Madre Maria Francesca di Gesù, pronta e santa missionaria del bene

NOTA PREVIA: finché il Papa non pronuncia la Formula di canonizzazione, i Beati rimangono tali. Tuttavia, per facilitare l'affluenza dei lettori su questa pagina, inserirò ugualmente l’aggettivo “santo” nel titolo effettivo e, al plurale, nelle etichette o tag a corredo del post.

Chi è?

Anna Maria Rubatto nacque a Carmagnola, in provincia e diocesi di Torino, il 14 febbraio 1844, penultima degli otto figli di Giovanni Tommaso Rubatto, stalliere, o meglio proprietario di una stalla, e Caterina Pavesio, sarta. Rimase orfana di padre a quattro anni, mentre a diciannove perse la madre.
Si trasferì quindi a Torino, ospite di sua sorella Maddalena e del marito di lei Giuseppe Tuninetti, che non avevano avuto figli. Cominciò a visitare la Piccola Casa della Divina Provvidenza di don Giuseppe Benedetto Cottolengo (canonizzato nel 1934), curando i malati e sostenendoli di tasca propria. Fu anche incoraggiata a fare da catechista nelle opere fondate da don Giovanni Bosco (canonizzato anche lui nel 1934), col quale entrò in ottimi rapporti.
Mentre continuava il suo impegno caritativo, entrò a servizio di Marianna Costa vedova Scoffone, come dama di compagnia. Alla morte di lei, ereditando una pensione vitalizia, tornò a casa della sorella.
Con lei e con il cognato, andava d’estate a Loano, sulla Riviera ligure, in villeggiatura e per avere benefici nella sua salute, minata dal vaiolo contratto da ragazzina. Anche in quel luogo viveva la carità e restava a lungo in preghiera nella chiesa dei Cappuccini, ricevendo la Comunione quotidianamente, fatto insolito per l’epoca.
In una di quelle vacanze, probabilmente nell’agosto 1883, Anna Maria s’imbatté in Bartolomeo Panizza, un giovanissimo operaio, rimasto ferito mentre lavorava a una costruzione accanto alla chiesa dei Cappuccini. Gli prestò i primi soccorsi, quindi gli diede del denaro, ordinandogli di non lavorare per quel giorno; fatti pochi passi, tornò indietro e gli diede il corrispettivo di un’altra giornata di lavoro.
L’edificio non ancora pronto era stato voluto da Maria Elice, una donna nubile che si stava avviando a far parte di un Istituto religioso insieme ad altre donne, dirette spiritualmente dal Cappuccino padre Angelico da Sestri Ponente. Quest’ultimo, dopo aver conosciuto Anna Maria, le domandò di entrare nel gruppo e di farne da superiora.
Dopo oltre un anno trascorso pregando e chiedendo consigli a don Bosco e ai suoi direttori spirituali, Anna Maria rispose all’invito. Il 23 gennaio 1885 si svolse quindi la prima vestizione delle Suore Terziarie Cappuccine di Loano: Anna Maria divenne suor Maria Francesca di Gesù.
Maria Elice si ritirò all’ultimo momento e cominciò a porre ostacoli alla nascente comunità. Suor Francesca (per brevità la chiamiamo così) fece di tutto per mantenere l’unità tra le sorelle, che ormai la consideravano la loro “Madre”. Mentre cominciavano ad arrivare richieste di aperture di nuove comunità in Liguria, emise la prima professione religiosa il 17 settembre 1886.
Grazie a padre Angelico, partito missionario per l’Uruguay, madre Francesca poté avviare l’esperienza missionaria del suo Istituto in quel Paese, ma anche in Argentina. Professò i voti perpetui il 16 gennaio 1899, anno in cui accompagnò un gruppo di sei suore nella missione di San Giuseppe della Provvidenza in Brasile, precisamente ad Alto Alegre.
Due anni dopo, un telegramma le annunciò che le sei suore, cui si era aggiunta durante il viaggio una giovane brasiliana, erano state uccise dagli indigeni, che avevano assassinato anche quattro frati e due Terziari francescani. Madre Francesca trovò consolazione pensando che le sue figlie erano morte da martiri e riprese i suoi viaggi missionari.
In quello del 1902, che avrebbe dovuto durare appena due mesi, ma che si protrasse per due anni, madre Francesca si ammalò. Nel 1904 le fu diagnosticata un’infezione interna trascurata a causa dei viaggi e degli impegni; nemmeno un’operazione chirurgica riuscì a curarla. Morì quindi il 6 agosto 1904, nella casa di Montevideo.
È stata beatificata il 10 ottobre 1993 dal Papa san Giovanni Paolo II a Roma, in piazza San Pietro. Nello stesso luogo è prevista per questa domenica, 15 maggio 2022, per tramite di papa Francesco, la sua canonizzazione.
I suoi resti mortali sono venerati nel santuario di Sant’Antonio di Padova a Montevideo, nell’urna posta a sinistra dell’altare maggiore. La sua memoria liturgica ricorre invece il 9 agosto, nell’Istituto da lei fondato, che nel 1973 ha cambiato nome in Suore Cappuccine di Madre Rubatto.

Cosa c’entra con me?

Venerdì 5 settembre 2014, io e un giovane della mia parrocchia dovevamo tornare a Milano dalla festa d’inaugurazione della nuova sede del Servizio di Pastorale Giovanile presso il Centro Pastorale Ambrosiano di Seveso. Non ricordo come né perché, ma trovammo un passaggio grazie a una suora e a un gruppetto di frati Cappuccini, almeno per tornare in città.
La suora era proprio una Cappuccina di Madre Rubatto: almeno il nome della congregazione mi era noto, perché avevo visto l’uscita di un libro sulla fondatrice e perché, prima di una Veglia Missionaria, avevo visitato un piccolo banco informativo delle opere missionarie delle suore, ma non sapevo totalmente nulla di lei.
Quasi tre anni dopo, il 23 gennaio 2017, mentre stavo per andare a vedere un film in un cinema piuttosto lontano da casa (era uno di quegli eventi speciali in cui un film è proiettato in poche sale per un periodo di due o tre giorni), ho deciso di andare a trovare quelle religiose. Non ho affatto idea di come mi fosse venuto quel pensiero: forse era successo perché, mentre cercavo di capire dove fosse il cinema, avevo visto il loro nome sulla mappa del cellulare, o ancora perché avevo cercato quale fosse la parrocchia più vicina, così da andarci a Messa prima dello spettacolo.
Mentre ero ancora in metropolitana, ho telefonato alla comunità in questione per chiedere se potessi passare; pochi minuti dopo, sono arrivata a destinazione. Mi ha accolto una suora davvero gentile, felicissima di sentire che volevo conoscere meglio la sua fondatrice.
Mi ha dato immaginette, medagliette, un portachiavi e il libro che avevo visto anni prima. Insieme, mi ha fornito un altro piccolo libro su una loro consorella, suor Edda Roda, annunciandomi che a breve sarebbe stata aperta la sua causa di beatificazione. Ho già parlato di lei, quindi rimando a quel post nel suo caso.
Pochi mesi dopo, il 10 aprile 2017, Lunedì Santo, ho ricevuto un messaggio privato su Messenger di Facebook: la superiora provinciale delle Cappuccine di Madre Rubatto m’invitava a passare nell’altra loro casa di Milano (sede provincializia, per la precisione) perché un loro conoscente di Genova aveva segnalato loro la mia richiesta di materiale su Lina Noceti, una sartina per la quale era stata avviata la causa e della quale volevo aggiornare il profilo su santiebeati.it.
Benché fossi reduce da un piccolo pellegrinaggio, mi sono diretta nel luogo indicato. Anche quella suora mi ha accolta con molto calore, passandomi quello che mi aveva promesso e altri libri sulla sua fondatrice, su un’altra consorella e su quelli che, tra i Cappuccini e nella sua congregazione, sono noti come i “martiri di Alto Alegre” (qui avevo parlato di loro e di altri personaggi sul cui presunto martirio la Chiesa non si è pronunciata ufficialmente, ma per i quali ci sono state autorevoli affermazioni in merito da parte dei Pontefici).
Leggendoli, sono rimasta colpita da come madre Francesca, che pure aveva subito numerosi lutti da giovanissima, fosse stata schiantata dalla fine di quelle giovani suore; peraltro, se avesse potuto, sarebbe rimasta tra loro e, con tutta probabilità, sarebbe rimasta uccisa anche lei (ma neanche la storia dei Santi si fa con i “se”).
Allo stesso tempo, però, capì di non doversi fermare a quel tragico evento, accaduto a pochissimi anni dalla fondazione. Peraltro, sempre leggendo, mi sono accorta che il giorno in cui ho fatto visita per la prima volta alle suore era l’anniversario della vestizione del loro primo gruppo.
Un altro elemento ha destato il mio interesse: il modo con cui l’allora Anna Maria accettò di fare da superiora alla comunità delle Terziarie Cappuccine. Per loro fu subito “la Madre” e ricambiò il loro affetto anche quando le vide partire per i Paesi più lontani.
Ho trovato questa medesima maternità nelle sue figlie di oggi che risiedono a Milano, dalle quali ho ricevuto l’invito a partecipare alla sessione di apertura e a quella di chiusura dell’inchiesta diocesana della causa di suor Edda, a Bergamo, ma anche conforto quando, scoraggiata per il fallimento di un colloquio di lavoro vicino a una delle loro case, ho bussato di nuovo alla loro porta.
Nel mio viaggio a Roma nel 2018, per partecipare come corista all’incontro dei giovani italiani col Papa, ho incrociato una di loro, ma mi sono sentita frenata dal fatto che alcune mie compagne non volevano che parlassi con troppe suore. Un’altra, invece, si è avvicinata alla religiosa e ha scambiato qualche parola con lei. Più tardi mi ha riferito che conosceva il suo Istituto perché aveva prestato servizio volontario in una delle loro comunità in Eritrea.
Ho avvertito in me una sensazione tra l'invidia e il complesso d'inferiorità: mi è venuto da pensare che lei avesse più titoli per sentirsi affine a loro rispetto a me e che, soprattutto, avesse incarnato lo stile rubattiano più di me; nel mio caso, era rimasta una conoscenza libresca.
Ora, però, ripenso a quel che mi aveva detto un’altra ragazza del coro, membro dell’Operazione Mato Grosso, dopo che mi aveva presentato la storia di Simone Losa  e che io mi sentivo inferiore a volontari come lei e quel giovane: certo, c’è bisogno di chi manda avanti le intuizioni dei veri Testimoni, ma anche di chi ne racconta le storie.
Il 22 febbraio 2020, quando ho saputo del decreto sul secondo miracolo attribuito a madre Francesca, sono stata davvero felicissima, forse più che per aver letto, nella stessa lista di Decreti della Congregazione delle Cause dei Santi, del miracolo per beatificare Carlo Acutis.
In effetti, in entrambi i casi sapevo che c’era qualcosa in esame, però per madre Francesca, quando avevo chiesto delucidazioni alla superiora generale a Bergamo, si era giustamente trincerata dietro un “no comment”.
Un’ulteriore sorpresa mi è arrivata quando ho saputo che la suora dalla quale ero stata ricevuta il Lunedì Santo del 2017 era stata eletta come nuova superiora generale: non ho tardato a farle avere le mie felicitazioni e l’impegno a pregare per lei.
Infine, quando ho saputo che madre Francesca sarebbe stata canonizzata insieme a don Giustino Russolillo, ho cominciato a pensare di approfittare di nuovo della disponibilità delle sue figlie; ovviamente, avrei pagato una quota per il viaggio. L’occasione per essere a Roma questa domenica mi è arrivata in altro modo. Ma, come si dice, questa è un’altra storia…

Il suo Vangelo

Madre Francesca ha vissuto pienamente, come la canonizzazione sancirà, il Vangelo della disponibilità e dell’obbedienza. Nel suo caso era una dote innata o, come dicono quelli che si occupano di selezione del personale, una competenza trasversale, che le consentì di affrontare le difficoltà della vita lasciandosi a volte schiacciare, ma mai e poi mai vincere.
Nell’epoca in cui visse, una donna di quarant’anni, nubile e libera da impegni familiari, non era più considerata adatta al matrimonio. A lei andava bene continuare il suo volontariato e la sua preghiera, senza impegni ulteriori.
Solo col tempo e con l’aiuto delle sue guide spirituali, l’oratoriano padre Felice Carpignano e il canonico Bartolomeo Giuganino, ma anche consigliata da don Bosco, capì che l’invito da parte di padre Angelico andava nel segno di quanto aveva imparato a compiere giorno dopo giorno.
La sua maternità si estese quindi ai bambini e ai ragazzi maschi e femmine, ai pescatori (in una lettera arriva a paragonarsi ai “camalli”, ossia agli scaricatori del porto di Genova), agli italiani emigrati in Uruguay e ai poveri che lì trovò, tra i quali volle essere sepolta.
Un’espressione sintetizza efficacemente questo suo comportamento. È contenuta nella lettera del 7 maggio 1885, mese in cui conobbe la cognata di Michele Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione (leggere il suo cognome mi ha riportato alla mente ricordi scolastici ormai sopiti).
Raccontandole la vita della prima comunità di Loano, le manifestò anche la necessità, venuta dai suoi ragazzi privi d’istruzione, di cominciare anche un’opera in tal senso; voleva però avere le necessarie garanzie perché non venisse considerata abusiva. Aveva già individuato la persona giusta, che aveva lavorato da maestra per dieci anni consecutivi, ma se ne sarebbe occupata in prima persona:
Io, trattandosi d’un bene, lo farei volentieri.
Con questo stesso spirito accettò le occasioni che le venivano offerte, fino a varcare per quattro volte l’Oceano, in tempi in cui le traversate potevano durare mesi. 
Continuò a raccomandare alle sue figlie di compiere il bene finché erano in tempo, davvero fino all’ultimo respiro, come attestano le testimonianze relative ai suoi istanti finali di vita. Credo sia questa la sua maggiore eredità, mentre ci apprestiamo a poterla venerare come Santa.

Per saperne di più

Paola Resta, Beata Madre Francesca Rubatto – Un cuore dato a Dio, al servizio degli ultimi, Velar-Elledici 2013, pp. 48, € 3,50.
L’unica biografia attualmente in commercio, scritta da una delle sue religiose, presenta sinteticamente la sua storia e i due testi di san Giovanni Paolo II che la riguardano.

Su Internet

Sito istituzionale delle Suore Cappuccine di Madre Rubatto
Sezione su di lei del sito dell’Archivio Storico dell’Istituto, con scritti e fotografie 

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