Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, alla frontiera dell’amore
Olga (prima da sinistra), Bernardetta (quarta) e
Lucia (ultima della fila), con altre sorelle, in una foto del 2004 (fonte) |
Chi sono?
NOTA
PREVIA: non mi sono diffusa a raccontare nel dettaglio le varie destinazioni di
ogni missionaria, per non dilungarmi eccessivamente e per dare più spazio,
invece, al racconto del mio legame con loro.
Olga
Raschietti nacque il 22 agosto 1931 a Sant’Urbano di Montecchio (in provincia e
diocesi di Vicenza), ottava di dodici figli. In giovane età, partecipando ad
alcuni incontri promossi dall’Ufficio Missionario diocesano, cominciò ad
appassionarsi alle missioni estere.
Grazie
all’assistente diocesano della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, don
Giuseppe Meneghini, conobbe l’istituto delle Missionarie di Maria – Saveriane,
da poco fondato da madre Celestina Bottego (attualmente Venerabile) e padre
Giacomo Spagnolo. Il 2 luglio 1960 emise la professione temporanea e, dopo sei
anni esatti, quella perpetua.
Nel
1968 partì per la prima volta, destinata alla regione del Sud Kivu,
nell’attuale Repubblica Democratica del Congo. Si dedicò in particolare alla
catechesi dei bambini in molte parrocchie della diocesi di Uvira. Il 15
settembre 2010 fu destinata alla parrocchia di San Guido Maria Conforti a
Bujumbura, più precisamente nel quartiere popolare di Kamenge.
Lucia
Pulici venne alla luce, penultima di otto figli, l’8 settembre 1939 a Desio (in
provincia di Monza e della Brianza e diocesi di Milano). Lavorò in fabbrica sin
da ragazza, partecipando in pari tempo alla vita dell’oratorio e della
parrocchia di San Giorgio.
La
presenza in parrocchia dei Missionari Saveriani contribuì a farla interessare
alle missioni. Il 23 ottobre 1960 lasciò la sua casa per entrare tra le
Missionarie di Maria – Saveriane. Il 2 luglio 1964 professò i voti temporanei,
seguiti da quelli definitivi lo stesso giorno del 1970.
Infermiera
diplomata, lavorò come ostetrica, favorendo la nascita di molti bambini, specie
delle famiglie più povere. Nel 1982 arrivò in Zaire, come allora si chiamava il
Congo: anche lì, precisamente a Uvira, prestò servizio in maternità. Nel 2007
entrò a far parte della comunità di Kamenge.
Primogenita
di sei figli, Bernardetta Boggian nacque il 17 marzo 1935 a Ospedaletto
Euganeo (in provincia e diocesi di Padova). Fu delegata dell’Azione Cattolica
femminile in parrocchia, seguendo i corsi di aggiornamento anche mentre
lavorava in fabbrica.
Dalla
curiosità con cui visitava i mercatini missionari parrocchiali passò a
diventare missionaria lei stessa, tra le Saveriane di Parma. Professò anche lei
i voti temporanei il 2 luglio, ma del 1965. Cinque anni dopo era in Congo, a
Uvira: il suo impegno principale, in quella e nelle altre destinazioni
missionarie, fu la promozione della donna attraverso scuole di alfabetizzazione.
Svolse anche incarichi di responsabilità all’interno del governo generale
dell’Istituto. Anche lei arrivò a Kamenge nel 2007; pochi mesi dopo il suo
arrivo, avvenuto il 28 dicembre, fu nominata direttrice della comunità.
Il 7
dicembre 2014, le Saveriane di Kamenge aspettavano l’arrivo di due sorelle che
dovevano rientrare dal Capitolo generale e di una ragazza italiana che doveva
continuare la formazione in Congo. Bernardetta, che aveva ceduto la
responsabilità della comunità a Clémentine Mbombo, insistette per accompagnare
Mercedes Murgia, responsabile delle Saveriane in Congo e Burundi,
all’aeroporto.
Al loro
ritorno, circa verso le quattro del pomeriggio, non trovarono ad attenderle
Olga e Lucia, rimaste in casa (Clémentine era fuori per impegni pastorali).
Bernardetta andò a cercarle: le trovò morte sgozzate e colpite alla testa con
una pietra. Nella notte successiva, anche lei fu aggredita e uccisa con le
stesse modalità.
Olga
aveva da poco compiuto ottantatre anni, Lucia avrebbe compiuto settantacinque anni proprio
l’8 settembre, mentre Bernardetta aveva settantanove anni. Per espressa volontà
delle tre religiose, i loro corpi sono rimasti in Burundi, sepolti, giovedì 11
settembre 2014, nel cimitero dei Missionari Saveriani a Panzi, alla periferia
di Bukavu.
Cosa c’entrano con
me?
L’8
settembre 2014, come ogni anno, ero nel Duomo di Milano, per la Messa nella solennità della Natività
della Vergine Maria, a cui il Duomo è dedicato. Quella celebrazione solenne,
che segna l’inizio dell’anno pastorale per noi ambrosiani, si concluse, però,
con un tono doloroso: il cardinal Angelo Scola, arcivescovo al tempo, riferì,
prima della benedizione finale, dell’uccisione di due missionarie, una delle
quali nativa della nostra diocesi, e del ferimento di una terza (in quel
momento non si era ancora sicuri che fosse morta anche Bernardetta).
Conoscevo
di fama le Saveriane perché, quando frequentavo l’università, avevo
familiarizzato con Annamaria, un’anziana sorella incaricata del Centro di
Documentazione Mondialità, diramazione dell’Ufficio Missionario diocesano. La
prima volta che mi accadde d’incontrarla dopo quel giorno, mi venne naturale
porle le mie condoglianze e assicurarle la preghiera di suffragio per le tre
consorelle.
L’anno
dopo, in piazza Mercanti e nelle vie limitrofe, in occasione della Veglia Missionaria diocesana, erano stati allestiti
dei banchetti in cui i vari istituti, congregazioni e gruppi missionari si
presentavano ai fedeli o ai semplici passanti. Mi sono fermata anche dalle
Saveriane, ma mi sono innervosita quando ho trovato, accanto alle immaginette
della fondatrice, quelle (che ho comunque preso) delle sorelle morte in
Burundi: mi sembrava un modo per anticipare il giudizio della Chiesa e per
sostenere il loro martirio, benché non fosse ancora chiaro se la motivazione
dell’omicidio fosse l’odio contro la fede.
Quel
giudizio duro, riaffiorato in me al sapere che, due anni dopo l’assassinio, era
in uscita un libro su di loro, veniva dal fatto che, in quel periodo, vivevo un
conflitto interiore circa il modo in cui parlare di storie che ritenevo
esemplari senza, per questo, precorrere il giudizio delle autorità della Chiesa.
Trascorsi
altri cinque anni, ho partecipato alla tappa milanese di Via Lucis, il percorso
itinerante che coniuga incontro dei poveri e riflessione sulle testimonianze di
alcuni giovani in fama di santità. All’appuntamento in Stazione Centrale si
unirono alcune Missionarie Saveriane della comunità di via Lulli (nel quartiere
Gallaratese di Milano: anche Lucia è passata per quella casa).
Scambiando
qualche parola con loro, chiesi di poter passare a prendere l’ultima biografia
di madre Celestina Bottego, fresca di stampa, e, già che c’ero, il libro sulle
sorelle di Kamenge. Alla fine ci siamo accordate perché mi consegnassero tutto
alla Veglia Missionaria; sono stata facilitata dal fatto che, per il
distanziamento post-pandemia, non c’era molta gente, quindi ho potuto trovare
subito le Saveriane.
Se per
la fondatrice mi sono data da fare quasi subito, con un post specifico, per le tre sorelle
ho aspettato fino a oggi, così da rispettare il decimo anniversario
dell’assassinio: me l’ha ricordato un articolo, uscito su Milano Sette di
domenica 1° settembre e ora anche sul Portale diocesano.
In
realtà, Olga e compagne mi sono tornate alla mente nel corso del mio lavoro di
revisione e aggiornamento del volume Nuovi Martiri, in appoggio a Luigi
Accattoli e a Ciro Fusco. La situazione attuale non permette ancora di capire
se loro sono state ammazzate perché la loro azione missionaria dava fastidio a
qualcuno (motivo per cui non metto a questo post l’etichetta “Martiri”), ma
sono state inserite nel libro in quanto cristiane morte in modo violento; la
prudenza, quindi, è salva.
Forse
ho letto troppo di corsa per riuscire a rispettare l’anniversario, ma posso
affermare con sicurezza che la lettura del libro mi ha fatto molto bene. Lo
scetticismo che mi aveva presa nel 2016 si è dissolto: era necessario che
qualcuno desse forma al percorso di missione delle tre Saveriane, attingendo
principalmente agli scritti (magari un giorno ci sarà una pubblicazione più
scientifica e organica), ma, allo stesso modo, serviva qualcosa che permettesse
di scoprire come ciascuna di esse si sia innamorata di Gesù e della missione ad
gentes.
Di Olga
mi ha interessata la lotta, durata un’intera vita, per ammorbidire il suo
carattere permaloso e per accettare, trasformandole in forza, le fragilità di
cui si sentiva animata. Mi accomuna a lei l’amore per il canto, curato sin
dalla giovinezza.
Lucia,
invece, mi ha colpita per come ha riconosciuto che la salvezza personale non è
frutto di sforzi, ma dono gratuito dell’amore di Gesù. Mi sento particolarmente
affine a lei perché considerava fratelli e sorelle maggiori grandi figure di
Santi, pur non praticando devozioni particolari: uno di questi è san Charles de
Foucauld, a cui si deve la guarigione della moglie di un signore che porta il
suo stesso cognome, pure lui di Desio (fu il caso esaminato per la
beatificazione; ignoro se fossero parenti).
Quanto
a Bernardetta, ho apprezzato come sia gli incarichi nel Consiglio generale, sia
l’impegno missionario più diretto, fossero animati dallo stesso desiderio e
dalla fedeltà alle consegne ricevute dai fondatori (hanno tutte e tre
professato nelle mani di madre Celestina, tra l’altro). Da lei sento di dover
imparare a invocare più spesso l’aiuto del Signore e a pronunciare, con
serietà, quelle parole con cui si apre la preghiera del Vespro e a volte la
recita del Rosario.
Di
tutte e tre, infine, ho ammirato la stima reciproca, ma anche la profonda
coerenza tra quello che scrivevano in note destinate a restare private, quello
che facevano arrivare in Italia tramite la stampa dell’istituto (o, a volte,
quella diocesana), e quello che di loro ricordano parenti, consorelle e
conoscenti.
Per la ventitreesima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, la
Fondazione Missio ha commissionato un documentario su di loro: eccolo di
seguito, così da capire, almeno un po’, come continui la loro eredità.
Il loro Vangelo
Olga, Lucia e Bernardetta sono ricordate ancora oggi perché hanno portato la missione alle estreme conseguenze, scegliendo di tornare in Congo, e di lì in Burundi, quando molti, al loro posto, avrebbero preferito godersi la pensione o un riposo pur giusto. Anzi, si dissero pronte a ripartire anche se erano malandate in salute, fragili, apparentemente prive di forze.
Come
madre Celestina, avevano messo al centro il «Tutto» che consiste nel vivere e
morire come Gesù, indipendentemente dalle modalità effettive con cui le loro
esistenze avrebbero potuto concludersi. In mezzo a una nazione piuttosto
giovane, segnata dalle conseguenze di una lunga guerra, hanno operato per la pace,
ricostruendo rapporti, salvando vite che rischiavano di non iniziare neppure e
anche ponendosi, semplicemente, in ascolto di un popolo che avevano imparato ad
amare.
Per non
far torto a nessuna, ho scelto, aprendo a caso (anzi, a Provvidenza) il libro,
una citazione che potesse racchiudere il senso della testimonianza di tutte e
di ciascuna. Solo per Bernardetta ho sfogliato di più le pagine, perché ho
pensato che fosse utile prendere tre estratti da tre tipi di testi o interventi
diversi.
Nel
2006 Olga, durante un intervento pubblico nella parrocchia natale di Sant’Urbano,
parlava così:
Anche se sai che la
malaria non la puoi evitare, anche se sai che lo studio della lingua è
faticoso, che è impegno di ogni giorno cercar di capire la cultura africana,
tutto questo non è un ostacolo per annunciare Cristo, Figlio di Dio, morto e
risorto per noi.
Lucia,
alla vigilia di tornare in Congo nel 2001, spiegava sul periodico Missionarie
di Maria come intendeva vivere la sua nuova missione:
Lo sforzo di essere
misericordiose, donate, c’è sempre. Lo farò a modo mio, sbagliando,
riprendendomi, ricominciando. Punto di riferimento è spendere la vita in mezzo
a questo popolo che il Signore mi ha donato.
Bernardetta,
in un appunto senza data ma sicuramente degli anni della guerra, tornò invece
su di un mistero della fede a lei molto caro, quello dell’Incarnazione:
Dobbiamo trovare
nell’incarnazione le vere ragioni della nostra presenza qui. Gesù, la Chiesa
non ha che noi, qui, per continuare l’incarnazione. Nel bene e nel male.
Oggi,
in Congo, la loro memoria continua nella casa dove hanno abitato: nel 2016 è
diventata una cappella dove ogni giorno s’invoca la pace per il mondo e, allo
stesso tempo, si chiede che sia fatta chiarezza sulle ragioni della loro morte.
Per saperne di più
Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian (a cura di Teresina Caffi), Va’, dona la vita! – Storia, parole e morte di tre missionarie saveriane in Burundi, Emi 2016, pp. 256, € 13,00.
Il
racconto della dinamica dell’omicidio (per quel che si sapeva al tempo), ma
soprattutto della missione delle tre religiose, costruito con i loro scritti e
le testimonianze delle consorelle e di altri conoscenti.
Giusy Baioni, Nel cuore dei misteri - Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità, All Around 2022, pp. 688, € 20,00.
Libro
che cerca di fare il punto su quel che si sapeva fino a due anni fa
dell’assassinio delle Saveriane, ma anche di altri italiani in Burundi.
Sul sito istituzionale delle Missionarie di Maria – Saveriane non hanno una sezione tutta per loro, ma ci sono i necrologi (Olga, Lucia, Bernardetta) nella sezione In memoriam.
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