chi è?
Anno Sjoerd Brandsma nacque il 23 febbraio 1881 nella fattoria di Oegeklooster, presso Bolsward, nei Paesi Bassi; più precisamente, nella Frisia Orientale. Era figlio di Titus Brandsma, agricoltore, e Tjitsje Postma, i quali ebbero in tutto sei figli; solo una delle quattro femmine si sposò, mentre gli altri fratelli e sorelle divennero tutti religiosi.
Anno frequentò il ginnasio dei Francescani a Megen; inizialmente pensò di farsi religioso come loro, ma non venne accettato a causa della salute malferma. Dopo aver conosciuto l’Ordine dei Fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo, detti anche Carmelitani dell’Antica Osservanza, entrò da loro come novizio il 22 settembre 1898, a Boxmeer. Da religioso cambiò il nome in fra Tito, in onore di suo padre.
Dal 1900 al 1905 seguì i corsi di filosofia e teologia a Boxmeer, a Zenderen e a Oss. Fu ordinato sacerdote il 17 giugno 1905 nella cattedrale di ‘s Hertogenbosch. Dal 1906 al 1909 padre Tito studiò filosofia a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, e sociologia presso l’Istituto Leoniano, ospite del Collegio Internazionale Sant’Alberto dell’Ordine dei Carmelitani. Il 15 ottobre 1909 conseguì il dottorato, quindi rientrò in patria.
Nel periodo in cui insegnò filosofia e matematica nello studentato carmelitano di Oss, ovvero tra il 1909 e il 1923, continuò la collaborazione, iniziata negli anni romani, con alcuni giornali e riviste del suo Paese. Nel 1932 divenne Magnifico Rettore dell’Università Cattolica di Nimega, presso la quale, nel decennio precedente, aveva insegnato filosofia e storia.
Tre anni dopo, monsignor Johannes De Jong, arcivescovo di Utrecht, lo nominò assistente ecclesiastico dell’associazione dei giornalisti cattolici. Padre Tito, che aveva anche la tessera internazionale di giornalista, tenne molte conferenze sulla spiritualità carmelitana in Irlanda e negli Stati Uniti. Nei suoi corsi universitari, in più, criticava l’ideologia nazionalsocialista, che ormai dominava in Germania e stava prendendo piede anche nei Paesi Bassi, evidenziando come essa fosse incompatibile col messaggio cristiano.
Dopo l’invasione dell’Olanda da parte dei tedeschi, avvenuta il 10 maggio 1940, i vescovi locali reagirono con fermezza. Padre Tito accettò di collaborare con loro, consegnando personalmente, nelle redazioni dei periodici cattolici, una lettera nella quale i direttori erano invitati a non pubblicare le comunicazioni naziste e neppure gli articoli imposti dal governo.
Il 19 gennaio 1942, appena rientrato nel convento di Nimega dopo la sua giornata all’università, venne arrestato. Dopo una notte di prigionia nel carcere di Arnhem, fu condotto nel carcere di Scheveningen, dove ribadì le ragioni delle sue posizioni antinaziste. Rimase a Scheveningen fino al 12 marzo, quando venne portato nel campo penale di Amersfoort; lì visse in condizioni estremamente dure.
Dal 28 aprile al 16 maggio dovette tornare a Scheveningen per un supplemento d’interrogatorio. Da lì ebbe un nuovo trasferimento nel campo di smistamento di Kleve, mentre i suoi superiori cercarono di mitigare la sua condanna, facendola passare a domicilio coatto presso un convento tedesco.
Il 19 giugno, dopo un viaggio di tre giorni su di un carro-bestiame, padre Tito giunse al campo d’internamento di Dachau, precisamente nel blocco 28, riservato ai religiosi e ai sacerdoti. Sempre più malato sia per costituzione fisica, sia per le privazioni subite negli altri tempi di prigionia, il 18 luglio venne mandato all’ospedale da campo. Alle 14 di domenica 26 luglio, venne ucciso con un’iniezione di acido fenico; il suo corpo venne bruciato nel forno crematorio del campo.
La fama di santità e di martirio di padre Tito condusse all’apertura della sua causa di beatificazione e canonizzazione. Riconosciuto il suo martirio col decreto del 9 novembre 1984, venne beatificato il 5 novembre 1985, nella basilica di San Pietro a Roma, da san Giovanni Paolo II. In seguito al riconoscimento di un miracolo, è stato canonizzato il 15 maggio 2022 da papa Francesco, in piazza San Pietro a Roma.
Cosa c’entra con me?
Circa una dozzina d’anni fa, le suore Figlie di San Giuseppe di Rivalba, che frequentavo da qualche tempo, mi regalarono il calendario-blocco di Santa Teresa di Gesù Bambino, pubblicato dai Carmelitani Scalzi del convento del Corpus Domini nella mia città. La caratteristica di quel calendario è che ogni giorno è accompagnato da una frase tratta (con citazione precisa, che non guasta mai) dagli scritti di santa Teresa e di altri carmelitani e carmelitane; ogni quindici giorni, poi, ci sono dei foglietti con delle illustrazioni. Quell’anno le immagini in questione riguardavano i Santi e i Beati del Carmelo.
Non ho idea del punto in cui, sollevando il foglio del giorno precedente, mi trovai davanti l’immagine dell’allora Beato Tito. Sul retro, la sintesi biografica menzionava la sua attività giornalistica e, ovviamente, la morte nel campo di Dachau. Ai tempi conoscevo solo un paio di figure che avevano trovato il martirio in circostanze simili: san Massimiliano Maria Kolbe e, per restare in ambito carmelitano in senso largo, santa Teresa Benedetta della Croce.
Non sarebbe passato molto tempo, poi avrei scoperto la vicenda dell’ordinazione sacerdotale, ma anche gli antefatti non meno interessanti, del Beato Karl Leisner. Padre Tito non ha assistito a quell’evento davvero speciale, perché è morto due anni prima che accadesse, però era anche lui prigioniero nella cosiddetta baracca dei preti.
Ritrovai il suo nome scorrendo un sito con delle novità librarie, nel quale era menzionato un volumetto che conteneva una sua conferenza sull’amore per gli animali come via per amare anche l’uomo. Il tema mi sembrava assai singolare, ma non mi venne voglia di approfondirlo.
Altrettanto sorpresa fui quando lessi del decreto sul miracolo valido per la canonizzazione. Forse avevo letto qualcosa anni fa, però non immaginavo che il processo avrebbe superato il vaglio della Consulta Medica.
Fu allora che mi ricordai dei suoi trascorsi come giornalista: forse avrei dovuto raccomandarmi anche a lui, perché mi aiutasse a realizzare il mio sogno di raccontare il Vangelo per mestiere e non solo per passione. Se anche non succedesse, pensai che avrei comunque potuto prendere spunto da lui per la mia vita, al di là delle indicazioni di metodo.
In effetti, l’Unione Cattolica della Stampa Italiana (UCSI) ha fatto propria la lettera aperta in cui giornalisti belgi e dei Paesi Bassi chiedevano, ovviamente a canonizzazione avvenuta, che diventasse compatrono della categoria con san Francesco di Sales.
Nei mesi successivi, presi la decisione di partecipare alla canonizzazione del 15 maggio, accodandomi al pellegrinaggio organizzato dalla Pastorale Giovanile diocesana e centrato su un altro dei futuri Santi, Charles de Foucauld (qui la prima parte del diario di viaggio, qui la seconda). Pensavo che fosse l’occasione giusta per leggere, finalmente, quella conferenza di padre Tito.
Prima, però, avevo una curiosità: volevo chiedere al giornalista Luigi Accattoli, curatore della prefazione alla nuova edizione della conferenza, quale fosse il suo legame con quel religioso collega. Non mi raccontò precisamente come l’avesse conosciuto, ma mi riferì che aveva tenuto, il 30 aprile precedente, una conferenza su di lui presso la chiesa di Santa Maria Regina Mundi a Torre Spaccata (Roma), tenuta proprio dai Carmelitani dell’Antica Osservanza.
A Roma, nei giorni della canonizzazione, ho visto molti pellegrini convenuti per lui, come dichiaravano i foulard e altri segni di riconoscimento. Proprio domenica 15, sull’autobus che riportava me e parte della mia comitiva alla stazione di Roma Termini, ho finito con l’attaccar bottone con una signora inglese, ma di origini olandesi: mi ha raccontato che era lì proprio per lui.
Quando mi sono accorta che oggi sarebbe caduto il settantesimo anniversario della nascita al Cielo di padre Tito – per lui si può davvero usare quella definizione, visto che ora è riconosciuto come Santo – ho pensato di leggere anche una sua biografia, così da capire se effettivamente tra me e lui ci fosse qualche affinità.
La principale credo che risieda nel suo legame con i Santi, a cominciare con quelli della grande famiglia del Carmelo. Pur non appartenendo al ramo riformato da santa Teresa di Gesù e da san Giovanni della Croce, dedicò loro molti studi e parecchie conferenze.
Il suo progetto di tradurre autobiografia e opere di santa Teresa, così da farla conoscere meglio nei Paesi Bassi, fu davvero il sogno di un’intera vita: cercò di completarlo perfino nei mesi di prigionia a Scheveningen, scrivendo anche tra le righe di un libro che gli era stato concesso di tenere con sé (la vita di Gesù di Cyril Verschaeve) e basandosi, oltre che su una traduzione preesistente riportata nell’altro libro che poteva tenere, sui propri ricordi e studi accademici.
Sentiva poi uno stimolo, nella sua opera, dall’esempio dei Santi che portarono il Vangelo in Frisia, ovvero i monaci anglosassoni Villibrordo e Bonifacio. Sapeva infatti di vivere in tempi dove prendeva il sopravvento una nuova forma di paganesimo, incarnata dall’ideologia nazista: doveva quindi mettere in guardia quante più persone possibile, a costo di dare la vita come quei due monaci.
La biografia che ho consultato fa poi un vago cenno a vari altri articoli di spiritualità, che lui dedicò a figure come sant’Agostino o santa Gemma Galgani. Sarei particolarmente curiosa di sapere cosa sentisse di raccontare di quest’ultima, perché io stessa sento di entrarci con lei.
Da autentico Carmelitano, viveva profondamente il legame con la Vergine Maria: anche a lei dedicò omelie e discorsi, ma soprattutto le rimase fedele nella preghiera, tanto da dispiacersi appena si rese conto che, prima dell’arresto, si era dimenticato il suo Rosario. I compagni di prigionia gliene costruirono un altro con pezzetti di legno e usando un bottone per la parte centrale o crocera. Quella stessa corona fu regalata da lui all’infermiera che eseguì materialmente la sua condanna a morte e, per certi versi, favorì la conversione di quella donna.
Per ultima, ma non per importanza, riconosco l’affinità tra me e lui nella passione per la scrittura, vissuta senza riserve, senza perdere tempo e occasioni. A oggi non so ancora se scrivere diventerà il mio vero lavoro, però non intendo rigettare questo dono che sento di aver ricevuto, anzi, vorrei continuare a metterlo a frutto anche se lavorassi in altri campi.
Il suo Vangelo
San Tito ha incarnato il Vangelo in un tempo nel quale ideologie palesemente avverse lo ostacolavano e arrivavano a imprigionare e a mettere a tacere (o almeno, così pensavano) i suoi Testimoni autentici. Col passare degli anni capì sempre di più a cosa stavano andando incontro anche i Paesi Bassi, sebbene il nazionalsocialismo lì non avesse mai attecchito realmente, per l’indole pratica del suo popolo.
Il suo spirito curioso e indagatore, che l’aveva messo quasi nei guai all’epoca della sua formazione, trovava sollecitazioni anche a livello internazionale: lo dimostrano i suoi viaggi all’estero, nei quali strinse relazioni e continuò a studiare e a predicare.
Proprio dalla predicazione si capisce la ragione profonda della sua opposizione. Mentre il nazismo dichiarava nemici quanti non corrispondevano ai propri principi, il Vangelo dichiarava di amare anche il nemico. Mentre l’uno sopprimeva il pensiero che non si allineava al proprio, il secondo sosteneva la libertà di parola e di espressione.
Per questo san Tito, chiamato a predicare durante la celebrazione eucaristica del 16 luglio 1939, compresa in un incontro culturale religioso frisone, si appoggiò di nuovo all’esempio dei Santi Villibrordo e Bonifacio per ribadire la concezione cristiana dell’amore vero:
Nonostante il neopaganesimo rifiuti l’amore, la storia ci insegna che noi con l’amore vinceremo anche questo nuovo paganesimo. No, non rinunceremo mai all’amore e l’amore riconcilierà di nuovo con noi i cuori dei pagani […] e per quanto un’ideologia s’impegni a ripudiare l’amore e a condannarlo come una debolezza, la testimonianza viva di questo amore si convertirà sempre in una nuova forza capace di vincere ed unire i cuori degli uomini…
A settant’anni dalla nascita al Cielo, dunque, parole come queste e molte altre continuano ad avere peso e a risuonare, cercando cuori che sappiano accoglierle.
Per saperne di più
Fernando Millán Romeral, Il coraggio della verità – San Tito Brandsma, Ancora 2022, pp. 144, € 15,00.
Seconda edizione riveduta e aumentata, aggiornata alla canonizzazione, di un testo biografico uscito in Italia nel 2012.
San Tito Brandsma, Amore per gli animali e amore per l’uomo, Graphe.it 2022, pp. 48, € 6,00.
Testo (in edizione italiana rivista e corretta) della conferenza tenuta nel 1936, nella quale padre Tito evidenzia come amare gli animali (e lui era figlio di agricoltori, quindi se ne intendeva) aiuti ad amare l’uomo.
B. Tito Brandsma, Bellezza del Carmelo, Edizioni Carmelitane 1994, pp. 161, € 15,00.
Libro che raccoglie tre tipi di scritti di padre Tito: gli appunti sulla storia della mistica carmelitana, fonte delle conferenze tenuta in Irlanda e Stati Uniti nel 1936; la Via Crucis composta nel 1919; il testo della conferenza del 1931 a Deventer su Pace e amore per la pace.
Su Internet
Pagina su di lui del sito del Dicastero delle Cause dei Santi
Sezione del sito della Curia Generalizia dei Carmelitani dell’Antica Osservanza (in inglese)
Sezione del sito della Provincia Olandese dei Carmelitani dell’Antica Osservanza (in olandese)
Sito del Centro di Spiritualità Titus Brandsma Memorial (in olandese)
Sito dell’Istituto di Ricerca Titus Bransdma di Nimega (in inglese)
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