Marcello Marano, l’ingegnere che portava a Dio (Corona d’Avvento dei Testimoni 2022 #3)

Marcello alla laurea del fratello Vincenzo
(per gentile concessione di Marco Paganini)

Chi è?

Marcello Marano nacque a Milano il 5 ottobre 1974, secondogenito di Giuseppe Marano, impiegato presso la Banca Commerciale Italiana, e Giovanna Natale, insegnante. Fu battezzato il 27 ottobre dello stesso anno, presso la chiesa di San Paolo a Milano.

Nel febbraio 1979 anni si trasferì con la famiglia a Cinisello Balsamo, dove sua madre insegnava. Anche se la parrocchia a cui apparteneva territorialmente era quella di San Pio X, la frequentò per breve tempo: insieme ai suoi, s’inserì nella parrocchia della Sacra Famiglia, dove ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana con un anno d’anticipo, insieme al fratello Vincenzo. Nell’oratorio della stessa parrocchia frequentò il gruppo adolescenti e il gruppo giovani, impegnandosi anche come educatore e catechista.

Nel 1992 conobbe l’Opus Dei tramite gli articoli della rivista «Studi Cattolici», che il sacerdote incaricato dell’oratorio proponeva ai giovani negli incontri di catechesi. Incoraggiato da un altro membro del gruppo giovani, Edmondo Finotto, decise di volerne sapere di più.

Cominciò quindi a frequentare il più vicino centro educativo dell’Opus Dei, ovvero la Scuola Sportiva EST di Sesto San Giovanni, che poi venne sostituita dal Club Sesto Più nella stessa città. Dal 1993 al 1999 continuò in parallelo i suoi impegni lì e in parrocchia, senza per questo trascurare lo studio.

Laureatosi il 15 aprile 1999 in Ingegneria delle Comunicazioni presso il Politecnico di Milano, nel novembre dello stesso anno conseguì una borsa di studio triennale per il dottorato di ricerca. Cominciò anche le sue prime esperienze di didattica: Fisica generale e Fisica sperimentale nelle sedi distaccate del Politecnico a Cremona e poi a Piacenza, quindi Fisica II presso il Campus della Bovisa, per gli studenti di Ingegneria meccanica. Infine, insegnò Ingegneria gestionale nella sede centrale del Politecnico a Milano.

Insieme ad alcuni colleghi, tra il 1999 e il 2002, lavorò a un manuale di esercizi di Fisica sperimentale. Allo scadere della borsa di studio, entrò in ruolo come ricercatore di Fisica sperimentale. Nella sua attività di ricerca affrontò diversi campi dell’elettronica quantistica, della fisica dei laser e della fotonica.

Il 5 febbraio 1997 chiese l’ammissione all’Opus Dei nella modalità degli aggregati, ossia quei laici che si rendono disponibili all’apostolato e che per questo scelgono il celibato, ma che, a differenza dei numerari, vivono in famiglia. Tra i suoi colleghi lasciava trasparire poco di questa sua vocazione, preferendo parlare a Dio di loro e cercando, in ogni caso, di ricondurli a Lui.

La mattina dell’11 dicembre 2002, poco prima delle 8, suo padre lo trovò svenuto nella doccia di casa: ricoverato d’urgenza all’ospedale Niguarda di Milano, gli venne rilevata una grave emorragia cerebrale, di probabile natura congenita. Fu dichiarato clinicamente morto circa dieci ore dopo.

I suoi resti mortali riposano presso il cimitero Maggiore di Musocco – Milano, nella tomba di famiglia dell’Opus Dei.

 

Cosa c’entra con me?

 

Ammetto che Marcello sarebbe stato per me un totale sconosciuto, se non avessi incrociato sulla mia strada uno dei suoi amici dell’oratorio, don Matteo Baraldi, sacerdote da quasi vent’anni. Quest’ultimo è uno dei miei pochi lettori e ha dato più volte prova di apprezzare quello che scrivo.

Poco dopo aver partecipato con lui e con i parrocchiani di Santa Maria Segreta, dov’era vicario al tempo, alla beatificazione di Carlo Acutis (qui il mio diario di viaggio), ho ricevuto una e-mail da parte sua, nella quale m’invitava a passare a trovarlo presso la parrocchia di Gesù Buon Pastore e San Matteo, dove pure prestava servizio e dove da poco è parroco: aveva qualcosa da regalarmi.

Ingolosita da quella promessa, ho fissato l’appuntamento per il 14 novembre 2020, alla vigilia dell’inizio dell’Avvento ambrosiano. Al termine della Messa vigiliare, l’ho raggiunto in sacrestia, dove mi ha consegnato un libro dalla copertina blu, sul quale compariva un giovane in giacca e cravatta. Me lo presentò come un suo amico di gioventù, conosciuto nella sua stessa parrocchia.

Ho subito intuito che c’era del potenziale per un post, così, mentre tornavo a casa, ho iniziato a sfogliare il libro. Quando però ho appurato che Marcello era morto nel 2002, ho fatto i miei conti: sarebbe stato forse più opportuno scrivere di lui nel ventesimo anniversario, ovvero dopo due anni. Di conseguenza, ho riposto il libro nella mia biblioteca domestica e mi sono dedicata ad altro.

Circa un mesetto fa, don Matteo mi ha inviato una e-mail nella quale mi ricordava la promessa che gli avevo fatto. Dopo aver controllato che la data esatta cadesse proprio in una domenica di Avvento, ho iniziato a domandarmi come giustificare la presenza di Marcello nella Corona d’Avvento dei Testimoni di quest’anno: non restava, allora, che cominciare a leggere il libro.

Dal mio primo e frettoloso sguardo sapevo già che Marcello frequentava la stessa parrocchia dove si era formata cristianamente e dove si era sposata la Venerabile Maria Cristina Cella Mocellin (qui un articolo dove ho parlato sia di lei, sia di suo marito Carlo). In realtà, tra di loro passavano cinque anni di differenza; c’era poi da tenere conto del fatto che lei si era sposata nel 1991 e che poi era andata a vivere a Carpanè, molto lontano da Cinisello.

Il racconto della sua vita in oratorio mi ha fatto ripensare alle esperienze vissute nella mia parrocchia di nascita. Non tutte sono state felici, non tutte mi hanno dato gioia, ma hanno contribuito a fare di me la persona che sono ora, portandomi soprattutto a tentare di dimostrare agli altri che in me c’era molto di più di quello che traspariva all’esterno.

Ho poi trovato una sorta di affinità metodologica tra quello che il mio don dell’oratorio faceva con noi giovani e il comportamento dell’allora viceparroco della Sacra Famiglia: entrambi integravano le linee guida diocesane attingendo a testi di spiritualità e a contributi provenienti dalla stampa cattolica.

È stato così che l’amico Edmondo, seguito dallo stesso Marcello, si è avvicinato all’Opus Dei, peraltro in tempi in cui l’unico modo per saperne di più era conoscere qualcuno che già ne facesse parte. Lui è andato ben oltre, scrivendo una lettera alla redazione di «Studi Cattolici», più o meno come a lungo mi sono comportata io per chiedere materiali e informazioni su vari candidati agli altari.

Curiosamente, l’Editrice Ares, che pubblica quella rivista, è la stessa per la quale è uscita la biografia di Marcello che don Matteo mi aveva regalato. Non è la casa editrice dell’Opus Dei nello stesso senso in cui, ad esempio, l’editrice Ancora appartiene ai Figli di Maria Immacolata Pavoniani, ma è comunque a essa strettamente legata: ha avuto per anni l’esclusiva sulle opere del fondatore, san Josemaría Escrivá de Balaguer.

Quanto al riconoscersi chiamato a far parte dell’Opera, come la chiamano fedeli e simpatizzanti, mi ha colpito vedere come non sia stato un percorso indolore. Forse Marcello temeva di dover abbandonare i suoi ragazzi dell’oratorio, o di essere vittima di quello stesso pregiudizio basato su una scarsa o superficiale conoscenza della spiritualità di quella realtà. Alla fine, come raccontò lui stesso in una lettera all’amico e collega Stefano Longhi, datata 8 dicembre 2002 (sarebbe morto tre giorni dopo), aveva capito che lì Dio lo chiamava a essere davvero felice.

Il biografo, che peraltro ora vive anche lui a Milano, ha dato grande spazio alle testimonianze, ma molto meno agli scritti intimi di Marcello, forse per una ragione di riservatezza, o forse perché, eccetto qualche lettera, sono stringati e limitati a qualche appunto. Tra di essi, però, c’è una nota che è stata riportata autografa anche sull’immagine-ricordo per il quinto anniversario: «La morte => sempre pronto! / Il cielo e il 100 x 1: vale la pena!».

L’interpretazione che mi sento di dare, ora che sento di conoscere un po’ di più Marcello, anche se non gli sono stata vicina negli anni di vita, è che lui vivesse guardando alle realtà soprannaturali e a quelle ultime, ma senz’angosciarsi. La sua indole pratica lo conduceva a pensarla così, ma anche la lunga meditazione sulla Scrittura, sui testi spirituali e sui fatti della vita, come insegnava il “Padre” san Josemaría.

Con lui, anche se non alla stessa maniera di quanto ho raccontato per quel che mi riguarda, Marcello aveva maturato un autentico rapporto filiale. Persone più esperte di me saprebbero scandagliarlo meglio, ma sono sicura che fosse così: non solo perché aveva ascoltato con interesse una conferenza organizzata in parrocchia a ridosso della beatificazione, o perché aveva organizzato il pellegrinaggio da Cinisello e Sesto a Roma per la canonizzazione, celebrata peraltro il giorno dopo il suo ventottesimo compleanno (a essa si preparò anche spiritualmente, come dovrei fare di più anche io per vivere bene simili circostanze), ma perché sentiva che quel Santo avesse per così dire istituzionalizzato un modo di vita cristiana che non soppiantava, ma integrava quello che lui da giovanissimo aveva imparato nella vita di parrocchia.

Pochi giorni fa, ho avvisato don Matteo che avevo intenzione di pubblicare questo post, quindi gli ho chiesto di mettermi in contatto con il biografo di Marcello. Non solo me l’ha concesso, ma mi ha anche fatto presente che oggi, alla parrocchia della Sacra Famiglia di Cinisello, sarà celebrata la Messa per il ventesimo anniversario, a cui seguirà un incontro con le testimonianze di alcuni dei suoi vecchi amici e colleghi.

Come spesso accade, purtroppo, non potrò esserci a causa di un altro impegno preso da tempo, ma ho prodotto un piccolo articolo per il Portale della diocesi di Milano e il profilo per santiebeati.it, ovviamente per la sezione Testimoni. Spero, in ogni caso, che quell’incontro dia i frutti che gli amici di Marcello sperano e che integri le testimonianze che stanno raccogliendo.

 

Il suo Vangelo

 

Al di là della ricorrenza legata alla sua fine terrena, penso che Marcello sia un Testimone capace di fare proprio il mistero dell’Incarnazione perché, con la propria attività professionale, ha reso ancora più nobile l’umanità che Gesù stesso aveva fatto sua.

C’è poi un particolare molto delicato: sulla sua scrivania, nei giorni precedenti la morte, teneva un piccolissimo presepe di vetro e acciaio, che esponeva sempre nei giorni di Avvento e di Natale. Come ha testimoniato un altro collega, Cosimo, ne aveva molta cura e stava attento a rimettere a posto le statuine, se per caso la sua scrivania veniva urtata.

Sempre poco prima di morire scrisse quella lettera che ho già citato e che, per certi versi, costituisce la sintesi del suo percorso di fede, oltre che il vertice dei tre mesi di corrispondenza con il collega Stefano Longhi.

Dato che lui gli raccontava molto di sé, pensò di confidargli com’era nata la sua vocazione, nell’immediato, ma anche in senso più largo. Scrisse dunque:

Il Signore chiede a tutti, e non solo ad alcuni che chiama nella vita consacrata, di stare molto vicino a Lui, di essere suoi amici, di frequentarlo nella preghiera, di conoscerlo sempre meglio attraverso il Vangelo: in altre parole, di essere santi...

L’Opus Dei è stata il mezzo attraverso cui Marcello ha potuto rafforzare questa chiamata, ma quanto lui scrisse vale davvero per tutti.

 

Per saperne di più

 

Marco Paganini, Così normale, così speciale – Vita di Marcello Marano, Edizioni Ares 2010, pp. 224, € 14,00.

La biografia di Marcello, basata su testimonianze già edite in proprio, su altre inedite, sui racconti di familiari e amici e sui suoi scritti.


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