Domenico Savio: per sempre adolescente, per sempre Santo

 

 Mario Caffaro Rore,
La prima comunione di Domenico Savio (1952);
olio su tela,
Centro Evangelizzazione e Catechesi
(Leumann -Torino)

Chi è?

 

Domenico Savio nacque a San Giovanni, frazione di Riva presso Chieri (in provincia e diocesi di Torino), il 2 aprile 1842, secondo dei dieci figli di Carlo Savio, fabbro, e Brigida Gaiato, sarta. La famiglia visse a San Giovanni fino al novembre 1843, quando si trasferì a Morialdo, frazione di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco).

Visse un’infanzia tranquilla, accompagnato dai familiari e orientato a un’intensa vita religiosa: a cinque anni serviva già la Messa, mentre a sette, eccezionalmente, fu ammesso alla Prima Comunione. In quel giorno scrisse quattro propositi, che s’impegnò a mettere in pratica da allora in poi.

Ogni giorno percorreva quindici chilometri a piedi, per andare a scuola a Castelnuovo d’Asti, precisamente dalla seconda elementare in poi: era molto intelligente e portato per gli studi. Nel febbraio del 1853 andò ad abitare a Mondonio, dove continuò la scuola.

Il suo insegnante, don Giuseppe Cugliero, parlò di lui a un compagno di Seminario, don Giovanni Bosco, che a Valdocco, quartiere di Torino, aveva iniziato un’opera per i ragazzi, perlopiù orfani e senza tetto, dove li istruiva, li avviava a un mestiere e li seguiva nel divertimento.

Il 2 ottobre 1854, Domenico, accompagnato dal padre, incontrò don Bosco ai Becchi, frazione di Castelnuovo d’Asti, di cui era originario; si trovava lì per la festa della Madonna del Rosario. Ebbe un’ottima impressione del ragazzo, che dichiarò di volerlo seguire per diventare sacerdote.

Il 29 ottobre 1854, Domenico arrivò all’Oratorio, come si chiamava l’opera di don Bosco: viveva lì ma andava a scuola in città. L’8 dicembre 1854, mentre a Roma papa Pio IX dichiarava il dogma dell’Immacolata Concezione, donò il suo cuore alla Madonna, rinnovando i propositi della Prima Comunione. Due anni dopo, con i suoi migliori amici, fondò la Compagnia dell’Immacolata, i cui aderenti dovevano impegnarsi a seguire i ragazzi più indisciplinati e i nuovi arrivati.

Domenico continuò la sua vita di studio, preghiera e gioco confrontandosi con don Bosco, il quale al tempo era da solo a guidare l’Oratorio: da lui ricevette più volte consigli per farsi santo. Una grave malattia, di probabile natura polmonare, lo costrinse a tornare a Mondonio, il 1° marzo 1857; morì otto giorni dopo, a quindici anni non ancora compiuti.

Due anni dopo, don Giovanni Bosco (canonizzato nel 1934) scrisse la Vita del giovanetto Savio Domenico, che ebbe grande diffusione anche al di fuori delle realtà collegate alla Società Salesiana da lui fondata.

Domenico fu beatificato e canonizzato da papa Pio XII, rispettivamente il 5 marzo 1950 e il 12 giugno 1954. Lo stesso Pontefice, col Breve Carmina sacra dell’8 giugno 1956 (anno centenario della nascita della Compagnia dell’Immacolata), lo proclamò patrono dei pueri cantores.

Il Martirologio Romano lo commemora il 9 marzo, giorno della sua nascita al Cielo, ma la sua memoria liturgica, per la Famiglia Salesiana e le diocesi del Piemonte, è stata trasferita al 6 maggio. I suoi resti mortali sono venerati dal 1914 nella navata sinistra della basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.

 

Cosa c’entra con me?

 

Non avendo studiato in scuole rette dai Salesiani o dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, né avendo frequentato un oratorio salesiano, il mio primo incontro con Domenico è avvenuto tra le pagine di un libro, scritto da Flora Fornara per la collana Fiori di Cielo delle Edizioni Paoline (è ancora a catalogo, ma sotto San Paolo Edizioni); non ricordo se l’avessi preso in qualche santuario o, più probabilmente, in una delle mie prime visite nelle librerie cattoliche di Milano o di Napoli.

Fatto sta che ho letto quel libro più e più volte, finché, un giorno, non sono rimasta più che sbalordita: di fronte ai fatti raccontati, certo, ma anche dalla descrizione di Domenico come ragazzo eccessivamente perfetto, pronto al perdono, dai grandi slanci d’amore verso Gesù e Maria, col solo desiderio di farsi santo.

In quel momento, è sorta in me quella che ho chiamato “crisi di rigetto”, come quella che avviene quando un organismo rifiuta una parte trapiantata: ho chiuso il libro, promettendomi che mai più avrei letto vite di Santi come la sua. Non ricordo quanti anni avessi, forse tra i tredici e i quindici, proprio l’età in cui la sua esistenza terrena si è conclusa.

Continuavo a frequentare però l’oratorio della mia parrocchia, dove un giorno venne esposto uno striscione con una frase a lui attribuita: «Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri, perché stiamo con il Signore». Da quel che ho capito, la parte dopo la virgola è spuria.

Quando avevo ormai ventun anni, dopo essere finalmente riuscita a partecipare alla mia prima Giornata Mondiale della Gioventù, ed essere tornata sana e salva nonostante fossi quasi morta di freddo, ho superato quella crisi, grazie alle parole di papa Benedetto XVI durante la Veglia di quella GMG. Ho ripreso a leggere vite di Santi e simili e a collezionare immaginette; di pari passo, ho iniziato le mie esplorazioni agiografiche sul Web e a interessarmi alla vita della Chiesa, a cominciare da quella della mia diocesi.

Proprio grazie a un evento diocesano ho potuto far pienamente pace con Domenico. Qualcosa si era mosso già prima della GMG, quando avevo trovato un articolo del mensile Il Segno in cui si parlava del passaggio delle sue reliquie anche nel Duomo di Milano e veniva citata l’omelia pronunciata per l’occasione dal cardinal Dionigi Tettamanzi, nostro arcivescovo al tempo.

L’evento scatenante, però, si è verificato proprio nel giorno della sua memoria liturgica, il 6 giugno 2010: in quella circostanza avevo partecipato al pellegrinaggio per l’ostensione della Sindone e visitato, per la prima volta, la basilica di Maria Ausiliatrice (dove al mattino era stata celebrata la Messa, alla sera i Vespri).

Ricordo benissimo che ne avevo approfittato per procurarmi un “abitino di san Domenico Savio”, di cui avevo scoperto l’esistenza su non so più quale sito: leggendo come nacque questa usanza, mi ero subito ricordata uno degli episodi che avevo letto nella sua biografia.

Da allora in poi, non ho più dimenticato né lui, né quegli stessi racconti che me l’avevano reso antipatico. Anzi, mi sentivo quasi dispiaciuta nel vedere che, col passare degli anni, il suo esempio veniva accantonato a favore di altre vicende più vicine a noi nel tempo, ma sulle quali la Chiesa non aveva ancora posto il suo sigillo. Di conseguenza, ho accolto con favore l’uscita di un sussidio per la pastorale dei preadolescenti, creato proprio nella mia diocesi, dove Domenico veniva riproposto con termini e stili più vicini a quelli dei ragazzi di allora.

Tra quelle vicende che mi sembravano mettere in ombra la sua esperienza spirituale c’era, inutile negarlo, quella di Carlo Acutis, attualmente Beato. Eppure io stessa non ho potuto fare a meno di paragonare il primo incontro tra lui e monsignor Gianfranco Poma e quello tra Domenico e san Giovanni Bosco: l’ho fatto nel post in cui riprendevo l’articolo che ho scritto per Sacro Cuore VIVERE del gennaio 2021.

Quello stesso incontro del 2 ottobre 1854 era stato già evocato in uno scritto di colui al quale devo molto, pur non avendolo conosciuto personalmente: Alessandro Galimberti (e ti pareva che non lo citassi, penseranno i miei pochi lettori), il quale, all’inizio del biennio di Spiritualità, ovvero al primo anno di Teologia, precisamente il 31 gennaio 2002, scriveva ai suoi ex professori e compagni del liceo scientifico a indirizzo tecnologico delle Opere Salesiane di Sesto San Giovanni, riprendendo proprio il paragone tra la vita di Domenico e una “buona stoffa”. Tra l’altro, solo di recente ho capito perché don Bosco avesse usato quell’immagine: perché era stato informato che la madre del ragazzo era una sarta!

Comunque, Alessandro pensava di essere entrato in Seminario tre anni addietro con un buon materiale di partenza; si considerava felice di affrontare quel percorso per capire se davvero era chiamato a diventare prete. Anche nel suo caso, però, il sacerdozio è rimasto un desiderio, infranto dalla malattia e dalla morte in giovane età.

Negli anni successivi, ho ritrovato l’influsso di Domenico in molte altre storie di cristiani in cammino verso il riconoscimento ufficiale della loro santità; a tutti costoro ho dedicato a volte anche più di un post.

Ad esempio, leggendo alcuni testi del Venerabile Pasquale Canzii, seminarista abruzzese, ho apprezzato come, in uno scritto del 17 gennaio 1930 (sarebbe morto una settimana più tardi, anche lui giovanissimo), affermasse di essere sicuro di poter diventare santo a propria volta, perché Domenico e tanti altri erano «santi in carne e ossa» come lui.

Anche per il Beato Alberto Marvelli il binomio don Bosco-Domenico fu fondamentale: si rifece a loro negli stessi anni della canonizzazione del primo e della beatificazione del secondo, a cui fu sicuramente preparato nell’oratorio salesiano di Rimini, che frequentava.

Negli anni Ottanta del secolo scorso, la Gioventù Ardente Mariana, fondata dal Servo di Dio Carlo De Ambrogio, già religioso salesiano, aveva sicuramente lui e altri ragazzi Santi tra i personaggi proposti all’ammirazione dei giovanissimi aderenti: vale soprattutto per Fabrizio Francesco Boero, anche lui al momento Servo di Dio.

Mi ha sorpresa vedere, tra l’altro, che il suo esempio abbia affascinato anche figure femminili, a cominciare dalla Beata Laura Vicuña, alunna delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Anche lei scrisse, il giorno della Prima Comunione, propositi molto simili a quelli presi da lui, ma con una connotazione particolare: riparare il male commesso dai membri della sua famiglia. Effettivamente il mio primo incontro con lei è avvenuto scoprendo, in libreria, dei santini in cui il suo ritratto era affiancato a quello di Domenico.

Fuori (ma non troppo) dall’ambiente salesiano, la Beata Teresa Bracco, piemontese come lui, mise in cornice la sua immagine comparsa sul Bollettino Salesiano del luglio 1923, anno del decreto sulle virtù eroiche, ma soprattutto incarnò fino alle estreme conseguenze il proposito di preferire la morte al peccato. Non sono invece mai riuscita a capire perché sulla tomba di un’altra martire della purezza e della dignità della donna, la Beata Anna Kolesárová, ci fosse proprio scritto «La morte ma non peccati»; o meglio, se anche lei conoscesse la storia di Domenico. Ho comunque parlato di entrambe in quest’altro articolo, sempre per Sacro Cuore VIVERE.

Un’altra Beata, Edvige Carboni, Salesiana Cooperatrice dal 1941, considerava san Domenico, al tempo Venerabile, suo fratellino spirituale: nel suo Diario annota di averlo spesso “visto”, o da solo o con san Giovanni Bosco. Anzi, in un sogno lui le preannunciò che sarebbe presto venuto a farle visita: di lì a poco, le arrivò a casa un opuscolo che lo riguardava, inviato dall’allora Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pietro Ricaldone.

Più recentemente, ho istituito un altro parallelo tra lui e un ragazzo dei nostri giorni, per il quale si parla già come di un autentico Testimone: Fulvio Colucci, allievo delle Opere Salesiane di Caserta. Penso proprio che avesse presente quel fatto, risalente a quando Domenico era ancora scolaro a Mondonio e si prese il castigo per una colpa che non aveva commesso: fece la stessa cosa pur di proteggere un compagno, che, per la propria fragilità, non avrebbe retto all’allontanamento, seppur temporaneo, dalla classe.

Da tempo pensavo di raccontare il mio legame con Domenico, anche per compensare il fatto che la mia crisi era iniziata proprio leggendo una sua biografia. Il sessantesimo dalla canonizzazione mi è parso una buona occasione, tanto più dopo l’annuncio della canonizzazione di Carlo Acutis e, più in generale, nel risveglio dell’interesse per la santità in bambini, adolescenti e giovani.

Carlo comunque è morto a quindici anni compiuti; quindi Domenico, a cui mancavano ventiquattro giorni per il quindicesimo compleanno, rimane il più giovane Santo laico, adolescente e confessore, ossia non martire.

Con lui furono canonizzati anche san Gaspare del Bufalo, san Pietro Chanel, san Giuseppe Pignatelli e santa Maria Crocifissa  di Rosa. Ho legami solo col primo e con l’ultima, ma pensavo di avere più da raccontare su san Domenico, appunto.

Riaccostandomi a lui, ho cercato di risolvere tre piccoli enigmi che lo riguardano: perché la sua memoria liturgica ricorre proprio il giorno 6 maggio, quale natura avesse la malattia che lo condusse alla morte e quale sia il documento ufficiale con cui è stato nominato patrono dei pueri cantores, categoria a cui non mi risultava fosse appartenuto, mentre fu sicuramente un chierichetto (i patronati su chierichetti e gestanti, invece, non sono mai stati sanciti ufficialmente, per quello che so).

Alla prima domanda non ho trovato risposta: il 6 maggio non mi consta che corrisponda a nessuna data importante della sua vita, come ad esempio quella del Battesimo (fu battezzato il giorno stesso della nascita), o della sua causa di beatificazione e canonizzazione.

Quanto alla seconda, don Michele Molineris, nella biografia uscita a ventanni dalla canonizzazione, ipotizza che si trattasse non di polmonite né di tubercolosi, ma di pleurite secca.

Riguardo la ragione del patronato, ho letto nel Programma pastorale della Federazione Internazionale dei Pueri Cantores (al punto 10 del capitolo 4) che l’idea venne a monsignor Ferdinand Maillet, fondatore della Federazione medesima: secondo lui – cito sempre dal Programma pastorale – il ragazzo «volle cantare nel coro non per trovare l’applauso da parte degli ascoltatori ma per piacere a Dio stesso». 

Nel Breve Carmina sacra (testo latino e italiano qui; suggerisco di usare il comando Trova nella pagina), invece, è scritto che questa supplica, motivata dal fatto che Domenico, «sotto la guida di San Giovanni Bosco, cantava con fervido amore le lodi divine», fu appoggiata dal cardinal Maurice Feltin, arcivescovo di Parigi.

Forse sono minuzie inutili: quel che più conta è che io faccia mia l’intenzione che lui sicuramente aveva nel servizio liturgico, anche se quello che più mi compete è quello del canto, mentre quello dell’altare mi spetta molto raramente e per questioni di sacrestia.

 

Il suo Vangelo

 

Il Vangelo annunciato e vissuto da Domenico è a misura di ragazzo, ovvero dimostra come essere santi non è questione di età o di esperienze accumulate: basta vivere bene i propri impegni e le relazioni con i familiari e gli amici, sapendo di essere sempre alla presenza di un Dio che ama le sue creature.

Non ci è arrivato da solo, anche se la “stoffa”, per riprendere l’immagine sartoriale, era effettivamente già buona. La vita all’Oratorio e la guida di san Giovanni Bosco hanno contribuito a rendere ancora più evidente il meglio di lui, avviandolo per un percorso che la morte ha umanamente interrotto, ma anche e soprannaturalmente consegnato all’eternità beata.

Il suo educatore principale non gli lasciò solo la ricetta della santità, rispondendo alla richiesta che Domenico aveva rivolto in risposta al regalo che lui aveva promesso, per il proprio onomastico, a ciascuno dei ragazzi. Nella Vita da lui scritta, infatti, afferma che doveva incoraggiarlo a prendere sempre parte alla ricreazione: il richiamo del Tabernacolo, però, era più forte, secondo quanto aveva capito anche la Venerabile Margherita Occhiena, la madre di don Bosco stesso.

Prima ancora di quella folgorante predica che lo accese ancora di più del desiderio di essere santo, Domenico aveva afferrato qualcosa della vita salesiana – anche se il termine è un po’ anacronistico, dato che la Società Salesiana era presente in germe nella Compagnia dell’Immacolata – anzi, della vita cristiana in genere.

Lo confermano le parole che rivolse a Camillo Gavio, un ragazzo di Tortona, arrivato a Torino per studiare pittura e scultura, ma gravemente malato e accolto all’Oratorio (morì il 30 dicembre 1856 dopo due mesi dall’arrivo), quindi un perfetto “cliente”, secondo il gergo interno alla Compagnia dell’Immacolata. Don Bosco le riferisce nella Vita, al capitolo XVIII:

Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitar il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, procureremo di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d’oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia, serviamo il Signore in santa allegria.

A settant’anni dal giorno in cui l’autorità della Chiesa ha sancito che davvero la vita di Domenico fu improntata a questa «santa allegria», voglio sperare che la sua luce non venga mai meno, neanche se ai ragazzi possono venire proposti amici di Gesù più vicini alla nostra epoca.

 

Per saperne di più

 

Teresio Bosco, Domenico Savio, Velar-Elledici 2007, pp. 48, € 5,00.

Piccola biografia scritta da un esperto biografo salesiano, corredata da fotografie e illustrazioni.

 

Bruno Ferrero, San Domenico Savio, Il Pozzo di Giacobbe 2012, pp. 24, € 3,90.

Biografia illustrata per bambini, a firma dell’attuale direttore del Bollettino Salesiano.

 

Riccardo Davico, Gioca e colora con Domenico Savio, Elledici 2011, pp. 32, € 5,00.

Un sussidio in cui gli episodi della vita di Domenico sono accompagnati da giochi enigmistici e attività per singoli o gruppi.

 

San Giovanni Bosco, Vita di san Domenico Savio - Trascrizione in lingua corrente del testo di Don Bosco con fatti e notizie nuove, Elledici 2015, pp. 200, € 14,00.

La Vita scritta da don Bosco ripresentata in lingua corrente, con l’aggiunta di notizie emerse durante il processo di beatificazione.

 

Pastorale Giovanile Diocesi di Milano (a cura di), Destinazione Dio - Camminando insieme a un ragazzo “del Signore”: san Domenico Savio, Centro Ambrosiano 2015, pp. 80, € 8,00.

Nell’ambito dell’itinerario di fede per i preadolescenti della mia diocesi erano stati predisposti alcuni sussidi: quello su san Domenico faceva parte del cosiddetto percorso agiografico, proponendolo quindi anche ai ragazzi degli oratori milanesi (anche se ormai risale a nove anni fa).

 

Su Internet

 

Pagina su di lui nel sito della Famiglia Salesiana, con materiali e sussidi scaricabili 

 

Sito de “La Casetta” – Centro di Spiritualità San Domenico Savio a San Giovanni di Riva, che comprende anche la cascina in cui nacque

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