Don Clemente Marchisio, con la forza dell’Eucaristia
Arazzo esposto in piazza San Pietro il giorno della beatificazione (immagine ricavata da una cartolina) |
Chi
è?
Clemente
Marchisio nacque a Racconigi, in provincia di Cuneo e diocesi di Torino, il 1°
marzo 1833. Era il primo dei cinque figli di Giovanni Marchisio, calzolaio, e
Lucia Becchio. Dopo aver compreso di dover diventare sacerdote, all’inizio
studiò privatamente, poi passò al Seminario di Bra nell’autunno 1851. Venne
ordinato il 20 settembre 1856 nella cattedrale di Susa, dal vescovo del luogo
monsignor Antonio Oddone: monsignor Fransoni, arcivescovo di Torino, era in
esilio a Lione.
Completò
la sua formazione studiando per due anni nel Convitto Ecclesiastico di Torino,
diretto da don Giuseppe Cafasso (Santo dal 1947). Nel 1858 venne nominato
viceparroco di Cambiano, ma fu trasferito a Vigone dopo poco tempo. Divenne
infine, a 27 anni, parroco di Rivalba Torinese, dove fece il suo ingresso il 18
novembre 1860.
Resistendo
alle intemperanze degli anticlericali, ristrutturò la chiesa parrocchiale, istituì
un asilo infantile e, per evitare che le ragazze del paese emigrassero a Torino
e rischiassero di perdersi, un laboratorio tessile, inizialmente gestito dalle
Suore Albertine di Lanzo.
Quando
vide che alcune delle ragazze del laboratorio intendevano consacrarsi a Dio,
pensò di fondare un istituto religioso di suore operaie. Per una serie di
circostanze, invece, comprese di dovergli dare un indirizzo diverso: le Figlie
di San Giuseppe, questo il nome scelto già dai primi tempi, dovevano dedicarsi
a preparare tutto quello che concerne il culto eucaristico (particole, vino,
paramenti e arredi sacri).
Dopo
47 anni come parroco, morì per una congestione cerebrale – ma era già malato da
parecchio – verso le 5 del mattino del 16 dicembre 1903. La sera prima era
andato a visitare suor Rosalia Sismonda, prima superiora delle suore, anche lei
in fin di vita: morì due ore prima di lui.
Il
processo informativo sulle sue virtù eroiche si è svolto nella diocesi di
Torino dal 1933 al 1935 ed è proseguito nella fase romana. Don Clemente è stato
beatificato dal Papa san Giovanni Paolo II il 30 settembre 1984, in piazza San
Pietro a Roma. I suoi resti mortali riposano nella parrocchia di Rivalba
Torinese. La sua memoria liturgica è stata fissata al 20 settembre, giorno della
sua ordinazione sacerdotale.
Oggi
le Figlie di San Giuseppe di Rivalba (la precisazione geografica dovrebbe essere dovuta alla
distinzione da altre congregazioni omonime) sono presenti, oltre che in Italia,
in Messico, Brasile, Argentina e Niger.
Cosa c’entra con me?
Ecco
uno dei casi in cui non mi sarei mai interessata di un Beato o di un Santo se
non si fossero verificate delle circostanze davvero particolari.
Credo
fosse l’inverno del 2005 quando, passando per una chiesa vicina all’università
che frequentavo, ho notato che sul bollettino parrocchiale erano menzionate le
Suore di San Giuseppe. Ipotizzando che fossero quelle di santa Emilia de Vialar,
mi sono annotata l’indirizzo e, visto che era vicino, mi ci sono diretta.
Mi
sono trovata davanti un negozio vicino a un’impresa di pompe funebri, con il
nome delle suore scritto a lettere adesive sul vetro della porta. Ho suonato il
campanello e mi sono vista aprire da un’anziana religiosa. Davanti a me, il
bancone di un negozio e un armadio a vetri, dove facevano bella mostra di sé
casule, calici e tanti altri arredi sacri. Balbettando, mi sono presentata e ho
chiesto se per caso avessero qualche santino e qualche libro su chi le aveva
fondate.
La
suora mi ha fatto accomodare in un salottino al piano superiore e, di lì a
poco, è arrivata la superiora, col materiale che avevo richiesto. Il mio
stupore era visibile sul mio volto quando ho notato che sui santini non c’era
una donna, ma un uomo, un sacerdote, lo stesso raffigurato nel ritratto presente
nella piccolissima cappella accanto al salottino. Dopo aver parlato un po’ con
la superiora, mi sono allontanata per tornare in università. Avevo ricevuto un’ottima
accoglienza, ma ero convinta che non sarei più tornata.
Invece,
già qualche mese dopo ero di nuovo lì, per ringraziarle dei libri e delle
immagini; penso sia stato tra maggio e giugno 2006. La suora del
negozietto e la superiora mi hanno invitata a estrarre a sorte il volto di uno
dei futuri sacerdoti della mia diocesi. Ho già raccontato qui come quel gesto, compiuto quasi per gioco, mi abbia aperto la mente e il cuore
alla necessità di pregare per i sacerdoti, specie per quelli giovani, e di
aiutarli materialmente affinché non si smarrissero nelle attività non attinenti
al ministero e, soprattutto, non dimenticassero l’infinito valore di una sola
Messa.
Le
mie visite si sono moltiplicate, o per commissioni parrocchiali, o
semplicemente per chiacchierare un po’ con le suore, o ancora per chiedere conforto
per le mie angosce personali. In molte occasioni ho prestato loro qualche
libro, o ne ho ricevuti altri in regalo. Ho incontrato preti, religiosi e
religiose, laici come me, e scoperto altre vicende interessanti.
Molto
spesso sono salita al piano di sopra, dove le suore hanno un piccolo
laboratorio di sartoria ecclesiastica, e mi sono ritrovata ad ammirare i
preziosissimi ricami che uscivano dalle loro mani. Cercando di non disturbare, ho
raccontato loro alcuni episodi della mia vita e del mio impegno in parrocchia:
una volta una è arrivata a suggerirmi di provare a fare la monologhista comica,
dato che quello che riferivo faceva ridere lei e consorelle. Una volta, poi, le
ho aiutate a piegare le casule dei concelebranti al funerale di uno dei preti
della parrocchia presso la quale risiedono.
In
un’unica occasione ho visitato il loro stabilimento di produzione del pane che
poi verrà consacrato ed è stato come se l’avessi già visto: era successo in una
delle primissime puntate che avessi mai seguito del programma televisivo La Chiesa nella città. Credo che sarebbe
molto istruttivo che i bambini della Prima Comunione potessero andare a
vederlo, ma le suore mi hanno riferito che l’ambiente deve rimanere asettico, quindi
la vedo molto difficile.
Tra
l’altro io stessa credevo, prima di frequentare il negozio-laboratorio, che le
particole e il vino venissero prodotti esclusivamente da monache di clausura o
simili: le Figlie di San Giuseppe, invece, sono di vita attiva.
A
mio turno ho cercato di far conoscere il loro padre fondatore, non solo ai sacerdoti.
Riprendendo i libri che mi erano stati regalati, o che col tempo ho preso, ho
riconosciuto di avere in comune con lui lo sforzo di moderare il mio carattere
impulsivo e collerico, incanalandolo in ciò per cui vale davvero la pena di
scaldarsi: lo zelo per il Signore e per la sua Chiesa, per i suoi ministri e
per chi si prepara a quel compito.
In
un certo senso, penso che la frequentazione delle suore abbia sortito su di me
lo stesso effetto che il giovane don Clemente ebbe dopo aver approfondito la
formazione al Convitto di don Cafasso: ho compreso pienamente cosa significhi
la dignità del sacerdote. Le stesse religiose me lo ricordano spesso, specie
quando mi vedono brillare lo sguardo nel riferire il mio orgoglio per avere
tanti amici prossimi all’ordinazione.
Ha testimoniato la misericordia perché…
Volevo
parlare da parecchio del Beato Clemente Marchisio, ma non riuscivo mai a
trovare l’occasione giusta: la domenica del Corpus Domini mi è parsa, quindi,
quella più adatta. Dato che per tutto il Giubileo mi sono impegnata ad abbinare
ai personaggi di cui parlo una delle sette opere di misericordia, spirituali o
corporali, questa volta mi sono trovata in lieve difficoltà.
Ho
chiesto quindi alla suora che da qualche tempo è in negozio (quella che avevo
conosciuto la prima volta credo sia in casa di riposo) e lei mi ha citato un
episodio che in realtà avrei dovuto conoscere, dato che è riportato da tutte le
biografie.
A
Rivalba don Clemente fu oggetto di atti che non esito a definire intimidatori
sin dai primi tempi del suo ministero come parroco: a compierli erano persone
qualificate come anticlericali, in un’epoca dove effettivamente i ministri
sacri e quanti erano legati alla Chiesa rischiavano davvero la vita nell’Italia
in via di unificazione. Il più eclatante avvenne un giorno, mentre stava
tenendo una predica: qualcuno spalancò le porte della parrocchiale e,
indicandogli un asino, glielo presentò come “suo fratello”. Immagino che avrà
sofferto non poco, ma è andato avanti sia allora, sia in altre occasioni.
Appare
quindi evidente come abbia testimoniato la misericordia divina soprattutto
sopportando pazientemente le persone moleste, anche se i biografi riferiscono
che spesso si privava del proprio cibo per portarlo a chi non ne aveva, o che
non dimenticava gli ammalati, o che dal pulpito ha più volte ammonito chi
peccava (è per questo che, ad esempio, dovette lasciare la sua prima
parrocchia).
Il suo Vangelo
Potrà
sembrare scontato, ma il Beato di oggi ha trovato la forza di reagire ai
soprusi e di temperare il suo carattere ardente solo contemplando, vivendo e
celebrando l’Eucaristia. Davvero poteva dire che la Messa era la sua vita:
gradualmente ha trasformato la propria esistenza in un dono, per i suoi
parrocchiani anzitutto, poi per le giovani che aveva iniziato a formare, anche
se, come dichiarò lui stesso, si vide cambiare le carte in mano. Avvenne quando
si rese conto che la materia per il Sacrificio eucaristico (ossia quello che
serve perché la Messa sia valida, ovvero il pane e il vino), in più di un’occasione,
era di qualità scarsa o non rispettava le prescrizioni necessarie. Operò anche
con la penna, facendo distribuire in occasione del Congresso Eucaristico di Torino
del 1894 un suo opuscolo.
Lui
stesso, quindi, mise in pratica quello che aveva imparato dal Signore stesso, «nella
notte in cui fu tradito»:
Se c’è una prova di grande amore, io la trovo in questo:
che uno benefichi un altro, mentre è offeso, tradito, odiato dal suo
beneficato. Beneficare chi ci vuole bene, oppure solamente chi non ci vuole
male, rientra nella capacità del cuore dell’uomo. Beneficare invece mettere se
stesso nelle mani di chi ci tradisce, ci odia, è segno d’amore che non si più
comprendere.
Anche
se è molto meno famoso di tanti altri sacerdoti piemontesi suoi contemporanei,
mi viene da pensare che la sua opera abbia per certi versi aiutato la Chiesa
come e quanto quelle di chi ha fondato istituti dediti alla carità; in fondo, le
une non escludono l’altra.
Per saperne di più
P. Rama S.C.J., Beato Clemente Marchisio – Apostolo
dell’Eucaristia, Velar-Elledici 2007, pp. 48, € 3,50.
L’unica
biografia attualmente reperibile nelle librerie, oltre che dalle suore, che pur
nell’esiguità delle pagine presenta efficacemente la sua storia.
P. Stef[ano]. Igino
Silvestrelli, Un prete di Dio –
meditazione sul beato Clemente Marchisio, Eurotipo-Arbizzano-VR 1984, pp.
232, non commerciabile (ma si può richiedere alle suore o scaricare da qui).
Una
meditazione, basata sui suoi tratti biografici e su riferimenti biblici,
scritta da un altro sacerdote, a sua volta fondatore, precisamente dell’Opera
Famiglia di Nazareth.
Domenico Franchetti, Il Beato don Clemente Marchisio, Novastampa
2002, pp. 278 (si può richiedere alle suore).
Ristampa
più recente della biografia più completa, uscita in prima edizione nel 1985,
dopo la beatificazione.
Beato Clemente
Marchisio, L’Eucaristia – sacramento
dell’amore di Dio
Questa
raccolta delle omelie del Beato sull’Eucaristia è disponibile, solo su
richiesta dalle suore, in due edizioni: quella del 1978, che riporta solo il
testo e una sintesi dei temi dell’opuscolo del 1894, e quella uscita per il
centenario della morte, nel 2003, dove ogni capitolo è accompagnato da
citazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica.
La bellezza silenziosa, Fogo
Multimedia 2015, 79’ (si può richiedere alle suore).
Il
DVD contiene un documentario su vita e attività delle Figlie di San Giuseppe e
il film Primavera a Rivalba, che, pur
con una cornice narrativa un po’ datata, descrive molto bene la spiritualità del Beato.
Su Internet
Sito ufficiale delle Figlie di San Giuseppe di Rivalba
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