Monsignor Francesco Paleari, volto sorridente dell’Amore di Gesù

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Chi è?

Carlo Francesco Paleari, da tutti chiamato semplicemente Francesco, o anche Franceschino per via della corporatura esile, nacque a Pogliano Milanese, in provincia e diocesi di Milano, il 22 ottobre 1863, penultimo degli otto figli di Angelo Paleari, contadino e falegname, e di Serafina Oldani.

Ragazzo sensibile e onesto, frequentava l’oratorio della parrocchia (al tempo) della Madonna dell’Aiuto, vicino a casa sua. Per le sue buone qualità morali e intellettuali fu scelto dal suo parroco, don Luigi Fumagalli, il quale ipotizzò per lui la vocazione al sacerdozio, anche se non aveva molti mezzi materiali.

Scrisse quindi al canonico Luigi Anglesio, superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, affinché ammettesse Francesco tra gli studenti del ginnasio: la Piccola Casa, infatti, aveva anche un percorso di studi che andava dalle elementari fino alle classi di Filosofia e Teologia.

Francesco fu ammesso nella Piccola Casa il 6 gennaio 1877: entrò quindi tra i Tommasini, ossia tra i giovani studenti, posti sotto la protezione di san Tommaso d’Aquino. I primi tempi soffrì molto per la lontananza dai suoi cari, ma si adattò gradualmente alla nuova situazione, progredendo anche negli studi. Arrivò a insegnare al ginnasio quando era ormai studente del corso teologico.

Nell’estate 1885, ormai prossimo all’ordinazione sacerdotale, Francesco scelse di non rientrare nella sua diocesi di nascita, come avveniva a volte per i Tommasini che proseguivano gli studi per il sacerdozio: aderì quindi alla Congregazione dei Preti della SS. Trinità, sacerdoti diocesani che ubbidivano direttamente al superiore della Piccola Casa. Fu ordinato sacerdote il 18 settembre 1886 nella cappella dell’Arcivescovado di Torino, dal cardinal Gaetano Alimonda, arcivescovo di Torino.

Nei primi anni di sacerdozio ebbe frequenti malattie accompagnate da febbri: smise di averne dopo un pellegrinaggio a piedi al santuario di Oropa. Insegnò Latino al ginnasio della Piccola Casa, quindi Filosofia, materia che esercitò anche nel nascente Istituto dei Missionari della Consolata. Era anche molto apprezzato come confessore, direttore spirituale e predicatore. Nel 1922 fu nominato Canonico della Collegiata della SS. Trinità di Torino, ottenendo il titolo di monsignore.

Aveva già collaborato con gli arcivescovi di Torino, ma nel 1931 venne ufficialmente nominato delegato arcivescovile per la Vita Consacrata, quindi Provicario Generale, dal cardinal Maurilio Fossati. Anche in quel compito cercò di trattare tutti con gentilezza e carità.

Alla fine di gennaio 1936, mentre andava in Curia come tutte le mattine, don Francesco ebbe un capogiro: rientrato a fatica alla Piccola Casa, si mise a letto. Gli furono diagnosticati disturbi cardiocircolatori: per facilitare la sua guarigione, fu inviato in convalescenza a Casaglio, Celle Ligure, Moncalieri. Ormai, però, don Francesco aveva capito di doversi distaccare dalle sue attività e disporsi a ciò che Dio voleva da lui, fosse anche la morte.

Riuscì a tornare a Pogliano un’ultima volta, il 1° ottobre 1936, per il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale. Le sue condizioni peggiorarono tre anni dopo, a causa di una broncopolmonite. Morì la sera di domenica 7 maggio 1939.

Fu beatificato il 17 settembre 2011, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI, nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, precisamente nella chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate e a San Vincenzo de’ Paoli, comunemente denominata “Chiesa Grande”.

La stessa chiesa ospita le sue spoglie mortali: dal 7 maggio 1946 al 20 maggio 2011 erano collocate nel pronao, ma dalla beatificazione in poi sono venerate nella cappella di fronte a quella dove riposa san Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola Casa.

La sua memoria liturgica ricorre il 18 settembre, ovvero il giorno dopo quello in cui ricorre l’anniversario della beatificazione, ma anche lo stesso giorno della sua ordinazione sacerdotale.

 

Cosa c’entra con me?

Nel 2011, ma non ricordo né sono riuscita a risalire al mese esatto, aspettavo con curiosità chi sarebbe stato oggetto della rubrica Santi di casa nostra, sul dorso domenicale di Avvenire, Milano Sette. Suppongo però che fosse a settembre, a ridosso della beatificazione di don Francesco.

Fui molto incuriosita, perché non avevo mai sentito parlare di lui; non sapevo nemmeno che ci fosse qualche cottolenghino ambrosiano. A rigor di logica, come ho indicato nel paragrafo biografico, ai suoi tempi non esisteva ancora la Società dei Sacerdoti Cottolenghini, che è una Società di Vita Apostolica, ma apparteneva comunque alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, “il Cottolengo” com’è più nota; anzi, dopo il fondatore, era il primo membro sacerdote a venire beatificato. In ogni caso, non andai più in là di quegli articoletti.

Qualche anno dopo, ho sentito per la prima volta parlare di Pogliano Milanese come del “paese del boia”, mi pare nell’imminenza delle ordinazioni sacerdotali di quell’anno. Però ho ricordato subito che poteva anche essere vero che da lì fossero venuti, sin dall’epoca degli Sforza, i boia di Milano, ma andava ancora più evidenziata la figura di quel cittadino così illustre, anzi, santo.

Nel 2018, divennero membri del Gruppo Shekinah, coro di cui faccio parte da anni, due sorelle, Chiara e Claudia. Scoprendo che erano di Pogliano, nell’attaccar bottone con loro, di sicuro menzionai il loro Beato concittadino. Più o meno in quel periodo, andando a trovare il mio direttore spirituale, trovai nell’ufficio parrocchiale un portachiavi con la sua immagine: mi è fu concesso di tenerlo, non prima, però, che avessi spiegato chi fosse.

L’anno dopo, il 2019, appresi della peregrinatio, ovvero del temporaneo ritorno a casa, delle sue spoglie, in occasione degli ottant’anni dalla sua morte. Ero già passata per Pogliano per un matrimonio: l’appunto mentale che mi presi, tuttavia, non durò molto.

Solo lo scorso anno ho iniziato a interessarmi con più precisione a don Francesco. Il 2022, infatti, prevedeva a giugno l’ordinazione sacerdotale di un giovane poglianese, amico della mia compagna di coro Chiara: lei aveva preso i contatti sin dal novembre 2021 per organizzare un concerto-meditazione, che avrebbe dovuto essere, così lei sperava, il migliore del nostro percorso.

Per una combinazione provvidenziale, a maggio, partecipando al pellegrinaggio della Pastorale Giovanile per la canonizzazione di Charles de Foucauld (qui la prima parte del mio diario di viaggio, qui la seconda) ho conosciuto proprio quel giovane, ancora per poco diacono. Non ricordo di avergli menzionato il Beato Paleari, ma di certo gli avevo riferito di conoscere le due sorelle.

In nome di quel legame che era venuto a crearsi – il futuro sacerdote era anche autore del testo di un canto composto per la canonizzazione, di cui ho dato conto qui – mi sono sentita in dovere di fare di tutto per non mancare al concerto-meditazione.

Alla Prima Messa non avrei potuto esserci, invece, semplicemente perché, di quella stessa classe di ordinazione, faceva parte un giovane nativo della stessa parrocchia da cui provengo. Alla fine non sono andata nemmeno là, perché contemporaneamente si è svolta la Messa di saluto a uno dei preti della parrocchia dove vivo adesso.

Dopo quella celebrazione e il pranzo, mi sentivo un po’ stanca, ma dovevo mantenere la promessa, a dispetto di ogni ostacolo: è saltata una corsa del treno, poi ho rischiato di arrivare in ritardo alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ma grazie all’aiuto di Chiara, che mi è venuta a prendere alla stazione di Vanzago-Pogliano, sono stata puntuale. Ricordo benissimo che siamo passate, in auto, davanti alla chiesa della Madonna dell’Aiuto, al tempo parrocchiale e ora santuario, dove don Francesco fu battezzato.

Appena entrata nella chiesa del concerto, ho trovato l’immagine-ricordo della Prima Messa del novello sacerdote. Ero già felice per questo, ma lo sono stata ancora di più trovando il numero 1 del 2022 di Agli amici del Beato Francesco Paleari e un pieghevole su di lui. Tra l’altro, quel giornalino conteneva un articolo a firma proprio del giovane prete festeggiato.

Sfogliando il giornalino, mi sono accorta che quest’anno cadevano i centosessant’anni dalla nascita di don Francesco: mi sono appuntata – stavolta materialmente, in uno dei miei file di bozze del blog – quella ricorrenza. In pari tempo, ho preso due impegni: mi sarei procurata una breve biografia, che sapevo essere in commercio ma non avevo preso prima d’ora, e avrei corretto e ampliato la sua scheda biografica sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni.

Ho trovato la biografia sabato 1° luglio, a Villa Grugana: precisamente, durante una delle pause della registrazione del nuovo CD di Shekinah, curiosando in un armadietto del salone-refettorio. Avrei voluto prendere quello e altri libri, ma non riuscendo a trovare nessuno dei padri del Pime responsabili della casa, non me la sono sentita di sottrarli senza permesso.

Mi sarei accontentata di sfogliarlo nelle pause tra una registrazione e l’altra, ma sono stata dissuasa da una vocina interiore: mi conduceva a pensare che, ancora una volta, preferivo fare amicizia con Beati e Santi defunti e non con i “santi della porta accanto” vivi che camminano con me, ovvero con i miei compagni di coro. Per quella ragione, l’ho riposto; non prima, però, di averlo mostrato a Chiara, che ha annuito sorridendo.

Lunedì 10 luglio ho ordinato alcuni libri online, inserendo anche quello su don Francesco; mi sono arrivati tre giorni dopo. Il 20 luglio, invece, ho scritto all’indirizzo di posta elettronica della vicepostulazione della sua causa, che avevo trovato sul giornalino preso a Pogliano: volevo sia un controllo del testo nuovo per santiebeati, sia richiedere qualche immaginetta, ovviamente lasciando un’offerta per la causa. La revisione del testo è stata rapidissima, mentre le immaginette mi sono arrivate poco dopo il mio ritorno dalla GMG di Lisbona.

Leggendo la piccola biografia, ho appurato che, per quel poco che conoscevo il giovane prete amico di Chiara, tra lui e il Beato esistevano molti punti in comune. Come lui, che era soprannominato “Franceschino” e lo fu anche da prete, ha un fisico esile, ma soprattutto è animato da un grande ideale: vivere sobriamente da sacerdote, a servizio totale dei poveri. Nel suo caso, l’esempio maggiore a cui si rifà è san Charles de Foucauld, ma di certo non dimentica il suo conterraneo.

Don Francesco, di fatto, guardava al canonico Giuseppe Benedetto Cottolengo, canonizzato nel 1917. A un’affinità secondo lo spirito si affiancava una certa somiglianza esteriore, secondo molti episodi a riguardo: su tutti, quello avvenuto nel refettorio del Seminario di Chieri, quando lui replicò, a chi gli faceva notare quella corrispondenza tra i loro tratti somatici (un ritratto del Cottolengo era esposto in quella sala), che sembrava suo padre. Secondo un’altra interpretazione, non poteva essere altrimenti, dato che era il Padre (ancora oggi, il superiore generale della Società dei Sacerdoti Cottolenghini è chiamato così) di quanti vivevano nella Piccola Casa, quindi anche suo.

Mi ha poi colpito come don Francesco, guarito dopo il pellegrinaggio a Oropa – compiuto a piedi e in pieno agosto – non si sia limitato a ringraziare la Madonna, ma abbia colto l’occasione per essere più attento alla propria salute, anche se, forse, negli ultimi anni di vita non lo è stato granché, ma unicamente perché sentiva di dover portare tutto il bene possibile a chi avesse bisogno di lui.

In ogni caso, lui stesso raccomandava l’esercizio fisico, magari con lunghe passeggiate, anche ai giovani preti e ai seminaristi che affiancava come direttore spirituale o professore. Questo, però, non doveva ledere in alcun modo la dignità del proprio stato di vita. Contemporaneamente, invitava i suoi allievi a essere attenti al loro tempo, ma senza lasciarsi influenzare da affermazioni teologiche dubbie o dal modernismo.

Molti hanno concordato che lui fosse sacerdote sempre e che, quando camminava per strada, avesse lo stesso contegno di quando saliva l’altare. La sua caratteristica fondamentale, però, era il sorriso: non una risata sguaiata, ma un segno di serenità, che conduceva a sorridere anche chi parlava con lui.

Infine, mi ha commosso leggere di come, progressivamente, capì di doversi separare da ogni possibile servizio, a causa della malattia. Rimase però obbediente ai suoi superiori, che lo inviavano in località dall’altitudine diversa per cercare di guarirlo, e ai medici, anche quando gl’impedivano di celebrare la Messa.

Lo scorso 16 settembre, Chiara si è sposata: il luogo delle sue nozze con Enrico è stato proprio la chiesa della Madonna dell’Aiuto, che ora non è più parrocchiale. Mi sono mossa di buon’ora per riuscire a essere puntuale per le prove, ma, arrivata alla stazione ferroviaria di Vanzago-Pogliano, nonostante avessi impostato il navigatore sul telefonino, ho finito col perdermi.

Avevo appena attraversato la strada statale su cui ero finita (eppure ero sicura di aver impostato il percorso pedonale), quando un’automobile si è fermata e la conducente mi ha chiesto se avessi problemi. Le ho chiesto d’indicarmi il santuario della Madonna dell’Aiuto: subito mi ha invitata a venire con lei, visto che lavorava proprio lì accanto. Non solo: mi ha rivelato che il padre di Chiara è il suo contabile. La novella sposa mi ha confermato che si conoscono bene: la mia autista improvvisata è la sua estetista.

Tutto questo è successo poco dopo che, mentre camminavo, ho scorto un cartello che indicava il confine con il comune di Pogliano Milanese, sotto il quale c’è una scritta che lo presenta come il paese natale del Beato Francesco Paleari: non potevo fare altro che rivolgermi a lui, che spesso, a chi passava per Milano, chiedeva di mandare un saluto alla sua terra.

Forse ho letto troppe vite di Santi e affini, ma sono certa che sia intervenuta quella Provvidenza in cui, da buon figlio di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, lui credeva ciecamente. Per questa ragione ho acceso una candela nella cappella del santuario dov'è custodita una sua reliquia; è accaduto proprio mentre i novelli sposi uscivano di Chiesa.


Il suo Vangelo

La testimonianza fondamentale del Beato Francesco, quindi, mi pare che sia connotata dall’impegno a portare l’amore di Gesù a chiunque gli accadesse d’incontrare. Aveva incontrato per la prima volta quell’amore nella sua famiglia: il ricordo era così forte da averlo condotto a scappare di casa, tredicenne, appena arrivato alla Piccola Casa.

Gli si era manifestato ancora più forte nella vita della sua parrocchia, particolarmente dell’oratorio, segno della cura della Chiesa per i bambini e i ragazzi. Non dimenticò mai Pogliano, sostenendo a propria volta molte vocazioni sacerdotali: furono quindi tanti i sacerdoti che lo circondavano, il giorno in cui tornò in paese, ormai malato, per il cinquantesimo anniversario di sacerdozio. La città ricambia questo amore: ogni anno viene assegnato il Franceschino d’Oro, un premio per chi, come lui, si è distinto in opere di carità e di preghiera.

Come figlio del Cottolengo, imparò ad amare i poveri e i ricoverati, che passava a trovare ogni sera, per parlare con loro e donare la benedizione di Dio. A sua volta era benvoluto dai superiori e dai confratelli, anche se si riteneva quasi immeritevole di essere ancora tra di loro.

Ha poi amato la Chiesa dove era in servizio: restava ambrosiano nel cuore, ma era perfettamente inserito a Torino, al di là dei numerosi impegni. Il cardinal Fossati affermò che a ciascuno sembrava di essere il solo a godere del suo tempo, quando don Francesco, invece, aveva le giornate piene. Insomma, nessuno era al di fuori del suo amore: incoraggiava ad avere misericordia anche delle anime del Purgatorio.

A ben vedere, era il suo modo di ricambiare quell’amore con cui Dio ha amato tutti donando Gesù al mondo, nonché la verifica di quanto affermò nell’omelia intitolata Amore del Sacro Cuore di Gesù agli uomini, datata 19 giugno 1913:

Ricambiamo adunque l’amore di Gesù verso di noi e non potendolo amare come merita, amiamolo almeno quanto possiamo non colle parole, ma colle opere. Amiamo il nostro prossimo, anche indegno con tutte le opere a noi possibili, senza pretendere la mercede degli uomini, perché Gesù medesimo sarà un giorno la nostra gran mercede nel bel Paradiso.

Per sua intercessione, invoco la benedizione di Dio su Pogliano Milanese, sulla comunità civile e su quella ecclesiale (dal 2015 esiste proprio la Comunità Pastorale Beato Francesco Paleari), ma anche sull’amico sacerdote della mia amica, su di lei medesima e sul suo sposo.

 

Per saperne di più

Claudio Russo, Beato Francesco Paleari – Il prete santo del Cottolengo, Velar-Elledici 2011, pp. 48, € 3,50.

Il racconto in sintesi della sua vita, costellato di aneddoti e di episodi utili a comprenderla meglio.

Francesco Gemello S.S.C., Francesco Paleari – Sermoni eucaristici, Piccola Casa della Divina Provvidenza.

Volume che raccoglie le omelie sull’Eucaristia pronunciate da don Francesco. Non è disponibile nelle librerie, ma si può richiedere alla Vicepostulazione della sua causa.

Francesco Gemello S.S.C., Francesco Paleari – Sermoni mariani, Piccola Casa della Divina Provvidenza 2019.

Volume che raccoglie le omelie sulla Madonna pronunciate da don Francesco. Non è disponibile nelle librerie, ma si può richiedere alla Vicepostulazione della sua causa.

 

Su Internet

Pagina su di lui del sito del Dicastero delle Cause dei Santi, col profilo biografico, il racconto del miracolo per la beatificazione e il testo dell’Angelus in cui papa Benedetto XVI menzionò la sua beatificazione

Pagina su di lui del sito della Piccola Casa della Divina Provvidenza

Sezione con le notizie su di lui del sito della Comunità Pastorale Beato Francesco Paleari di Pogliano Milanese 

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