«Sacro Cuore, mi fido di Te» - La Beata Armida Barelli (Cammini di santità #39)

Armida in una fotografia del 1926
(in realtà è un particolare di una foto più grande,
nella quale è in posa con sua madre Savina)


Ieri, nel Duomo di Milano, è stata celebrata la Messa con il Rito della Beatificazione di Armida Barelli e don Mario Ciceri. Certa della rilevanza ecclesiale nazionale di questo evento, ho suggerito al direttore della rivista Sacro Cuore VIVERE di farmi dedicare alla prima dei due la mia rubrica nel numero di maggio. Dato che sapevo che avrei avuto altre faccende a ridosso della scadenza, mi sono anticipata.

È stato fondamentale l’aiuto di Gianni Borsa, attuale presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana e giornalista (da lui ho ricevuto anche indicazioni di metodo) e di Luca Diliberto, autore di uno dei libri appena usciti, che segnalavo nel post precedente, alla voce Per saperne di più.

Tuttavia, il direttore mi ha fatto presente che l’articolo era totalmente da rifare: avevo commesso il mio solito errore di soffermarmi sui dettagli, di voler presentare ai lettori aspetti che ritenevo importanti ma che in realtà non lo erano, per far risaltare invece, ad esempio, il modo con cui Armida viveva la fiducia nel Sacro Cuore.

Ancora una volta, rifarlo daccapo mi ha concesso di calibrare meglio il mio racconto e di andare, per quanto possibile a causa del limite di battute, al cuore della testimonianza della nuova Beata.

Peraltro, mentre scrivevo, mi sono accorta che la beatificazione cadeva proprio il giorno prima della Giornata per l’Università Cattolica, che è oggi. Ho quindi inserito una delle giaculatorie che Armida insegnava proprio per pregare per essa e concluso con un estratto del Messaggio della CEI per questa Giornata.

 

* * *

 

Roma, 28 settembre 1918. Dallo studio privato di papa Benedetto XV esce una donna, raccolta e pensosa. Il Papa vuole che lei, Armida Barelli, estenda a tutta l’Italia la Gioventù Femminile Cattolica (in sigla, GF), di cui è la presidente a Milano.

Nel corso del colloquio, lei ha cercato di presentargli le proprie ragioni: «Oh, Santità, è ben diversa la cosa! Altro è andare a fondare un’associazione in un paese, bene accolta e aiutata dal parroco e tornare poi a casa la sera, altro è girare l’Italia. Non ho mai viaggiato sola, non ho mai lasciato la mamma. Non ho mai parlato in pubblico. Come presentarmi ai vescovi, organizzare la Gioventù Femminile nelle grandi città? No, no, non sono capace, non posso, non posso!».

Però il Papa è stato irremovibile: con tono ora serio, ora paterno, l’ha aiutata ad accettare quell’impresa. Ha terminato l’udienza con una benedizione: «Obbedisca, figliola, Dio l’aiuterà: glielo promettiamo». Mentre Armida scende le scale, si sente in pace e disposta a tutto, confortata da quella benedizione e da una sola certezza: si fida del Sacro Cuore.

 

La grande scoperta della fede

 

Armida, o Ida come la chiamano nella sua numerosa famiglia, nasce a Milano il 1° dicembre 1882. Ha genitori benestanti, di saldi valori civili, ma sostanzialmente indifferenti all’aspetto religioso. Eppure, per far sì che diventi una buona sposa e madre, viene mandata a studiare dalle Suore di Santa Croce di Menzingen, in Svizzera.

La ragazza non si adatta immediatamente alla disciplina del collegio, ma col tempo riesce a farsi delle amiche. Una di esse, Akatia Braig, comincia a parlarle del Sacro Cuore di Gesù. Per Ida è la prima volta che qualcuno le presenta Dio facendolo sentire vicino a lei: capisce quindi che Lui ama davvero tutti.

Diplomata e tornata in famiglia nel 1900, ha una personalità vitale, ama la bellezza e la natura ed è molto legata ai suoi familiari, specie ai nipotini. Proprio l’affetto per i più piccoli la conduce a incontrare, uscendo dal suo contesto borghese, gli orfani e i figli dei carcerati.

Una pena interiore la tormenta: vorrebbe che anche i membri della sua famiglia, specie il fratello Gino, condividessero la sua esperienza dell’amore di Dio. In cerca di aiuto, Armida conosce padre Agostino Gemelli, già medico, entrato tra i Frati Minori dopo essersi convertito. Non diventa il suo padre spirituale, ma intreccia con lei un rapporto reciproco e duraturo.

Il primo progetto che li vede affiancati è la consacrazione al Sacro Cuore dei soldati impegnati nella prima guerra mondiale. Quel gesto, che si compie il primo venerdì di gennaio 1917, non ha lo scopo di propiziare la vittoria in battaglia: è invece un’occasione perché i militari trovino conforto e speranza, accostandosi ai Sacramenti.

 

Sposa di Cristo Re, in preghiera tra le fatiche del mondo

 

Appena uscita dal collegio, Armida credeva di avere davanti a sé due vie: o suora, o madre di molti figli. Quando pensava alla consacrazione, si vedeva o missionaria, o in clausura. Aiutata da padre Gemelli, capisce in seguito di poter appartenere a Dio anche vivendo in famiglia e lavorando: è uno stile che a quell’epoca comincia a diffondersi nella Chiesa, ma troverà un riconoscimento della Chiesa solo molti anni dopo.

È già Terziaria Francescana quando il 31 maggio 1913, nel Duomo di Milano, compie un atto di consacrazione privata. Non ha alle spalle nulla, ma sa che il Sacro Cuore la sostiene. Il 19 novembre 1919, nel coretto della chiesa di San Damiano ad Assisi, la consacrazione diventa effettiva: all’interno del primo gruppo delle Missionarie della Regalità di Cristo, s’impegna a vivere la povertà, la castità e l’obbedienza, restando nel mondo. «Egli è il Re, tu la sposa che, per l’estensione del suo regno, prega, ama, lavora, combatte e soffre», lascia scritto.

Il suo modo di pregare è inseparabile da quello con cui lavora: ogni occasione le è utile per elevare l’anima a Dio, perfino salire le scale. Nelle pause prega con brevi giaculatorie, che insegna anche ad altri. Con un’efficace espressione, afferma che, da quando si è sentita per la prima volta «investita» dall’amore del Signore, lo sente quasi cantare dentro la sua anima.

A questo amore risponde con prontezza: «O Gesù, quello che ho, quello che sono, eccolo. La mia attività tutta intera, prendila nella tua e fai con essa l’opera della Tua gloria. Dimmi quello che vuoi, lo vorrò io pure; mandami dove vuoi, ci volerò, caricami di lavoro, mi ci dedicherò interamente con gioia; il dolore stesso (con la Tua grazia) lo trasformerò in amore».

La preghiera di Armida è anche profondamente ecclesiale, basata sugli insegnamenti che vengono dalla scansione dell’anno liturgico. Per questo, nel 1929 e sempre con padre Gemelli, avvia un’ardita iniziativa popolare per la diffusione di sussidi e corsi liturgici: l’Opera della Regalità. Del resto, la regalità di Cristo altro non è che l’espandersi nel mondo del suo amore, rappresentato dall’immagine del Cuore di Gesù.

 

La «Sorella maggiore»

 

Quando il cardinal Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, incarica Armida di formare in ogni parrocchia circoli della GF, lei tentenna, perché teme di non corrispondere a un incarico tanto importante. Poco dopo, ci ripensa: ha saputo che, in una classe di liceo, nessuna delle ragazze presenti ha avuto il coraggio di manifestare la propria fede, in risposta alla provocazione di una professoressa.

Dopo l’udienza dal Papa, estende la GF in tutte le diocesi italiane, con lunghi e disagevoli viaggi: offre al Sacro Cuore queste e altre fatiche. In effetti, i primi passi non sono semplici: specie al Sud, le ragazze non possono uscire da sole, neanche da sposate. Con fermezza, Ida riesce a persuadere anche i vescovi più restii: non devono rendere conto a lei, afferma, bensì al Sacro Cuore.

Le socie della Gioventù Femminile superano presto il milione; appartengono a tutte le Regioni e a ogni classe sociale. Si sentono sorelle tra loro, guidate da Armida come “Sorella maggiore”. Non è solo lo pseudonimo con cui si firma sulla rivista “Squilli di risurrezione”: condivide con loro un ideale che vale più della vita stessa e si sente profondamente responsabile della loro crescita e formazione. Come lei, queste giovani donne imparano a parlare in pubblico; cominciano a lasciare il segno nelle loro comunità, anche a livello civile.

La GF diventa la principale struttura di propaganda e di sostegno materiale per l’Università Cattolica, che nasce nel 1921. Armida ha sostenuto con tenacia l’intitolazione al Sacro Cuore, che ad altri membri del comitato organizzativo, escluso padre Gemelli – lei è l’unica donna – sembrava poco adatta: «Se non la intitoleremo al Sacro Cuore, con le nostre sole forze non ce la faremo, e falliremo», dichiara.

Con un’altra delle sue brevi preghiere, spesso invoca: «Cuore sacratissimo di Gesù, fa’ che l’Università Cattolica che a te si intitola sia e cresca secondo la tua volontà e cooperi alla diffusione del tuo Regno».

 

Il segreto di tutta una vita

 

La seconda guerra mondiale porta distruzione anche nella sede della Cattolica e nell’appartamento personale di Armida. Prova dispiacere per la perdita dell’archivio personale, ma si rimette subito al lavoro per favorire la ricostruzione e tenere insieme, nonostante tutto, le sue “sorelline” della GF. Congedandosi da “Squilli di risurrezione”, il 27 ottobre 1946, raccomanda alle lettrici la stessa fiducia nel Sacro Cuore che ha caratterizzato la sua intera esistenza: «Sì, confidate in Lui sempre, nelle ore liete per non prevaricare, nelle ore tristi per non soccombere, nelle difficoltà per superarle, nelle prove per valorizzarle, nel lavoro per compierlo soprannaturalmente, nella scelta dello stato di vita per capire e fare la volontà di Dio, in ogni contingenza della vita, onde vivere sempre in istato di grazia ed essere in grazia nell’ora della morte, quando Egli vorrà, che sarà dolce sul Suo Cuore».

Resta ancora per tre anni alla guida della GF, nel periodo in cui le donne italiane sono per la prima volta chiamate alle elezioni. Nel 1949 si ammala gravemente: una paralisi bulbare la priva delle forze fisiche e, in seguito, anche della voce. Ormai può solo pregare, specie perché si realizzi il suo ultimo sogno: la fondazione della Facoltà di Medicina della Cattolica, l’attuale Policlinico Gemelli di Roma. Gli amici di sempre, compreso padre Gemelli, non l’abbandonano neanche in quel momento.

Armida muore il 15 agosto 1952, nella villa di Marzio dove spesso si era ritirata a meditare e a scrivere. Alle giovani lascia un’ultima supplica: «Non accontentatevi neppure di essere buone alla buona: apostole vi voglio, apostole che amano e fanno amare il Signore!».

La sua beatificazione è stata celebrata il 30 aprile 2022, a Milano. La sua esperienza, come scrive la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana nel Messaggio per la 98ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, «ci sia d’esempio nel coniugare visioni coraggiose, slancio educativo e impegno culturale, in un appassionato servizio alla Chiesa e alla società».

 

Originariamente pubblicato su Sacro Cuore VIVERE, maggio 2022, pp. 20-21 (visualizzabile qui)

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