Luciano Bottan: cuore ardente, piedi in cammino, sorriso sulle labbra
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Luciano
Bottan nacque a Treviso il 1° novembre 1965, figlio di Lodovico Bottan e di sua
moglie Gina. Visse con i genitori e i fratelli Emanuele e Lucia a Santa Maria
sul Sile. Bambino buono e disponibile, amava stare con gli amici e giocare con
loro, ma provava anche compassione per quanti tra loro vedeva in difficoltà.
Cominciò
a lavorare a sedici anni come fabbro, interrompendo gli studi di Ragioneria, ma
spendeva quasi tutti i suoi guadagni al bar del paese. Frequentava l’oratorio
parrocchiale di Sant’Angelo e Santa Maria Sul Sile, ma solo come punto di
ritrovo con gli amici.
Alla
soglia dei vent’anni, qualcosa cambiò in lui. Forse perché assistette alla
morte di un giovane compaesano in un incidente con la motocicletta, o forse per
le riflessioni scaturite dopo il suicidio di un altro giovane, Fabrizio.
In ogni
caso, cominciò a frequentare il gruppo “Giovani 2000” fondato da don Ernesto
Soligo e si affidò alla guida spirituale di quest’ultimo, di cui divenne
praticamente l’autista personale. In questa veste, Luciano si avvicinò alle
vite di persone messe ai margini o sbandate.
Riprese
gli studi, ottenendo il diploma alle magistrali, quindi trovò lavoro presso l’ente
cittadino che distribuiva il metano. Entrò poi nel gruppo missionario della
parrocchia, quindi nel Gruppone Missionario, una realtà missionaria della
diocesi di Treviso. Grazie a esso, ma anche mediante la lettura di testi di
spiritualità, crebbe ancora di più nella fede e nella comprensione di cosa
significhi davvero vivere la missione.
Cominciò
a frequentare la sede di Preganziol del Pontificio Istituto Missioni Estere, ma
quando i padri del luogo gli proposero di cominciare la formazione in vista del
sacerdozio, cambiò idea. Con tutta sicurezza, lo fece per non ferire suo padre,
contrario a una sua partenza per le missioni.
Cominciò
anche il discernimento vocazionale nel Gruppo Diaspora, presso il Seminario di
Treviso. Infine, divenne molto amico dei Frati Minori Conventuali del convento
di San Francesco a Treviso, i quali nutrivano buone speranze su di lui.
Luciano
compì la sua prima esperienza missionaria in Benin, nella missione cattolica di
Azovè, quindi, nell’agosto 2000, andò in Romania, precisamente a Bucureşti Novi.
Quest’ultima missione gli fu suggerita da Paola, un’altra ragazza del Gruppone,
con cui si era fidanzato nel frattempo.
Cominciò
poi a immaginare una partenza per l’Africa, aprendo quindi una nuova strada per
il Gruppone, che fino a quel momento si era concentrato sull’America Latina (i
precedenti viaggi di Luciano non erano collegati al Gruppone). Suo padre era
contrario, ma lui e Paola riuscirono a convincerlo. Il 16 ottobre 2000 partì
quindi per il Ciad, inviato dalla diocesi come membro del Gruppone, destinato
al centro di accoglienza Kol Pelé, a Fianga.
Il 20
ottobre, mentre viaggiava sul fuoristrada che era stato noleggiato a causa di
problemi con l’aereo che avrebbe dovuto trasportarlo, morì in un incidente a
Moulkon, tra le nove e le dieci del mattino: il mezzo era finito in una
scarpata, quindi contro un albero, dopo aver forato uno pneumatico. Luciano
avrebbe compiuto di lì a poco trentacinque anni.
Insieme
a lui trovò la morte anche Jean Picard, un diacono permanente canadese. Suor
Marie Clémance Djihunouck, che li accompagnava, rimase semiparalizzata a causa
dell’incidente. Don Saverio Fassina, che era partito dall’Italia con Luciano,
fu gravemente ferito, ma si riprese.
Dopo i
funerali celebrati nel Duomo di Treviso il 28 ottobre 2020 e presieduti dal
vescovo di Treviso monsignor Paolo Magnani, Luciano trovò sepoltura nel
cimitero di Santa Maria sul Sile.
Cosa c’entra con
me?
Lo
scorso 3 agosto 2023 mi trovavo a Sintra, in Portogallo, durante la Giornata
Mondiale della Gioventù, insieme ai miei compagni del Gruppo Shekinah, coro
giovanile della diocesi di Milano. Dopo il pomeriggio, trascorso visitando i
palazzi e il centro storico di quella cittadina (e degustando i magnifici pasteis
de nata), ci eravamo fermati in un bar, che garantiva pasti convenzionati
col Menu del Pellegrino.
A un
certo punto, sono arrivati nel locale altri giovani con un sacerdote: io e i
ragazzi che erano con me (altri erano a cenare all’esterno) abbiamo subito
liberato i tavoli, visto che avevamo finito, e ci siamo avviati per uscire. Le
mie compagne, però, hanno trovato giusto presentarsi e raccontare che facevamo
parte di un coro.
Come
spesso accaduto durante i giorni della GMG, ci siamo ritrovati a improvvisare
uno dei canti del nostro repertorio, ma quella volta non abbiamo scelto uno dei
nostri brani originali, bensì l’inno della GMG 2016, di cui però avevamo inciso
la versione italiana ufficiale.
I
giovani e il loro don, a loro volta, si erano presentati, dichiarando di venire
da un paese in provincia di Venezia e diocesi di Treviso. Hanno pensato di
ricambiare intonando a loro volta un canto (riportato integralmente nel video qui sotto): Che non debba mai / dir di no ma
sempre / un sì con un sorriso sulle labbra, / fa’ che il mio dir di sì / sia
sempre per la gloria tua, / fa’ che abbia sempre sete di Te, Signore!
Mentre li sentivo cantare, notavo che avevano un tono festoso, ma come velato di una strana nostalgia. Io e le altre ragazze abbiamo molto apprezzato, così ho chiesto ai giovani chi ne fosse l’autore: cerco sempre di ampliare il mio repertorio, in tutte le circostanze possibili.
Un
giovane mi ha risposto che le parole erano tratte dagli scritti di un loro
missionario. Credevo che si trattasse di padre Ezechiele Ramin (il quale era sì
veneto, ma non di Treviso), ma sono stata subito corretta: era un laico missionario,
Luciano Bottan. Avevamo appena ascoltato una sua preghiera, messa in musica da
Erica Boschiero.
Subito
mi si è affacciato alla mente un ricordo, di appena tre anni addietro: una gran
testa riccia con un sorriso larghissimo, sulla copertina di un libro. Avevo
infatti visto, sul sito Libreria del Santo, l’uscita di un piccolo volume,
a ridosso dei vent’anni dall’incidente mortale.
Tuttavia,
avevo finito per snobbarlo, perché, nell’indice, c’era un capitolo intitolato
La santità della porta accanto. Come non mi stancherò mai di ripetere,
infatti, i “santi della porta accanto” di cui parla papa Francesco nella
Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, al numero 7, sono coloro
che vivono accanto a noi ora, non le persone defunte che possiamo aver
conosciuto, direttamente o indirettamente. Inoltre, vedere il termine “santità”
nel sottotitolo mi aveva procurato un po’ di nervosismo: mi sembrava una
mancanza di prudenza nei confronti dell’effettivo destino ultraterreno di
Luciano, nonché del giudizio ufficiale della Chiesa su di lui.
Mentre
ancora ero come folgorata da quel ricordo improvviso, don Matias,
l’accompagnatore dei giovani, mi ha indicato un’altra ragazza del gruppo. Avrei
voluto parlare più a lungo con lei, ma rischiavo perdere il treno che doveva
riportarmi al mio alloggio. Le ho lasciato, allora, il mio biglietto da visita,
insieme a una promessa: appena tornata a casa, avrei comprato il libro su
Luciano e avrei dedicato un post a lui, visto che, da quel momento, c’entrava
con me.
Tornata
dalla GMG, ho cominciato a dare compimento alla promessa, cercando online il
canto intonato dai giovani e altre notizie su Luciano. Ho però aspettato dopo
il 20 agosto, data in cui i distributori librari avrebbero riaperto, per il
libro; non aveva senso ordinarlo prima. Non sono nemmeno andata subito a
ritirarlo il libro quando mi è arrivato l’SMS con cui mi era segnalato
l’arrivo; l’ho comprato il 29 agosto.
Ho
pensato che il momento giusto per parlare di lui potesse essere il mese di
ottobre, dedicato alle missioni per tradizione, anche se non cadeva nessun
anniversario significativo. Ho poi appurato che l’incidente è avvenuto proprio
in ottobre, quindi potevo farlo rientrare ugualmente. Avrei potuto aspettare
altri due anni, per il venticinquesimo, ma rimandare avrebbe forse comportato
che me ne sarei dimenticata. Però sentivo di dover mantenere la promessa fatta
a quei ragazzi veneti.
Il 6
ottobre mi sono data alla lettura, terminandola nel giro di poche ore. Ho
subito capito perché quei giovani si sentivano in comunione con Luciano:
immagino che non l’abbiano conosciuto, ma che la sua storia e le sue preghiere
l’avevano reso affine al loro modo di vivere la fede. È più o meno quello che
accade a me, con tante storie che racconto soprattutto qui.
Mi sono
poi sentita pienamente d’accordo con padre Giancarlo Paris, autore della
piccola biografia uscita nel 2020, la stessa a cui facevo riferimento sopra. Lui ha incrociato Luciano nel 1995, da giovane
postulante dei Frati Conventuali, quando lui veniva a fare colazione nel loro
convento di Treviso, poi l’anno dopo, passando per il Pime di Preganziol.
Solo
dopo la sua morte si sono creati altri legami, che l’hanno convinto sempre di
più di un aspetto molto commovente: nel libro, e nel video qui sotto, afferma
che nel suo sacerdozio vive il sogno irrealizzato di Luciano.
Anche a me è successo così, con la vicenda di Alessandro Galimberti, seminarista della mia diocesi; chiedo scusa ai lettori di vecchia data, se parlo di nuovo di lui. A volte sono arrivata a pensare che, se fossi nata maschio, avrei preso la via del Seminario diocesano e avrei voluto che il mio sacerdozio fosse un prolungamento del suo, a cui era prossimo, se la malattia non l’avesse fermato.
Visto
che non è accaduto, ho deciso che avrei messo in campo tutti i mezzi a mia
disposizione per raccontare di lui a quanta più gente possibile. Penso che sia
successo così anche al biografo di Luciano.
Quanto
agli aspetti con cui io mi sento affine a lui, sicuramente c’è l’amore per il
canto. Luciano cantava bene e forte, ma dopo essere tornato a una fede più
convinta prediligeva i canti di Taizè. In nome di questo amore, il coro di Fianga
porta il suo nome.
Ancora
di più, ho riconosciuto che anche lui, come me, si sentiva parte di una Chiesa
ben più vasta della propria parrocchia, a cominciare dalla comunità diocesana. Se
si deve dar credito alla testimonianza di suor Clèmance – che però si
contraddice se confrontata col certificato del decesso, che attesta «frattura
completa della colonna vertebrale e cervicale», circostanza nella quale è
impossibile parlare – le sue ultime parole, rivolte a chi lo soccorreva, sono
state: «Sono un laico missionario della diocesi di Treviso».
A
sua volta, sua nipote Martina Fanti ha trascorso un periodo proprio a Fianga,
come racconta in questa intervista.
Il suo Vangelo
Luciano
mi sembra incarnare davvero con efficacia e senza forzature il titolo del
messaggio di papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale, che ricorre
questa domenica. Come i discepoli di Emmaus, ha avuto un cuore che ardeva
quando ascoltava il Signore nella preghiera, nel confronto con le sue guide e
nell’incontro con tante persone scartate dalla società, ma ben piantate nel suo
cuore e in quello di Dio.
I suoi
piedi si sono messi in cammino, per raccontare di aver visto non qualcosa
d’irreale e astratto, ma Gesù Risorto, vivo e incontrabile anche da chi, come
lui prima del cambio di rotta, sprecava le proprie giornate senza un ideale.
Così,
sul suo viso è stato possibile vedere quasi sempre il sorriso che invocava come
dono in una delle preghiere scritte sulla sua agenda rossa del 1995, quella che
ha costituito il testo de La canzone di Luciano (qui, sul vecchio sito
del Gruppone, gli accordi).
Sulla
medesima agenda, nella data del 9 maggio 1995, Luciano scrisse un’altra
accorata invocazione, unita a un rendimento di grazie:
E ciò che ti chiedo me lo stai
donando. E ti chiedo il mio posto nel Regno dei cieli, e ti chiedo di
abbracciare la povertà, come Francesco, che la chiamava Madonna Povertà. Ti
chiedo soprattutto di amare, di saper amare, d’imparare ad amare, chiunque,
dovunque e in qualsiasi momento, e di vivere il Vangelo, di viverlo con tutto
il mio cuore.
In fin
dei conti, è questo il nucleo profondo di ogni missione, anzi, di ogni
testimonianza.
Per saperne di più
Giancarlo
Paris, Luciano Bottan – Santità con il sorriso sulle labbra, Edizioni
Messaggero Padova 2020, pp. 108, € 10,00.
Il
racconto dell’esperienza di vita e di fede di Luciano, basato su precedenti
raccolte di testimonianze, su altre inedite e sui suoi scritti.
Su Internet
Pagina su di lui del Centro Missionario della diocesi di Treviso
Sito
del Gruppone Missionario di Treviso
Servo umile e fedele – Ritratto di Luciano Bottan, un vecchio sito curato dal Gruppone e dedicato a lui
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