Squarci di testimonianze #41: l’usignolo, la Carmelitana Scalza e il martire

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Manca ormai pochissimo al 15 ottobre, data nella quale sarà pubblicata l’Esortazione Apostolica di papa Francesco su santa Teresa di Gesù Bambino, in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita e del centenario della beatificazione.

Pochi personaggi, nella storia moderna della Chiesa, hanno avuto un influsso tanto rapido quanto sorprendente su generazioni di credenti. Santa Teresa è tra costoro: anzi, se riesco, mi piacerebbe elencare i Santi e candidati agli altari che possono essere considerati suoi amici nello spirito.

Oggi, però, ricorre un anniversario che si riallaccia alla devozione di molti nei suoi riguardi, ma che è collegabile anche all’esperienza spirituale di un altro candidato agli altari, un martire riconosciuto, che pur essendo molto anziano, anzi, forse proprio per questo, sentiva di poter fare proprie le parole del brano più famoso di una devota quasi insospettabile.

 

La guarigione di Édith Piaf grazie a santa Teresina

 

Il 10 ottobre 1963, infatti, morì per un aneurisma (più correttamente, per la rottura della vena porta, collegata a un pesante uso di medicine, che le aveva causato problemi al fegato) la cantante Édith Piaf, all’anagrafe Édith Giovanna Gassion. La sua vita tumultuosa non corrisponderebbe a quelle che abitualmente racconto qui, tanto più che le fu negato il funerale religioso.

Eppure mi sono ricordata di aver letto, non molto tempo fa, che lei nutrisse una profonda gratitudine nei confronti di santa Teresa di Gesù Bambino. La ragione è ben spiegata in questo articolo pubblicato il 30 settembre 2017 sull’edizione italiana di Aleteia, che costituisce la traduzione di uno dell’edizione francese.

Per riassumere, a sei anni Édith, che era stata abbandonata dalla madre e affidata dal padre, partito per la prima guerra mondiale, alla nonna paterna, tenutaria di un bordello, divenne cieca: aveva infatti sviluppato una cheratite acuta, ovvero un’infiammazione della cornea.

Ne risultò guarita dopo che fu portata sulla tomba di santa Teresa, che, se ho fatto bene i conti, all’epoca non era ancora stata nemmeno beatificata, ma era già parecchio conosciuta anche come taumaturga (in effetti, il segno che portò all’avvio della sua causa fu proprio la guarigione di una bambina cieca, Reine Fauquet, avvenuta il 26 maggio 1908). Ad accompagnarla non fu solo la nonna, ma anche le prostitute del bordello. Una fede semplice, quindi, era stata capace di ottenere un miracolo.

Altrettanto semplice fu la devozione che da allora Édith nutrì, nonostante l’altalena tra successi e fallimenti, tra gravi lutti e grandi amori. Sempre secondo l’articolo citato, portò per tutta la vita una medaglietta con l’immagine di santa Teresa - della quale, tra laltro, era lontana parente da parte di padre - e, prima di salire sul palcoscenico, tracciava su se stessa il segno della croce e le dedicava l’esibizione.

 

Il Beato Luc Dochier, trappista, medico… e ammiratore

 

Esiste però un’altra figura esemplare ricollegabile alla Piaf (nomignolo che le venne dato all’inizio della carriera e che deriva da la môme piaf, traducibile dall’argot, il dialetto parigino, come “il piccolo usignolo”, dovuto alla sua splendida voce e al suo corpo minuto).

Avevo un vago ricordo, infatti, che uno dei sette Beati martiri Trappisti del monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, beatificati nel 2019, amava particolarmente una sua canzone, con tutta sicurezza la prima che viene in mente quando si pensa a lei: Non, je ne regrette rien.

Una rapida ricerca, sia in italiano, sia in francese, e mi sono ricordata: era il Beato Luc Dochier, il medico del monastero, il più anziano dei monaci.

Nella biografia corposa a cui mi sono rifatta per stendere il suo profilo biografico per santiebeati.it, infatti, avevo scritto che lui, per il suo funerale, aveva preparato un’audiocassetta con quella canzone.

Il 24 dicembre 1993, però, alcuni membri del Gruppo Armato Islamico arrivarono alla porta del monastero; dopo qualche parola col priore, se ne andarono, minacciando che sarebbero tornati presto. Fratel Luc capì che doveva prepararsi alla morte, ma continuò il suo servizio gratuito di medico, anche per i guerriglieri islamisti.

Volle ugualmente festeggiare il suo ottantesimo compleanno, pensando che non ci sarebbe arrivato, ma lo fece con un mese d’anticipo, ovvero il 1° gennaio 1994. In quell’occasione, portò in refettorio la cassetta con la canzone e la fece suonare durante il pranzo.

Nella mia recensione del film Uomini di Dio, basato sulla storia vera dei sette martiri, avevo espresso una sorta di disappunto per non aver incluso quel brano nella colonna sonora del film: sarebbe stato appropriato, ma forse avrebbe costituito, per restare sulla metafora musicale, una nota stonata.

 

Concludendo

 

Fa sempre pensare il vedere come una canzone, dall’uso evidentemente profano, riesca a suscitare riflessioni anche spirituali. Ne avevo elencate un po’ qualche anno fa, in un’ideale playlist dei Testimoni.

La Piaf non ha sempre visto la vita in rosa, come recita un altro dei suoi successi, né si è mantenuta in una condotta virtuosa. Eppure, intimamente, sentiva di essere grata a Dio perché, grazie a santa Teresina, le aveva riaperto gli occhi.

Sempre dall’articolo di Aleteia (le ho cercate in francese, ma senza trovare altri riscontri) traggo le parole che la cantante avrebbe pronunciato, alcuni giorni prima di morire, rivolgendosi all’infermiera che l’assisteva:

Non è possibile che una volta morti non siamo altro che polvere… C’è qualcosa che ci sfugge, che non sappiamo… Io credo in Dio. Sarebbe troppo ingiusto che chi ha sofferto su questa terra trovasse la pace solo una volta ridotto in polvere. Il Paradiso verrà… dopo il Giudizio Finale.

Spero che, in questi sessant’anni dalla morte, Édith abbia trovato la pace che sperava. Se così non fosse, le mie preghiere di oggi sono in suffragio della sua anima. 

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