Il cardinal Martini e me, dieci anni dopo


Mi sono interrogata se valesse la pena di scrivere un nuovo post sul mio legame col cardinal Carlo Maria Martini in occasione del decimo anniversario della sua morte. Alla fine ho pensato di mettere giù qualche riflessione, così da far capire, a quei pochi che mi leggono, che ritenevo comunque importante parlarne.

 

La morte del Cardinale è avvenuta nel periodo in cui mi apprestavo a un grande cambiamento nella mia vita: lasciare la casa dov’ero nata e cresciuta a causa di uno sfratto esecutivo per cessata locazione e, di conseguenza, anche la comunità cristiana dove avevo ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana e che continuavo a frequentare.

Trascorsi un paio d’anni, venni a sapere un episodio da uno dei sacerdoti della mia nuova parrocchia. Durante una riunione dei preti del Decanato, molti dei presenti avevano, a più riprese, citato espressioni martiniane. Ad un tratto, un giovanissimo prete, fresco di ordinazione, sbottò: «Martini è MORTO!» (lo scrivo in maiuscole per far capire che l’aveva letteralmente esclamato). Evidentemente era esasperato da quei rimandi su rimandi ai suoi insegnamenti da vescovo in carica e da emerito.

Ammetto di aver provato anch’io questa sorta di esasperazione e di aver pensato che la nostra Chiesa locale dovesse smetterla di vivere di rendita su quello che lui aveva trasmesso nel suo lungo episcopato: più che citarlo, bisognava assumere quello che aveva insegnato e, soprattutto, accettare il presente con tutte le sue difficoltà. Mi sono poi resa conto di aver emesso un giudizio troppo severo.

Mi è accaduto anche quando ho iniziato a pensare che, negli ultimi anni, avrebbe fatto meglio a non avere più uscite pubbliche, limitandosi a farsi intercessore, come aveva promesso. In tal modo, non avrebbe corso il rischio di essere frainteso, com’è effettivamente successo per quel suo ultimo grido sulla mancanza di coraggio della Chiesa del suo tempo. Di nuovo, mi sono pentita: non dovevo permettermi di giudicarlo così pesantemente.

Invece dovevo assumere un altro atteggiamento: come ha affermato in una recente intervista su Credere don Damiano Modena, che l’accompagnò come segretario fino alla morte e nei tre anni precedenti, più che criticare e lamentarmi, dovevo operare per favorire il progresso ecclesiale, che, come insegna il futuro Beato Giovanni Paolo I, deve avvenire sulla strada delle verità certe ed immutabili.

Ho già raccontato le mie impressioni dopo la visione del documentario vedete, sono uno di voi di Ermanno Olmi e dopo la lettura de Il mio Martini segreto di don Gregorio Valerio, l’ultimo segretario negli anni milanesi, che mi è sembrato una risposta neanche troppo indiretta all’interpretazione, a tratti pessimista, offerta dal regista.

Negli ultimi mesi ho invece trovato molto positivo che si sia iniziato a considerarne vita e operato dal punto di vista storiografico e scientifico. L'idea è partita dalla Comunità di Sant’Egidio, con cui Martini aveva stretti rapporti sin dagli anni romani.

Più di una volta, specie nei giorni feriali, mi sono trovata a passare per la sua tomba: molto spesso di fretta, per non fare tardi a Messa; altre volte col cuore oppresso dalle mie colpe, che ero disposta a confessare sacramentalmente.

Qualche volta mi è venuto da invocarlo, proprio sostando sulla tomba, ma me ne sono pentita immediatamente: quello, che pure era un grido del mio cuore, quindi una faccenda privata, anticipava comunque il giudizio ufficiale della Chiesa e presumeva che la sua anima fosse in grado d’intercedere per me.

Ignoro se qualcuno, invece, abbia ricevuto segni e grazie, materiali e spirituali, a lui attribuibili. Se mi accadesse, credo che ne darei immediatamente notizia, fornendo opportuna documentazione, alla Fondazione Carlo Maria Martini che ha sede presso la chiesa di San Fedele, sebbene, nei suoi statuti, non abbia questo scopo.

Nel post pubblicato il giorno dei funerali scrivevo:

Ora che non c’è più, mi prendo l’impegno di riprendere i suoi libri e trovarvi nuovo nutrimento.

Posso dire di esserci riuscita, anche se non del tutto. Più che leggere quello che altri dicono di lui interpretandone il pensiero – l’opera di don Valerio ha fatto eccezione perché è in forma di diario, quindi in presa diretta sugli eventi – preferisco andare alla fonte, a quei testi che quasi mai uscivano dalla sua penna, ma erano trascrizioni d’interventi o di Esercizi predicati a questa o a quella comunità. In essi non cerco chissà quali anticipazioni del futuro, ma incoraggiamenti per questo mio presente, perché è questo che facevano gli antichi profeti in Israele.

In particolare, in quest’anno che l’attuale Arcivescovo ha voluto dedicare a riscoprire il senso della preghiera, penso che darò una lettura a La dimensione contemplativa della vita, per farmi aiutare a dare una qualità diversa al mio modo di pregare.

Non posso che concludere con le parole di monsignor Delpini, contenute nell’omelia di ieri, nella Messa che ormai da qualche anno unisce, tenendo ben distinti i piani del culto e del suffragio, il Beato Alfredo Ildefonso Schuster e i suoi successori defunti (tolto ovviamente san Paolo VI):

In questo decennio della morte del Card. Carlo Maria Martini ringraziamo il Signore, con stupore e ammirazione per il bene che continua a compiere con le parole che ispirano pensieri e speranze, con la sapienza che aiuta molti nei percorsi di preghiera e di discernimento, con l’insistenza sulla familiarità e la conoscenza delle Scritture che continua a essere invito ad attingere alla parola ispirata, all’acqua viva che zampilla per la vita eterna.

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