Rosaria, Giastin e Cosimo Gravina, fratelli vulcanici e gioiosi
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Immagine per gentile concessione della famiglia Gravina |
Chi sono?
Rosaria Gravina nacque a Wuppertal, nel Land della Renania Settentrionale-Westfalia, il 4 aprile 1981, figlia di Carolina Vigilante e Giuseppe Gravina, emigrati tempo addietro in Germania con le rispettive famiglie d’origine. A circa nove mesi, contrasse un raffreddore, che divenne polmonite bilaterale: ricoverata a Düsseldorf, in un centro per malattie rare, le venne diagnosticata un’amiotrofia spinale di tipo Werding Hofmann, una gravissima e molto rara malattia genetica.
Giastin (si pronuncia con l’accento sulla “a”), sua sorella, nacque il
29 ottobre 1987, sempre a Wuppertal. Nel giro di pochi mesi, divenne chiaro che
anche lei aveva la stessa malattia di Rosaria.
La famiglia rientrò in Italia, precisamente a San Marco in Lamis (in
provincia di Foggia e diocesi di Foggia-Bovino), paese d’origine della famiglia
della madre: lì nacque Cosimo, il 9 maggio 1994. Già nel corso della
gravidanza, risultò che anche lui aveva l’amiotrofia spinale dello stesso tipo
delle sorelle: un fatto raro, dato che la malattia colpisce il gene femminile
e, comunque, riguarda un figlio su quattro.
A Rosaria e poi a Giastin la madre non
parlava di Dio, perché in collera con Lui già dopo la prima diagnosi: la loro
istruzione religiosa, quindi, cominciò grazie al padre e ai nonni. Fu però la
secondogenita a richiamarla alla fede, sorprendendola con una domanda a
proposito di Gesù crocifisso.
Ciascuno dei tre fratelli aveva una
connotazione particolare nel proprio rapporto con Dio. Rosaria era convinta che
non bisognasse solo supplicarlo, ma anche renderlo felice e ringraziarlo;
inoltre, aderì all’Azione Cattolica dei Ragazzi (ACR). Giastin, come lei, amava
la vita e l’esprimeva attraverso opere pittoriche; fu membro della Gioventù
Francescana (GiFra). Cosimo, infine, aveva un’attrattiva particolare per il
mistero dell’Eucaristia e verso gli angeli.
Quasi in una staffetta, i fratelli si passarono in consegna il Vangelo
delle Beatitudini, il preferito di Giastin. Quest’ultima si era sentita
ripetere da Rosaria che, se fossero riuscite a realizzare almeno una
beatitudine in vita, si sarebbero ritrovate in Paradiso; a sua volta Giastin lo
trasmise a Cosimo.
Rispettivamente, Rosaria morì, anzi, volò in Cielo il 28 marzo 1996, al
pronto soccorso dell’ospedale di San Marco in Lamis; Giastin il 21 febbraio
1994, in casa; Cosimo il 24 febbraio 2009, anche lui in casa. I quattordici
mesi di vita che i medici avevano prospettato alla figlia maggiore (la data
esatta della diagnosi fu il 28 marzo 1982) si erano quindi prolungati fino a
quindici, sedici e quattordici anni.
Rosaria, Giastin e Cosimo riposano nella
cappellina D del cimitero cittadino di San Marco in Lamis.
Cosa c’entrano con me?
Nel novembre di quattro anni fa, non ricordo più se in libreria oppure online, ho scorto un libro che parlava dei santi tra i bambini. M’ispirava, ma non l’ho preso, essenzialmente perché conteneva storie che conoscevo già: l’unica che mi era ignota era quella dei tre ragazzi Gravina, che supponevo (non sbagliando) essere fratelli. Di conseguenza, credo che quella sia stata la mia prima occasione di contatto con loro.
Non ho comprato quel libro anche perché ho
intuito che ci sarebbe stato un approfondimento sulla loro vicenda: per una
volta, ho indovinato. Perché mi decidessi ad acquistare quella nuova
pubblicazione è passato altro tempo, comunque non prima che ascoltassi una
testimonianza di Carolina, madre dei tre ragazzi; mi pare che fosse nella
puntata di Finalmente domenica andata in onda su TV 2000 il 26 marzo
2023.
Quindi, il 17 agosto dello stesso anno, passando
in libreria, ho proceduto all’acquisto. Come spesso mi accade, però, non l’ho
letto immediatamente: mi premeva comprarlo prima che andasse fuori catalogo e
tenerlo da parte, per dedicare ai fratelli uno dei miei articoli per il
periodico Agli amici del venerabile Silvio Dissegna.
Il 17 aprile scorso, via WhatsApp, mi è
arrivata la locandina di un incontro-testimonianza con Carolina, prevista per
il 28 dello stesso mese, a Roma, dalle suore Adoratrici del Sangue di Cristo.
Dato che avevo già in previsione di partire per la presentazione del libro Nuovi
Martiri e per la canonizzazione di Carlo Acutis, ho pensato di partecipare.
Anche dopo la morte di papa Francesco, la
sospensione delle canonizzazioni e delle beatificazioni fino alla decisione del
nuovo Papa e la cancellazione della presentazione, ho deciso di partire, per
non perdere i biglietti e assaggiare l’atmosfera romana pre-Conclave.
L’incontro sui fratelli Gravina, invece, non
era stato cancellato. Ho pensato quindi che sarebbe stata un’occasione ottima
per procurarmi materiale almeno sul Beato Giovanni Merlini, dei Missionari del
Preziosissimo Sangue, legato anche alla storia della congregazione femminile,
appunto le Adoratrici del Sangue di Cristo, fondata dai santi Gaspare del
Bufalo e Maria de Mattias. Come ci sono riuscita e cosa ho ricavato dagli
incontri che ho ricevuto in quella circostanza è un’altra storia, che conto di
raccontare appena possibile.
Avevo però un solo problema: l’incontro era
alle 19.30 e io avrei dovuto essere nel mio alloggio, a non poca distanza dalla
casa delle suore (l’ex casa generalizia, mi pare di capire) entro le 21.
Speravo quindi di poter almeno scambiare qualche parola e qualche contatto con
la madre dei ragazzi.
Con l’aiuto di una delle suore che avevo
conosciuto, ho subito superato la distanza. Mi pare che io e Carolina abbiamo
avuto un’ottima impressione reciproca, trovandoci in immediata sintonia. Ci
siamo anche scambiati i libri: io le ho dato il mio sul Venerabile Silvio Dissegna, lei quello in cui, insieme al marito, racconta la vita dei loro figli.
Come ho scritto sopra, ce l’avevo già, ma ho pensato di regalarlo a mia volta a
qualcuno che potrebbe essere interessato.
Proprio mentre mi dirigevo all’incontro, il
mio referente dell’Associazione Amici di Silvio Dissegna mi ha scritto
per chiedermi l’articolo per il numero di giugno: il momento per occuparmi dei
tre fratelli era finalmente giunto. Così, nel tempo libero dei miei giorni
romani e sul treno del ritorno, mi sono data alla lettura; appena tornata a
Milano, ho steso l’articolo, l’ho mandato a Carolina e ho ottenuto la sua
approvazione.
Nel frattempo, avevo iniziato ad abbozzare
questo stesso post, così da tenerlo pronto alla prima occasione, che si è
profilata quando ho appreso della mostra collettiva La speranza non delude,
allestita fino al 1° giugno al Centro Giovanile San Lorenzo a Roma (a due passi
da San Pietro: ci sono passata davanti tantissime volte, ma non sono mai
entrata) e dedicata a molti bambini e ragazzi con le cause in corso e non, in vista del Giubileo delle Famiglie, dei Bambini e dei
Nonni.
Anche in questa circostanza, precisamente lo
scorso 24 maggio, i signori Gravina hanno parlato dei loro ragazzi. Sicuramente
hanno fatto molto riferimento alla passione artistica di Giastin, la quale ha
continuato a dipingere fino all’ultimo giorno.
La mia impressione, approfondendo la loro
storia e le loro singole vicende, è stata di meraviglia. Anche se a volte può
sembrare che s’impossessi di me quello che chiamo “il mio promotore di
giustizia interno”, il quale vorrebbe allontanarmi dalle testimonianze e da
fatti simili e quasi mi conduce a invidiare i loro protagonisti e la loro fama
positiva (per non dire di santità), alla fine non ha mai la meglio: è stato
così anche per i tre Gravina.
Di loro in generale mi ha colpito la tenacia
nell’attaccamento alla vita, anche se costellata di difficoltà collegate alle
condizioni di salute. Una su tutte: mi risulta che non abbiano potuto seguire
una formazione scolastica regolare, perché rischiavano di ammalarsi.
Di fatto, una delle conseguenze dell’amiotrofia spinale di tipo Werding Hofmann
era che i loro polmoni non si sono sviluppati del tutto, quindi andavano
sovente incontro a polmoniti. In ogni caso, solo grazie a un decreto legge su
misura per loro si è iniziato a pensare, a livello nazionale, a come favorire
l’istruzione domiciliare di bambini e ragazzi in situazioni analoghe.
Ho anche apprezzato la sincerità con cui i loro genitori hanno
raccontato i loro piccoli litigi tra fratelli, come pure i rapporti con i
coetanei e le relazioni positive con tanti amici e conoscenti. In particolare
Cosimo mi sembrava desideroso di amare e di farsi amare, soprattutto dalle
ragazze.
Ancora, ho riconosciuto come l’amore, davvero, sia stato la loro miglior
medicina, che ha permesso di prolungare il loro tempo terreno ben oltre le
infauste aspettative dei medici. Carolina, in effetti, rimarca sempre che il
giorno e il mese e perfino l’ora in cui Rosaria ha lasciato questo mondo sono
gli stessi in cui i medici avevano palesato la diagnosi, quattordici anni prima.
Anche per questo tutti e tre erano dispiaciuti, anzi quasi furiosi, se qualcuno
li compativa o li psicanalizzava: volevano essere amati così com’erano e come
li amava Dio.
Ho poi riflettuto su come avessero pianificato nei minimi dettagli la
festa per quando sarebbero andati in cielo, per usare un’espressione di
Rosaria: dai vestiti, ai canti, alle letture, perfino augurandosi come
avrebbero dovuto essere le condizioni atmosferiche (puntualmente realizzate,
secondo i genitori). Ho ravvisato qualcosa di analogo, per la prima volta,
leggendo una biografia della Beata Chiara Badano (qui il mio post su di lei): anche lei aveva
precisato ogni aspetto della sua “partenza per il Cielo”.
Ammetto di averci pensato anch’io, soprattutto quando ho preso per la
prima volta il coronavirus nel 2022 (ma non sono andata in ospedale): ho
stilato un testamento tra lo spirituale e il materiale e ho dato anche le
istruzioni per la liturgia delle mie esequie, oltre che per le celebrazioni
precedenti.
Quando l’ho riferito al mio direttore spirituale, mi ha rimproverata:
dovevo pensare a vivere, non a quel che sarebbe accaduto se fossi morta. Da
quel che ho capito, i tre fratelli hanno speso ogni energia concentrandosi
appunto a vivere, ma erano comunque consapevoli di essere al limite quando hanno condiviso con la madre quel programma.
Scendendo più nel particolare, di Rosaria ho
ammirato il bisogno di restare in silenzio per qualche minuto al giorno, per
parlare da sola con Gesù. Allo stesso tempo, mi ha sorpreso la sua intuizione
fondamentale: tutti vanno dal Signore a chiedere, a supplicare, con visi
lamentosi, ma quasi nessuno va da Lui per farlo ridere.
Quanto a Giastin, al di là del suo
singolarissimo nome (sarei curiosa di sapere perché hanno deciso di chiamarla
così), ho trovato sconcertante in positivo la sua accettazione del fatto che
non avrebbe mai potuto camminare: rimanendo in sedia a rotelle, scrisse nel suo
diario il 6 gennaio 1996, poteva parlare tutti i giorni con Dio, per giunta
divertendosi, mentre tanti, che invece riescono a camminare, si dimenticano di
Lui.
Di Cosimo, invece, mi ha commossa il profondo
senso del peccato, che l’aveva condotto a chiedere di confessarsi con urgenza
durante una vacanza a Soriano nel Cimino, dov’era ospite con la famiglia: si
sentiva in colpa perché si era dimenticato di pregare, preso com’era dalle
esperienze che aveva vissuto appena arrivato. Il sacerdote che ascoltò la sua
confessione lo rincuorò: tutta la sua vita era una preghiera continua.
Anche il suo rapporto con Pippo, come aveva
chiamato il suo angelo custode, non può essere derubricato a un’invenzione
infantile o a un amico immaginario: lo considerava un suo vero compagno,
intermediario tra lui e il Paradiso che affermava di vedere in sogno, peraltro
l’unica occasione in cui poteva giocare a calcio. Chi già conosce la vicenda di
Davide Fiorillo, che avevo raccontato qui, facilmente troverà
una similitudine con lui e con gli Angioletti con la “A” maiuscola da cui si
sentiva sorretto ogni giorno.
Infine, ho apprezzato uno sfogo che fu sia di Giastin, sia di Cosimo. Dopo che, la mattina, leggevano la vita del Santo del giorno, spesso commentavano che nessuno di essi era, per così dire, normale: erano tutti sacerdoti, vescovi, papi, oppure avevano incontrato il Papa, o ancora erano morti dopo atroci tormenti. In particolare Cosimo non capiva come si potesse dichiarare che la santità era un dono per tutti, se quelli ricordati sul calendario erano così strani.
Quando un’amica di famiglia, che era appena stata a Napoli, gli portò come ricordo un santino di san Giuseppe Moscati e gli spiegò che era un medico, lui esplose di gioia: finalmente aveva trovato un Santo “normale”, che elesse subito come suo preferito. Non solo: volle che l’immaginetta fosse messa accanto al suo letto, così, guardandola, avrebbe ricordato che poteva farsi santo anche lui. Ora che ci penso, qualcuno dovrebbe riferirlo ai Gesuiti della chiesa del Gesù Nuovo, che io stessa ho più volte visitato in nome del legame tra me e Moscati, di cui riferivo qui.
Di questi e altri fatti i signori Gravina raccontano in questa puntata
de La santità raggiungibile, programma di Maria Visión condotto da
Enrico Solinas, il postulatore che li ha aiutati a mettere nero su bianco i
loro ricordi.
Hanno testimoniato la speranza perché…
I fratelli Gravina sono noti come “i tre vulcani della gioia”, com’è anche intitolato il libro con i racconti delle loro vite presentati dai genitori. Penso però che potrebbe essere aggiunto “e della speranza”, perché mi risulta che nessuno di loro abbia mai perso del tutto questa virtù. Se da una parte sapevano di non essere come tutti gli altri coetanei, dall’altra erano consapevoli di avere altre possibilità che tanti, anche tra i ragazzi, a volte scartano, a cominciare dalla relazione con Dio.
Chi andava a trovarli rimaneva stupito da
come fossero sicuri che Lui era sempre con loro e spesso si ritrovava cambiato
nel proprio modo di pensare al Cielo e alle realtà soprannaturali, ma anche
nella concezione della vita e della malattia.
Il loro Vangelo
L’annuncio fondamentale che, come un filo d’oro, unisce le distinte esistenze di Rosaria, Giastin e Cosimo è che la felicità vera è possibile anche quando una vita viene condannata dalla nascita a svolgersi nel dolore. Questo avviene anzitutto se le famiglie coinvolte in fatti simili non vengono lasciate sole, ma nemmeno soffocate di attenzioni o di piagnistei.
Sentendosi felici, a loro volta hanno fatto
felici altri: penso allo zio G., fratello della madre, che ricevette la Prima
Comunione insieme a Giastin, o ai ragazzi che partecipavano agli incontri dell’ACR
a casa di Rosaria, o alle persone a cui Cosimo riferiva dei suoi sogni.
Ognuno di loro ha espresso, nella propria
singolarità, questo messaggio. Rosaria lo ha scritto in un tema del gennaio
1996, con la traccia Il portatore di handicap come motivo di crescita nello
spirito sociale, in cui ricordò che le persone con disabilità hanno diritto
a vivere e hanno le stesse esigenze degli altri:
Per fortuna sono circondata dall’amore di
persone che volendomi bene, mi aiutano nei momenti di bisogno, gioiscono
insieme a me negli attimi di felicità.
Giastin lo ha trasmesso nelle sue opere
artistiche, di cui ha parlato in una lettera all’amico A.:
Io cerco sempre di esprimere l’amore nei
miei quadri, quell’amore che provo per la mia vita, la vita che vivo ogni
giorno ed ogni giorno mi regala nuove emozioni.
Cosimo, quasi a riassumere il pensiero delle sorelle, ha dichiarato:
Noi abbiamo una missione, dobbiamo mostrare
agli uomini il volto luminoso di Gesù.
Di questo volto luminoso continuano a parlare
i loro genitori, perché questi tre ragazzi sono stati i primi a mostrarglielo
con decisione.
Per saperne di più
Pina Baglioni, «Ci saranno santi tra i bambini» - Carlo Acutis, Manuel Foderà, Rosaria, Giastin e Cosimo Gravina, Sara Mariucci, Paoline Edizioni 2021, pp. 112, € 11,00.
Il primo libro che ha presentato la storia
dei tre Gravina, affiancata a quelli di altri bambini e ragazzi.
Giuseppe Gravina e Carolina Vigilante, Enrico Graziano Giovanni Solinas, Rosaria, Giastin e Cosimo Gravina. I tre vulcani della gioia, Velar 2022 (seconda edizione 2024), pp. 160, € 14,00.
La vita dei tre ragazzi, raccontata dai loro
genitori con l’aiuto di un postulatore.
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