Padre Giovanni Mazzucconi: anima di poeta, cuore di missionario
Immagine
ricavata dal ritratto ufficiale
di padre Giovanni (fonte)
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NOTA PREVIA: i primi membri dell’Istituto o
Seminario Lombardo per le Missioni Estere, che nel 1926, fondendosi con un
analogo Istituto fondato a Roma, diede vita al Pontificio Istituto Missioni
Estere, erano sacerdoti ordinati per la diocesi di Milano che si preparavano
alla partenza missionaria.
Di conseguenza, per loro dovrei usare
l’appellativo “don”, ma sia Mazzucconi sia i suoi compagni, nell’uso del PIME,
sono comunemente chiamati col titolo di “padre”. Mi adeguo quindi a questa
terminologia.
Chi è?
Giovanni Mazzucconi (al Battesimo, Giovanni
Battista Albino) nacque a Rancio, oggi rione della città di Lecco, il 1° marzo
1826, nono dei dodici figli di Giacomo Mazzucconi e Anna Maria Scuri. Frequentò
le elementari al suo paese, proseguendo gli studi al Collegio Cavalleri di
Parabiago. Sentendosi chiamato al sacerdozio, entrò nel Seminario della diocesi
di Milano, frequentando le sedi di Seveso, Monza e Milano (il “seminario della
Canonica” e la sede di corso Venezia).
Nelle vacanze tra la prima e la seconda
liceo, nel 1845, andò in visita, insieme ai suoi compagni, alla Certosa di
Pavia. Il priore, padre Taddeo Supriès, era stato membro dell’Istituto delle
Missioni Estere di Parigi ed era stato inviato in India, ma era rientrato per
ragioni di salute. L’incontro con lui e quello, successivo, con altri cinque
sacerdoti lombardi in partenza, fece riflettere Giovanni sulla necessità di dover
a sua volta dedicarsi all’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della
terra.
Durante gli Esercizi spirituali in
preparazione al suddiaconato, conobbe padre Angelo Ramazzotti, degli Oblati
Missionari di Rho, e venne a sapere che lui desiderava dare vita a un istituto
che preparasse alla missione i sacerdoti diocesani che lo desiderassero.
Fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1850.
Cinque giorni prima, il 20 maggio, aveva scritto una lettera in cui domandava a
padre Ramazzotti di poter essere ammesso in quella nuova realtà, che il 30
luglio dello stesso anno cominciò ufficialmente: era il Seminario Lombardo per
le Missioni Estere.
Nel 1851 la Congregazione per la Propagazione
della Fede affidò al nuovo Istituto la missione in Melanesia e Micronesia.
Padre Giovanni e i suoi sei compagni sbarcarono a Woodlark, oggi in Papua Nuova
Guinea, l’8 ottobre 1852. Affrontarono numerosi sacrifici e si ammalarono, ma
lasciarono la missione solo quando capirono che gli indigeni erano loro ostili:
non volevano abbandonare le usanze che, invece, erano loro rimproverate.
Padre Giovanni si trovava già a Sydney perché malato. Appena si fu ripreso, volle
tornare a Woodlark, portando con sé i viveri per i confratelli: non sapeva, però, che avevano già deciso di tornare in patria.
L’imbarcazione su cui viaggiava, però, s’incastrò nella barriera corallina, poco prima di sbarcare sull’isolotto di Reu, all’imbocco della baia di Guazup. Un gruppo di indigeni assalì lui e gli altri membri dell’equipaggio: il missionario morì a causa di una grave ferita sul cranio. Secondo la testimonianza di Puarer, un indigeno che si era affezionato ai missionari, i corpi delle vittime del massacro furono gettati in mare. Erano i primi giorni di settembre 1855; padre Giovanni aveva ventinove anni.
L’imbarcazione su cui viaggiava, però, s’incastrò nella barriera corallina, poco prima di sbarcare sull’isolotto di Reu, all’imbocco della baia di Guazup. Un gruppo di indigeni assalì lui e gli altri membri dell’equipaggio: il missionario morì a causa di una grave ferita sul cranio. Secondo la testimonianza di Puarer, un indigeno che si era affezionato ai missionari, i corpi delle vittime del massacro furono gettati in mare. Erano i primi giorni di settembre 1855; padre Giovanni aveva ventinove anni.
Il processo informativo per la sua causa di
beatificazione è stato aperto oltre un secolo dopo la sua morte, benché per lui
fosse diffusa la fama di martirio da sempre, presso la diocesi di Milano. Il 13
gennaio 1983 il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del
decreto con cui veniva ufficializzato che il motivo della sua uccisione era
stato l’odio contro la fede cattolica. Lo stesso Pontefice lo ha beatificato in
piazza San Pietro a Roma il 19 febbraio 1984.
Il Martirologio Romano lo menziona il 7
settembre, ma la sua memoria liturgica, nel calendario della diocesi di Milano
e del Pontificio Istituto Missioni Estere, cade il 10 settembre.
Cosa c’entra con me?
Nella proposta per l’Oratorio Estivo del 2004,
Amici per la pelle, a ciascuna delle
settimane corrispondevano altrettanti missionari, collegati al continente dove
avevano operato; era esclusa l’Europa perché era il nostro continente. Ogni
personaggio era presentato nel sussidio tramite un’intervista impossibile, da
situare nel momento della giornata dedicato alla preghiera comune.
Non ricordo affatto chi ci fosse per
l’Africa, mentre so che per l’Asia c’era madre Teresa di Calcutta. Tutto
sommato era un personaggio adatto, perché da ragazza aveva sognato di partire
missionaria per l’India e aveva trovato la congregazione giusta (che poi abbia
fondato lei una nuova realtà è un’altra storia). Per l’America e l’Oceania,
invece, c’erano due nomi che, prima di allora, mi erano del tutto sconosciuti,
come l’Istituto missionario di cui facevano parte: rispettivamente, erano padre
Augusto Gianola e padre Giovanni Mazzucconi. A dire il vero, come scrivevo nel
post su padre Piero Gheddo, non sapevo a cosa corrispondesse “del PIME”
che avevo visto accanto al suo nome. Scoprendo quelle due figure, mi era molto
più chiaro.
Nel mio oratorio, però, quella parte del
sussidio non venne adoperata granché. Un po’ mi dispiaceva, perché stavo
ricominciando a interessarmi alle figure dei Testimoni della fede, dopo una crisi
di rigetto (che però non aveva toccato la pratica religiosa) cominciata
nell’adolescenza. Leggere che padre Giovanni era stato massacrato dagli
indigeni mentre tornava sull’isola di Woodlark mi fece molta impressione.
Provai tristezza per lui e per la sua missione interrotta, ma nulla di più.
Il suo nome riapparve tra le mie mani nelle
pagine della biografia uscita per la beatificazione di monsignor Luigi Biraghi,
fondatore delle Suore Marcelline: era infatti uno dei suoi allievi nel Seminario di Seveso.
Mi sorprese vedere che Biraghi incoraggiava i suoi studenti a pensare che la missione,
almeno per alcuni, poteva essere davvero un impegno per la vita.
Circa nello stesso periodo, arrivò nella mia
parrocchia un seminarista tirocinante del PIME. Feci amicizia subito con lui,
anche perché gli raccontai di conoscere, almeno di nome, Mazzucconi. Il
tirocinio fu di breve durata, ma mi lasciò il desiderio di andare oltre quello
che già sapevo sui missionari di quell’Istituto e sulla sua storia quasi
bicentenaria.
Non ricordo con esattezza la prima volta che
ho messo piede al Centro Missionario del PIME. Mi sembra strano che, pur
vivendo a Milano, sia accaduto solo nel 2008, per un concerto-meditazione del
Gruppo Shekinah. Non fu in quell’occasione, però, che acquistai un libretto con
estratti delle lettere di padre Giovanni, ma in un’altra visita. Trovai molto
interessanti specialmente le sue frasi sull’amicizia, che mi tornarono in mente
qualche tempo dopo.
Grazie a una rubrica sui candidati agli
altari della mia diocesi, presente sul settimanale Milano Sette, mi venne il desiderio di conoscere meglio padre Carlo
Salerio, fondatore delle Suore della Riparazione. Già in quei brevi articoli si
faceva menzione dell’amicizia davvero fraterna che lo legava a padre Giovanni,
ma nella biografia più corposa che mi diedero le suore il legame era
approfondito.
Quando, spero prestissimo, potrò raccontare
anche del Salerio, che è da poco Venerabile, riferirò anche le impressioni che
mi lasciò la lettura di quel libro. Per ora, mi limito a esprimere la mia
ammirazione per lo zelo con cui i primi sacerdoti del Seminario Lombardo per le
Missioni Estere avessero abbracciato la via proposta da padre Ramazzotti, poi
Vescovo di Pavia e Patriarca di Venezia (anche lui Venerabile).
Dato che la biografia uscita per la
beatificazione di Mazzucconi era ormai fuori catalogo, ero certa che non
l’avrei mai letta. Contrariamente a quanto mi aspettassi, riuscii a procurarne
una copia quando la biblioteca della mia parrocchia fu smantellata. Sul
frontespizio, nell’angolo in basso a destra, una dedica autografa: era di padre
Giuseppe Negri, anche lui del PIME, ora vescovo di Santo Amaro in Brasile (i
miei comparrocchiani suoi amici lo chiamano “Peppime”, come spiegavo qui).
Lo scorso 10 settembre, il mio parroco lo ha
proposto a esempio ai membri del Consiglio dell’Oratorio, non descrivendo però
correttamente il suo martirio: ha affermato, infatti, che i woodlarkesi lo avessero
mangiato. Una mia amica e lettrice, seduta vicino a me, mi ha chiesto se
davvero fosse andata così.
Per questa ragione, ho ripreso la biografia
per rileggerla. Di nuovo, la passione missionaria di padre Giovanni mi ha travolta
e smossa nel profondo, specie nei punti in cui esprime, in alcuni componimenti
poetici, l’aspirazione a partire in missione. Tuttavia, la domanda su cosa
fosse accaduto al suo cadavere rimaneva, forse perché in quel punto ho letto
troppo frettolosamente. Ho quindi chiesto aiuto a un collaboratore dell’Ufficio
Storico del PIME, che mi ha trascritto un brano della Positio super martyrio dove era spiegato tutto.
Infine, proprio il giorno dell’inaugurazione
del nuovo Centro Missionario PIME di Milano, ho visitato il nuovo allestimento
del Museo Popoli e Culture. In una delle prime vetrine sono collocati alcuni ricordi
– tecnicamente, sono reliquie solo quelle di coloro che sono candidati agli
altari, Beati o Santi – dei più famosi membri dell’Istituto. Per padre
Giovanni, c’è il suo crocifisso, insieme alla firma che appose, con gli altri
membri della prima spedizione, dietro a un’immaginetta.
Peraltro, la mattina dello stesso giorno,
avevo partecipato a un matrimonio a Saronno, non in una chiesa qualunque: in
quella di San Francesco, adiacente alla casa di monsignor Angelo Ramazzotti, la
“Betlemme” del PIME.
Il suo Vangelo
L’ardore missionario del Beato Giovanni e dei
suoi compagni ha davvero da insegnarci un modello di Vangelo appassionato e
convinto che la salvezza per tutti debba essere raccontata e praticata, anche
quando l’incomprensione e le prove della vita costituiscono dei contesti
scoraggianti.
Certo, il PIME ha imparato anche dal palese
fallimento della spedizione e ha rettificato le proprie modalità d’annuncio,
che oggi in parte non sarebbero più praticabili. Ad esempio, padre Giovanni,
forse in maniera ingenua, sognava di poter realizzare un oratorio in pieno
stile ambrosiano per i bambini woodlarkesi.
La motivazione profonda che lo animò, invece,
rimane ed è pienamente condivisibile. La espose lui stesso, nella Protesta di un missionario che si dedica a
Dio per la conversione degli infedeli, una delle preghiere da lui composte
e ancora in uso nel PIME:
...ho risoluto, col vostro [di Dio, ndr] soccorso, di adoperarmi, a costo di
qualunque fatica o disagio, vi andasse pur anche la vita, per la salvezza di
quelle anime sventurate che costano esse pure tutto il sangue della Redenzione.
Beato quel giorno in cui mi sarà dato di soffrire molto per una causa sì santa
e sì pietosa, ma più beato quello in cui fossi trovato degno di spargere per
essa il mio sangue e incontrare tra i tormenti la morte!
Parole che, col senno di poi, fanno
riflettere su come un impegno simile debba essere realmente preso sul serio,
come fece lui.
Per saperne di più
Piero Gheddo, Mazzucconi di Woodlark – Un
martire per il nostro tempo, EMI 1984, pp. 298, fuori catalogo.
Si può consultare nella biblioteca del PIME,
oppure cercare in qualche sito di libri usati.
Giovanni Mazzucconi, Meditazioni,
Pimedit 2006, pp. 48, fuori catalogo.
Anche per questo vale lo stesso, ma suggerirei
di provare a telefonare alla libreria del PIME: magari ne hanno ancora qualche
copia.
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