Squarci di testimonianze #14: i ragazzi di Gabriele Cossovich e le emoji della misericordia
I miei ultimi post hanno un tenore
apparentemente triste, dato che ho parlato di come continua la memoria
dell’ultimo sacerdote ordinato con dispensa per malattia e dell’ennesimo seminarista deceduto prima che potesse accadere anche a lui.
Ho pensato quindi di compiere uno
stacco, cogliendo l’occasione del Giubileo dei Ragazzi in corso a Roma. Di
fronte all’argomento, però, sono stata colta da un dubbio: come potevo
affrontarlo, senza tirare in ballo, per una volta, dei Santi, Beati,
Venerabili, Servi di Dio o che potessero comunque rientrare nella categoria dei
Testimoni di ieri? Mentre mi lambiccavo il cervello, mi è tornato alla mente un
articolo che avevo letto sul mio telefonino nel corso di un viaggio in tram.
Spesso, infatti, mi accade di
ingannare la lunghezza dei viaggi che da casa mia mi portano in centro leggendo
qualche articolo in Rete: argomenti leggeri, ma anche questioni più serie.
Nella seconda categoria rientrano solitamente i post del blog collettivo Vino Nuovo,
ma stavolta ho avuto una piacevole sorpresa.
Uno dei collaboratori è il giovane
Gabriele Cossovich, nato nel 1985, socio di Azione Cattolica e responsabile
laico di un oratorio di Milano. Anche lui cura un blog, La terra come il mare. Proprio la sua attività di educatore gli è servita per ideare un modo insolito per
far riflettere i suoi ragazzi delle medie.
Come ha raccontato nel suo ultimo articolo, ha proposto, insieme agli altri educatori, di chiedere ai membri del
loro gruppo preadolescenti che cosa fosse per loro la misericordia. Non
semplicemente a parole, ma con un modo di esprimersi che è molto familiare non
solo a loro: i piccoli disegni usati nei servizi di messaggistica istantanea
come WhatsApp. Nel suo pezzo li definisce emoticon,
ma in realtà dovrebbe parlare di emoji:
come spiega efficacemente questo articolo, i primi sono composti da
segni grafici per indicare un certo tono di espressione o di emozione (come il
punto e virgola, un trattino e una parentesi aperta per significare “faccio
l’occhiolino”). I secondi, invece, sono proprio delle raffigurazioni, anche se
comprendono pure le cosiddette faccine formate dai segni di punteggiatura.
Da un primo sondaggio, basato su
preconcetti, è emerso dai disegni più scelti che, per quei ragazzi, la
misericordia era: qualcosa di collegabile alla preghiera; tipico dei santi, anche se io direi
piuttosto di una certa visione della santità; di conseguenza era riferibile, nelle loro
menti, anche alle persone buone come angeli. Era pure descritta come un concetto che
rimanda al pentimento
e che può rialzare da una situazione per così
dire infelice. Quest’ultima è stata scelta da una sola
ragazza, ma si avvicina, secondo l’educatore, molto di più delle altre.
Dopo aver letto con loro un passo del
messaggio del Papa per la prossima Giornata mondiale della Gioventù, gli
educatori hanno ripetuto l’esperimento, domandando ai preadolescenti quali disegni
collegassero alle parole del Pontefice. Dalla faccina triste di prima sono
passati a quella che esprime gioia, al simbolo della festa, alla pecora smarrita
, al cuore (di Dio).
è poi stata interpretata come due braccia
aperte che accolgono, mentre
è stata usata, come le altre collegate alla
famiglia, per indicare che la misericordia è attinente alle relazioni
quotidiane.
La riflessione si è poi spostata sulle
opere di misericordia vere e proprie, sintetizzate nello specchietto in
apertura di post. L’articolo originale ha ricevuto 56 reazioni e 89
condivisioni sulla pagina Facebook di Vino
nuovo e ha fruttato molti commenti positivi sul sito di origine.
Personalmente, l’ho apprezzato perché
mi sembra che i ragazzi siano stati aiutati a concretizzare una parola di cui
ultimamente ci si riempie la bocca, senza mai approfondire cosa effettivamente
implichi. Quanto alle emoji che avrei
scelto io, penso che avrei mediato tra quelle tristi e quelle allegre, perché chiedere
perdono, quindi beneficiare della misericordia effusa largamente da Dio,
presuppone il pentimento.
Sarei curiosa di sapere cosa
penseranno gli educatori di quell’oratorio, quando verranno a sapere che papa
Francesco, nel videomessaggio ai ragazzi che hanno partecipato al concerto di
ieri sera allo Stadio Olimpico, ha adoperato un’altra metafora telefonica:
Ragazzi, quante volte mi capita di
dover telefonare a degli amici, però succede che non riesco a mettermi in
contatto perché non c’è campo. Sono certo che capita anche a voi, che il
cellulare in alcuni posti non prenda… Bene, ricordate che se nella vostra vita
non c’è Gesù è come se non ci fosse campo! Non si riesce a parlare e ci si
rinchiude in se stessi. Mettiamoci sempre dove si prende! La famiglia, la
parrocchia, la scuola, perché in questo mondo avremo sempre qualcosa da dire di
buono e di vero.
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