Domenico Zamberletti, chierichetto del Sacro Monte di Varese - Il suo motto: servire con gioia (Cammini di santità #50)

La foto più famosa di Domenico
risale a quando aveva undici anni:
se l’era fatta fare a scuola
per regalarla alla mamma.
Nel dargliela, le disse
che le sarebbe 
servita…
(fonte

Continuo, nella mia rassegna di profili per la rivista dell’Opera Sacro Cuore dei Salesiani di Bologna, a cercare agganci tra l’attualità e gli insegnamenti per i nostri lettori. Uno mi è stato offerto quando ho appreso che, a ottobre 2024, era uscito un nuovo libro su Domenico Zamberletti, più noto come Domenichino, alunno esterno dei Salesiani di Varese, vissuto poco meno di quattordici anni.

La sua storia mi era già parecchio nota, almeno da quando, appena agli inizi delle mie esplorazioni digitali a riguardo del seminarista Alessandro Galimberti, ero capitata sulla pagina del sito del Seminario di Milano che raccoglieva le puntate della rubrica Santi patroni dei chierichetti, pubblicata al tempo sulle pagine della rivista Fiaccolina. A dispetto del nome, però, c’erano ben pochi Santi veri e propri; Domenico non era, e tuttora non è, uno di essi.

Nel 2008, quindi circa due anni dopo, mi sono procurata la ristampa della sua primissima biografia e, più o meno nello stesso periodo, un testo su di lui a firma di don Michele Aramini. La mia impressione fu ottima, però, allo stesso tempo, mi domandavo come mai, con tutta la mole di presunte grazie segnalate in coda al primo volume, non si fosse pensato di aprire la causa. 

Lo stesso sacerdote, nel frattempo, era stato ospitato a Verso gli altari di Padre Pio TV, nella puntata del 25 novembre 2023, ma quando l’ho contattato per capire se si fosse mosso qualcosa non ha saputo dirmi nulla. Sulla stampa locale, nel frattempo, si erano diffuse informazioni incomplete, finite anche sul profilo di Domenico nella sezione Testimoni dell’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni.

Lo scorso anno, però, ho potuto capire lo stato della questione, appunto grazie al nuovo libro di cui avevo avuto notizia. L’autrice Carla Tocchetti inserisce Domenico nella storia del suo borgo natale, Santa Maria del Monte sopra Varese, e riferisce di come la sua vicenda sia ancora oggi conosciuta e apprezzata. Ho quindi proceduto a correggere il profilo su santiebeati, riservandomi ulteriori modifiche.

Quando ho saputo che la mia costituenda Comunità pastorale stava organizzando un pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese, il 19 marzo, ho colto l’occasione per andare a trovare Domenico nel luogo del suo eterno riposo, ovvero nel cimitero della frazione di Santa Maria al Monte.

Ho avuto la prontezza di correre lì mentre gli altri partecipanti erano ai servizi, ma, guardandomi attorno, non trovavo la sua tomba. Poco dopo, mi sono accorta che c’era un altro piano, alla fine di una scala: come immaginavo, sulla lastra con la foto si trovavano corone del Rosario, piccoli giocattoli, perfino un pacchetto di caramelle (la prima biografia racconta che Domenico era molto goloso).

Sono stata sul punto di lasciare a mia volta qualcosa, ovvero il piccolo segno che era stato distribuito a me e agli altri pellegrini sul pullman, ma ho pensato che a lui avrebbe fatto più piacere se, nella Messa che sarebbe stata celebrata di lì a poco, avrei cantato con tutto il cuore e a dispetto del raffreddore, proprio come faceva lui quando suonava.

Proprio il 18 marzo, la sera prima del mio pellegrinaggio parrocchiale, il direttore della rivista salesiana mi ha ricordato la scadenza del mio articolo. In neanche un’ora e mezza, sebbene avessi qualche linea di febbre, l’ho scritto e gliel’ho inviato, così da pubblicarlo per il numero di maggio e riprenderlo qui oggi, nel settantacinquesimo esatto della morte di Domenico.

Il titolo è un riferimento a Servire con gioia, lo storico manuale su cui si sono formate generazioni di chierichetti ambrosiani: da poco ha avuto una nuova edizione, col primo volume dedicato più ai ministranti in sé, mentre il secondo è per i cerimonieri e le guide dei gruppi chierichetti.

Solo la prudenza, quando ho pregato sulla tomba di Domenico, mi ha impedito di affidare a Dio per mezzo suo i ministranti della mia parrocchia, anzi, dell’intera diocesi. Credo che quello del titolo possa essere idealmente inteso anche come uno stile che ha caratterizzato, a detta della biografa, tutta la sua vita, non solo quando serviva allaltare o suonava lorgano.

Infine, una precisazione: ho preferito evitare di chiamarlo “Domenichino” fino alla fine del pezzo sia per evitare confusione col pittore Domenico Zampieri, detto appunto Domenichino, sia soprattutto per seguire l’insegnamento di fratel Dino De Carolis, che reputo un maestro nel trattare le storie di bambini e ragazzi ritenuti o riconosciuti santi (qui la mia recensione al suo libro Un gioco d’amore): usare il diminutivo, seppur affettuoso, come fanno ad esempio i devoti della Venerabile Antonietta Meo alias Nennolina (qui il mio post su di lei), equivale quasi a sminuirlo e a non rispettare il nome, quindi anche la dignità di figlio di Dio, che lui aveva ricevuto nel Battesimo.

 

* * *


I raggi del sole hanno da poco illuminato la statua di Mosè, che domina la fontana ai piedi dell’ultima salita del Sacro Monte di Varese. Sul selciato della strada si affrettano i passi di un bambino, che si ferma proprio accanto alla fontana. Poco dopo, posa sul parapetto tre bigliettini, su cui ha scritto altrettante lettere: “S”, “M”, “C”; quindi si guarda attorno e riprende la sua strada.

Un’ora dopo, tornato sul luogo, si accorge che nessuno dei tre biglietti è rimasto sulla fontana, anche se non tirava un alito di vento quando li aveva lasciati. Commentando l’accaduto con la mamma, Domenico, questo il suo nome, le spiega che aveva voluto chiedere al Signore se lo volesse sacerdote, missionario o camilliano. Così interpreta quel segno: «Si vede che il Signore mi vuole in Paradiso».

 

La casa della Madonna è casa sua

Domenico Zamberletti nasce il 24 agosto 1936 a Santa Maria del Monte, frazione di Varese che prende il nome dal santuario formato da tante cappelle quanti erano i Misteri del Rosario in uso al tempo. Figlio dei proprietari dell’albergo situato proprio ai piedi del monte, cresce con il fratello Giuseppe (futuro fondatore della Protezione Civile italiana) e con la sorellina Magda, per la cui nascita aveva tanto pregato il Signore.

La cappella principale del Sacro Monte è quasi la sua seconda casa: lì impara a servire la Messa con una tale serietà che l’arciprete, monsignor Angelo Del Frate, lo nomina ben presto capo del gruppo dei chierichetti. Domenico ne è tanto fiero che un giorno, quando giungono al santuario altri chierichetti al seguito di un pellegrinaggio, desiderosi di servire all’altare al posto dei titolari, li chiude nella torre del campanile con uno stratagemma, così da avere campo libero insieme ai suoi compagni di servizio.

Negli anni in cui frequenta la quarta e la quinta elementare, comincia a ricevere ogni giorno l’Eucaristia; in particolare, vive con devozione i Primi Venerdì in onore del Sacro Cuore. Confida alla mamma riguardo le sue Comunioni: «Non so dire la gioia che provo per tutta la giornata… anche se tu mamma mi picchiassi e mi sgridassi o se prendessi dei brutti punti a scuola, non me ne importerebbe niente di niente! Io non sento più nulla, all’infuori di questa gioia».

 

Con la musica nel cuore

Domenico ha anche un altro servizio importante nel santuario: a soli nove anni, ne diventa organista titolare. I suoi genitori assecondano questo suo talento naturale, emerso mentre strimpellava il pianoforte dell’albergo, e lo mandano a scuola di musica a Varese, dal maestro Mario Conti.

Quando Domenico suona, anche se fatica ad arrivare ai pedali dell’organo, i fedeli rimangono estasiati ad ascoltare le sue improvvisazioni organistiche. Una signora, ad esempio, gli chiede la partitura di un pezzo che ha appena suonato e lui, candidamente, replica: «Non c’è… non esiste, io non ne ricordo più nemmeno una nota».

In questo segue le indicazioni del padre, che gli aveva raccomandato: «Ogni festa suonerai qualcosa di nuovo, l’Ave Maria di Schubert, quella di Gounod, e altri pezzi che suonerai meglio che potrai. Ma, all’Elevazione, devi tu cavare dalla tua testa e dal tuo cuore la musica più bella. Suona come vuoi, ma senza musica davanti. Ricorda che è il momento più importante, che la gente deve stare raccolta e tu stesso devi dare il meglio di te al Signore».

 

Due amici speciali: Domenico Savio e don Silvio Galli

L’inizio delle scuole medie, nell’ottobre 1947, rappresenta per Domenico un primo impatto con un mondo diverso da quello del suo piccolo borgo. Per andare all’Istituto Salesiano di Varese, in cui è stato iscritto come alunno esterno, prende ogni giorno la funicolare e il tram: sui mezzi pubblici sente spesso discorsi grossolani o irrispettosi verso la fede, ma lui, così piccolo, non si sente di rimproverare persone più grandi.

Ogni mattina, appena arrivato, si ferma in cappella e contempla a lungo l’immagine della Madonna Ausiliatrice e, lì accanto, i ritratti di san Giovanni Bosco e di Domenico Savio, che era diventato Venerabile appena tre anni prima della sua nascita. L’esempio di quel ragazzo suo omonimo ha un tale influsso su di lui da condurlo a immaginare una serie d’iniziative per coinvolgere i ragazzi del Sacro Monte nella vita di fede: anzi, vorrebbe che s’impiantasse un oratorio moderno, di cui progetta lui stesso le attività.

Per i suoi educatori nutre grande rispetto, ma con uno di essi arriva a stringere una vera amicizia. È don Silvio Galli, chierico ventiduenne, che sta svolgendo lì il suo tirocinio pratico e fa da ponte tra i superiori e i ragazzi. A lui, poco dopo l’inizio delle medie, confida: «Se il Signore mi da la grazia, vorrei diventare sacerdote».

Una prima intuizione gli è venuta pochi anni prima, quando, come premio per una delle gare catechistiche in cui aveva primeggiato, aveva vissuto il pellegrinaggio a Roma per l’ottantesimo anniversario di fondazione della Gioventù Maschile di Azione Cattolica. È probabile che anche l’esempio dei sacerdoti del Sacro Monte, specie dell’arciprete e di don Gaetano Cappellini, lo abbia condotto a sognare di essere come loro.

 

Il futuro in Paradiso

Ai primi di gennaio 1949, mentre sta pregando in chiesa, Domenico avverte brividi in tutto il corpo; tornato a casa, gli sale la febbre. Per più di un anno i medici non capiscono che malattia abbia: prima pensano a un’influenza, poi a una pleurite. Il ricovero alla clinica Columbus di Milano svela la diagnosi in tutta la sua crudezza: è una leucemia molto grave.

Lontano dal Sacro Monte e dalla scuola salesiana, sopporta le iniezioni e i controlli, ma un giorno dichiara a Carla, la fedele domestica dell’albergo: «Io mi lascio fare tutte le cure, tutto quello che vogliono… per far contenta la mamma, ma io non guarirò».

Dopo qualche mese all’ospedale di Varese, Domenico è riportato a casa. Vengono a trovarlo in tanti, ma a lui interessa solo prepararsi alla morte in piena lucidità e consolare i suoi cari. Per questo si rammarica quando grida di dolore, o quando invoca Dio per smettere di soffrire. Particolarmente intenso è il Venerdì Santo 1950, quando perde temporaneamente i sensi: risvegliatosi al mattino di Pasqua, commenta che non bisogna aver paura della morte.

Don Silvio viene a trovarlo e lo rincuora, dicendo che le sue esclamazioni non riducono il suo impegno a offrire la vita. Quindi gli fa una proposta: condivideranno il sacerdozio, così che ogni volta che lui alzerà la mano per benedire, Domenico sarà con lui. Il ragazzo è raggiante: «Così son contento! Sarò sacerdote! Non m’importa più nulla di morire. Ho raggiunto il mio scopo… Anzi, dal Paradiso potrò agire con maggiore efficacia».

Domenico muore il 29 maggio 1950, alla presenza di sua madre e della signora Carnelli, conosciuta all’ospedale di Varese. Sotto il loro sguardo, prima lancia un grido straziante, poi si ricompone e, con gli occhi spalancati, afferma di vedere la Madonna. Le sue ultime parole sono, ancora una volta, di consolazione: «Mamma, sto bene… e vado in Paradiso a sentì tutt i ciacer di donn!» (in dialetto varesino, «tutte le chiacchiere delle donne»).

Ancora oggi, a settantacinque anni da quel giorno, in tanti ricordano Domenichino, come lo chiamano affettuosamente, e visitano la sua tomba nel piccolo cimitero di Santa Maria del Monte. Neppure il suo amico don Silvio Galli, attualmente Servo di Dio, l’ha mai dimenticato, tanto da aver dichiarato, in una testimonianza dattiloscritta e firmata: «Ho avvicinato tanti giovani, tanti ragazzi, pur buoni e virtuosi, nessuno l’ho trovato come Domenico Zamberletti».


Originariamente pubblicato su Sacro Cuore VIVERE numero 3 (maggio 2025), pp. 22-23 (consultabile qui)


Di seguito, il video della conferenza di presentazione del nuovo libro al Sacro Monte.

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