Sto con la mia gente - Il martirio di un sacerdote: don Jerzy Popiełuszko (Cammini di santità # 2)
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È il
31 ottobre 1982. La chiesa di san Stanislao Kostka, nel quartiere di Żoliborz a
Varsavia, è affollata in ogni angolo. Alla destra dell’altare è esposto uno
stendardo che rappresenta un uomo con gli occhiali, identificato da un
triangolo rosso e dal numero 16670, è in piedi davanti al filo spinato.
All’ambone, un giovane sacerdote pronuncia la sua omelia: «Per restare liberi
nello spirito, si deve vivere nella verità. Vivere nella verità significa
testimoniarla, riconoscerla e richiederla in ogni situazione». Il prigioniero
raffigurato è san Massimiliano Maria Kolbe, martirizzato il 14 agosto 1941 nel campo
di concentramento di Auschwitz; il sacerdote, don Jerzy Popiełuszko. Ad
accomunarli, non solo l’ordinazione sacerdotale ricevuta, ma un cammino che li
condusse al martirio. Durante i suoi ultimi anni di vita, don Jerzy giunse
infatti a una tale maturazione di fede e di unione con Cristo, tanto da poter
dire: «Sono sicuro che tutto quello che faccio è giusto. Perciò sono pronto a
tutto».
Un fiore nel deserto del Comunismo
Okopy,
nell’est della Polonia, è il piccolo paese che gli ha dato i natali, il 14
settembre 1947. I genitori, Marianna e Władysław Popiełuszko, contadini, gli
hanno imposto il nome di Alfons, in onore di sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Alek, come viene presto soprannominato, trascorre l’infanzia aiutando i
familiari nel lavoro dei campi e matura un carattere attento e riflessivo. Ogni
mattina serve la Messa come chierichetto nella parrocchia dei SS. Pietro e
Paolo a Suchowola, dove frequenta anche le scuole elementari. Il 3 giugno 1956
riceve la Prima Comunione e, quattordici giorni dopo, la Cresima.
Terminate
le scuole superiori nel 1965, annuncia ai suoi di voler entrare nel seminario
di Varsavia, non in quello della più vicina Białystok, probabilmente perché
affascinato dalla figura del cardinal Stefan Wyszyński, Primate della Polonia.
Il 16 ottobre 1966 veste la talare insieme ai compagni, ma l’indossa per meno
di dieci giorni: il 25 ottobre è costretto a partire per il servizio militare
nell’unità di Bartoszyce, riservata ai soli seminaristi allo scopo di farli
desistere dalla loro vocazione. La Polonia, infatti, è governata da un regime
comunista dal termine della seconda guerra mondiale.
Alek,
nonostante i soprusi e le violazioni dei suoi diritti, non cede, anzi, prosegue
clandestinamente la sua formazione. Alla fine dell’ottobre 1968, viene congedato
e torna a casa, ma è molto malato: in seguito gli verrà diagnosticato il morbo
di Addison, l’anemia perniciosa. Durante il quinto anno degli studi teologici,
cambia anche civilmente il nome in Jerzy (Giorgio in italiano) perché “alfons”,
nel dialetto di Varsavia, ha un significato negativo.
Finalmente,
il 28 maggio 1972, Jerzy Popiełuszko diventa sacerdote. Dopo i primi incarichi
come vicario parrocchiale, si stabilisce nella chiesa universitaria di
Sant’Anna e continua il suo servizio come pastore del personale sanitario.
Anche a causa del suo stato di salute, viene infine inviato, nel 1980, alla
parrocchia di san Stanislao Kostka, come residente senza incarichi pastorali.
Solidarność
Il 14
agosto dello stesso anno, in risposta all’aumento del prezzo dei viveri deciso
dalle autorità, gli operai dei cantieri navali di Danzica entrano in sciopero.
La protesta arriva anche a Varsavia, dove i lavoratori dello stabilimento di
Huta Warszawa decidono per l’occupazione, ma il 31 agosto, desiderando
partecipare alla Messa, mandano a cercare un sacerdote. Don Jerzy accetta
l’invito: in seguito diventa il cappellano degli operai e del loro sindacato,
Solidarność.
Il 13
dicembre 1981 il generale Jaruzelski impone la legge marziale. La risposta di
don Jerzy non tarda a venire: dal 1982 al ‘84, l’ultima domenica di ogni mese,
celebra in parrocchia le cosiddette “Messe per la Patria”, con la
partecipazione di operai, gente semplice, ma anche attori, poeti e artisti. Il
suo scopo principale è, per riprendere le parole di san Paolo, vincere il male
col bene.
Sacerdote al servizio della verità
Le sue
omelie, in fondo, sono semplici meditazioni sul mistero di Cristo e sulla
verità che è Cristo. Eppure, questo ha impaurito il potere fino al punto di
arrivare a concepire il massacro di questo giovane sacerdote.
Durante
l’ultima Messa, nell’omelia pronuncia un forte richiamo alla dignità e il
richiamo al fatto che non è possibile vivere nella dignità se non si afferma il
bene anche contro il male che è “imperante”: «Bisogna vivere con dignità la
vita». E questa lotta nell’affermazione del bene che vince il male dev’essere
fatta nell’amore. Questa era la sua persona: lui non era un rivoluzionario, uno
che andava “contro” qualcuno, era uno che affermava la verità.
Le
autorità, intanto, lo spiano, lo pedinano e lo minacciano di morte finché, il
19 ottobre 1984, non viene rapito da alcuni agenti del Ministero dell’Interno.
Il suo corpo, legato e torturato, viene trovato una decina di giorni dopo,
nelle acque del fiume Vistola.
La missione del prete: stare sempre insieme alla propria
gente
Giustamente
don Jerzy è famoso per il suo impegno a fianco degli operai e per le sue omelie
mai violente nei toni, ma sempre improntate alla pacificazione e alla
solidarietà. La sua coerenza interiore è però frutto di un cammino lungo,
cominciato nell’infanzia, che ha avuto culmine durante gli anni del servizio
militare dove era preso di mira dai superiori, ricevendo più punizioni di
tutti. Appena possibile, però, cercava di pregare insieme ai compagni,
guidandoli nella recita del Rosario ad alta voce. Un giorno, uno dei militari
voleva obbligarlo a togliersi dal dito l’anello-decina che portava, ma lui
replicò: «Se lei ha la fede al dito e questo non le dà fastidio, a me non dà
fastidio il Rosario».
Fedele
all’impegno preso il giorno dell’ordinazione, fu davvero vicino ai giovani,
alle infermiere e agli operai, convinto che la missione di un prete sia davvero
stare sempre insieme alle persone che Dio gli affida. Ogni tanto si concedeva
qualche tempo di ritiro, specie quando le persecuzioni si fecero più intense.
In generale, i suoi amici ricordano anche i momenti più lieti trascorsi con lui
o la sua curiosità per quanto veniva dall’Occidente europeo e dagli Stati
Uniti.
La
Chiesa ha ufficialmente riconosciuto don Jerzy Popiełuszko come martire,
beatificandolo il 6 giugno 2010. Allora come ora, la sua voce si eleva come
quella di un vero intercessore per chi è minacciato nella fede e nei diritti
davvero fondamentali: «Preghiamo – disse mentre guidava il Rosario nel corso
della sua ultima uscita pubblica, poco prima di essere rapito e ucciso – perché
siamo liberi dalla paura, dall’intimorimento, ma prima di tutto dalla brama di
ritorsione e di violenza».
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore» 3 (aprile 2016), pp. 16-17 (sfogliabile qui)
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Oltre al libro da cui ho preso la fotografia
d’apertura e ad altri volumi, ho tenuto buona come fonte il documentario che vi
presento adesso, tratto dalla serie I
militi ignoti della fede di TV 2000. Un po’ lungo, ma utilissimo per capire
il contesto e l’eredità di don Jerzy.
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