Padre Clemente Vismara: la vita donata di un missionario contento

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Chi è?

 

Clemente Vismara nacque il 6 settembre 1897 ad Agrate Brianza, oggi in provincia di Monza e della Brianza, penultimo dei sei figli di Attilio Egidio Vismara e Stella Annunziata Porta, rispettivamente sellaio e sarta, o meglio cucitrice. Rimasto orfano di entrambi i genitori a tre anni di distanza l’una dall’altro, venne inviato da due zii sacerdoti, don Francesco e don Emilio Porta, al Collegio Villoresi di Monza, dove frequentò dalla quinta elementare al primo anno di liceo.

Il 24 ottobre 1913 entrò nel Seminario Arcivescovile di Milano, precisamente nella sede di Seveso, per terminare il liceo e proseguire gli studi filosofici. La vocazione sacerdotale, come ammise in seguito, non era il suo pensiero principale: lo divenne dopo che fu arruolato nell’Esercito, partecipando alla prima guerra mondiale; fu un periodo tanto doloroso da non volerne parlare in seguito.

Non capì solo di voler diventare sacerdote, ma anche missionario: quel desiderio gli era nato prima della guerra, a causa della lettura del libro Operarii autem pauci, di padre Paolo Manna (beatificato nel 2001). Il 21 aprile 1920, dunque, Clemente arrivò a Milano per proseguire la formazione nel Seminario Teologico Lombardo per le Missioni Estere. Sei anni più tardi, il Seminario confluì nel Pontificio Istituto Missioni Estere, o PIME in sigla.

Ordinato sacerdote il 26 maggio 1923 nel Duomo di Milano, padre Clemente ricevette subito la sua destinazione: la missione di Kengtung, nell’allora Birmania. Visse praticamente da solo nel territorio di Monglin, a causa delle malattie che colpirono i confratelli che si avvicendarono al suo fianco. Contrariamente a quanto pensavano i suoi superiori, la sua missione fu tanto fiorente da portare alla nascita di altri distretti missionari autonomi. Il suo metodo consisteva nel visitare i villaggi e nel procedere alla catechesi solo di quanti manifestassero segni sinceri di voler conoscere il cristianesimo.

Durante la seconda guerra mondiale e, ancor prima, nelle varie guerriglie che imperversavano sul territorio birmano, raccolse orfani e bambini, consolò le vedove, offrì una possibilità di riscatto agli abitanti messi alla prova dalle varie occupazioni straniere.

Nel 1955, dopo trentuno anni a Monglin, fu trasferito a Mong Ping, località dove mancavano le strutture basilari. Con l’aiuto di molti benefattori, inclusi i suoi compaesani di Agrate, che rivide brevemente in un soggiorno di dieci mesi nel 1957, riuscì a dotare il villaggio di una scuola e a ricostruire in mattoni l’orfanotrofio maschile, quello femminile e la chiesa.

Gli fu concesso di rimanere anche durante gli anni della dittatura militare che voleva imporre la via birmana al comunismo. Per la sua vicinanza al popolo, ottenne informalmente il titolo di Patriarca della Birmania, come fu definito sul Calendario murale nazionale dei cattolici.

Nel giugno 1988 padre Clemente venne portato all’ospedale di Kengtung, perché le molte malattie di cui soffriva da tempo stavano per avere la meglio su di lui. Chiese però di essere ricondotto a Mong Ping, per morire in mezzo alla sua gente. Spirò alle 20.15 il 15 giugno 1988, dopo aver ricevuto il Viatico e gli ultimi Sacramenti.

La fase diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per superare difficoltà di carattere pratico ed economico, si svolse a Milano dal 18 ottobre 1996 al 17 ottobre 1998, ma furono necessari interrogatori anche in altri Paesi, oltre che, ovviamente, in Birmania. Il 15 marzo 2008 papa Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del decreto con cui padre Clemente venne dichiarato Venerabile e, il 2 aprile 2011, quella del decreto relativo a un miracolo ottenuto per sua intercessione.

Venne quindi beatificato il 26 giugno 2011 in piazza del Duomo a Milano: la Messa venne presieduta dal cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, mentre il Rito della Beatificazione fu presieduto dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre.

La memoria liturgica del Beato Clemente Vismara ricorre il 15 giugno, giorno anniversario della sua nascita al Cielo. I suoi resti mortali sono invece venerati a Mong Ping, ai piedi della copia della grotta di Lourdes fatta realizzare da lui stesso.

 

Cosa c’entra con me?

 

Non ricordo di aver sentito parlare di padre Clemente Vismara prima del 2011. All’epoca, infatti, non seguivo con attenzione i Bollettini della Sala Stampa relativi ai Decreti della Congregazione delle Cause dei Santi e mi accontentavo di sentire che veniva data enfasi a qualche nome particolarmente famoso. Neppure ricordo se il sito della Diocesi avesse dato notizia del decreto sulle virtù eroiche.

Quando venne anche il suo turno di venire beatificato, iniziai comunque a pensare a un modo di procurarmi un pass: rispetto alla celebrazione del 30 aprile 2006, quando vennero beatificati monsignor Luigi Biraghi e don Luigi Monza, a cui avevo partecipato grazie alle Suore Marcelline, e a quella del 25 ottobre 2009 per don Carlo Gnocchi, in cui ero riuscita a essere presente tramite il mio vecchio parroco, non avevo agganci particolari. Certo, avevo visitato un paio di volte la Piccola Casa San Giuseppe, dove si trovavano le spoglie di suor Enrichetta Alfieri, che sarebbe stata elevata agli altari nella stessa celebrazione, ma non mi sentivo di disturbare le Suore della Carità per quella faccenda. Avessi abitato dalle parti di Chiuso, avrei chiesto alla parrocchia dell’altro futuro Beato, don Serafino Morazzone.

Mi venne allora in aiuto quanto lessi sui media diocesani: ci si poteva iscrivere tramite il PIME. Non solo: con l’iscrizione, si otteneva una borsa a tracolla molto speciale, cucita a mano da donne della tribù dei monti, che vivevano tra la Thailandia e il Myanmar. Presi quindi i contatti e ottenni finalmente il pass.

In vista del 26 giugno, iniziai a informarmi anche su di lui. Mi furono molto utili, come sempre, le sintesi offerte da monsignor Ennio Apeciti a puntate su Milano Sette: gli ampi stralci delle lettere e degli articoli di padre Clemente mi fecero capire che era veramente un personaggio atipico rispetto a quelli a cui ero abituata.

In particolare, mi avevano stupita le sue dichiarazioni sulla bellezza della vita e del vivere, come quella contenuta nello scritto del 22 maggio 1962, in cui affermava di non voler considerare la vita una «valle di lacrime». Mi aveva poi mossa al riso un’altra frase, relativa alla solitudine in cui si trovò a operare (aveva un confratello che l’affiancava, ma si ammalò): dato che nel giro di cento chilometri non c’erano altri cristiani, per vederne uno doveva… guardarsi allo specchio!

Per la sua facilità di scrittura, mi venne da affiancarlo a padre Piero Gheddo, suo confratello del PIME, che di fatto l’aveva conosciuto e intervistato e, successivamente, si era occupato della sua causa. Lo vidi da lontano, il giorno della beatificazione, ma mi sembrava così irraggiungibile da pensare che, semmai un giorno fosse passato di nuovo per Milano, avrei potuto parlargli con più calma. Ci riuscii, e fu davvero una grande sorpresa, il 28 febbraio 2014, presso la sede del Centro Missionario PIME, come raccontavo nel post che gli ho dedicato il giorno della sua morte.

Non molto tempo dopo quell’incontro, tenuto conto del fatto che non avevo preso nessun libro su padre Clemente a ridosso della beatificazione, acquistai l’ultima opera su di lui scritto da padre Piero. Ancora una volta, l’ardore del missionario giornalista e del missionario di fatto, ossia del biografo e del biografato, si fondevano, descrivendo il carattere irrequieto del secondo, ma anche il suo grande amore per i bambini orfani e per le persone rifiutate, insieme all’immancabile dose di umorismo.

Il libro mi tornò molto utile quando mi resi conto che la sua scheda su santiebeati.it non era molto completa. Ovviamente chiesi una consulenza agli Amici di Padre Clemente di Agrate Brianza, che mi risposero tempestivamente, così da far pubblicare il nuovo testo nell’imminenza del trentesimo anniversario della morte, nel 2018. In quello stesso anno mi procurai anche la biografia scritta da monsignor Apeciti edita nel 2011.

Un fatto di cui mi ero già accorta dieci anni fa era che padre Clemente era il Beato ambrosiano per cui era trascorso meno tempo dalla morte alla beatificazione: ventitré anni e undici giorni. Anche il decreto sull’eroicità delle virtù era arrivato piuttosto presto, ossia a quasi tre mesi dal ventesimo anniversario del suo transito. Questi record sono stati frantumati dal Beato Carlo Acutis, come scrivevo qui: dichiarato Venerabile a quasi dodici anni dalla morte, proclamato Beato due giorni prima del quattordicesimo anniversario della stessa.

In questi ultimi mesi, mi è venuto da pensare a lui non solo nel ricordo di quell’assolata giornata di giugno, ma anche apprendendo la notizia della morte di don Mauro Radice, parroco di Agrate, che appoggiava pienamente l’operato degli Amici di Padre Clemente e volle collocare, ovviamente a beatificazione avvenuta, una sua statua dentro la chiesa di Sant’Eusebio, in aggiunta al monumento situato all’esterno, eretto due anni dopo la sua scomparsa.

Soprattutto, ho trovato spontaneo invocarlo per la situazione politica nel Myanmar. Alla sua epoca, aveva avuto a che fare con una dittatura di tipo staliniano, che aveva incamerato i beni e le opere dei missionari stranieri. Lui e altri trenta del PIME avevano potuto restare solo perché entrati nel Paese prima del 1948, anno della proclamazione dell’indipendenza.

Secondo quanto ha commentato padre Mario Ghezzi, anche lui del PIME, da poco nominato direttore del mensile e del sito AsiaNews, padre Clemente, con la sua presenza, rendeva visibile la luce che viene dall’annunciare il Vangelo anche quando le circostanze sembrano meno favorevoli. Per certi versi, allora, io aggiungerei che i giovani impegnati oggi nelle proteste, molto spesso affiancati da religiosi e religiose, sono i suoi eredi; magari i loro parenti sono stati tra le migliaia di orfani a cui lui donava ogni giorno tutto sé stesso.

 

Cosa c’entra con san Giuseppe?

 

Non mi è stato possibile riscontrare qualche segno di particolare devozione verso san Giuseppe da parte di padre Clemente. Un breve cenno è presente nella lettera del 9 aprile 1923 all’amico don Pietro Bertocchi, quando scrive che il giorno della sua festa – era ancora diacono – fu incaricato di tenere un panegirico in suo onore: gli venne la tremarella, ma poi parlò per circa venti minuti.

Impegnato com’era a cercare Provvidenza per i suoi orfani, penso proprio che abbia fatto ricorso a lui, come tanti altri personaggi che si sono dedicati pienamente a garantire loro un futuro, ma anche un presente il più sereno possibile.

 

Il suo Vangelo

 

Il Beato Clemente ha incarnato un Vangelo di gioia esplosiva, poco tollerata dagli educatori austeri con cui ebbe a che fare, ma compresa da altri che l’ebbero vicino, come don Giulio Facibeni, futuro fondatore dell’Opera della Divina Provvidenza Madonna del Grappa di Firenze (Venerabile dal 2019): lo conobbe quando militava nell’80° Fanteria e, scrivendo il 12 giugno 1920 al Rettore del Seminario per le Missioni Estere di Milano, affermò che  il «buon umore ambrosiano» di cui era dotato spesso nascondeva le sue lotte interiori e non era, come poteva sembrare, spensieratezza, quanto espressione della serenità della sua anima.

In effetti, il missionario affrontò moltissimi momenti difficili, ma riuscì a essere un consolatore, un padre, un nonno per tantissimi orfani, che costituivano la sua delizia più grande, ma che era anche pronto a lasciar andare perché prendessero una strada autonoma.

Mai scontento di sé, invitava i suoi interlocutori a seguire il proprio esempio, così da attenuare almeno, se non da sconfiggere, la tristezza e la preoccupazione. Nella lettera del 14 gennaio 1960 all’amico Pietro Migone, che stava attraversando un momento difficile, scrisse concetti che si ritrovano anche nei suoi articoli per la stampa missionaria:

La vita è bella solo se la si dona, se la si logora nel far del bene. Non è che tutto il resto sia insignificante, ma insomma, non è il centro del nostro vivere, non appaga. Fare la volontà di Dio è cooperare al nostro bene, quaggiù e lassù.

Mi sembra che sia un comportamento tipico dei missionari del suo Istituto, che ho ritrovato, oltre che nell’intervista sopra citata a padre Ghezzi, in un recente collegamento video con un suo confratello nativo della mia parrocchia, il vescovo di Santo Amaro in Brasile monsignor Giuseppe Negri (del quale raccontavo qui).

 

Per saperne di più

 

Ennio Apeciti, La vita è bella se donata con gioia – Vita del beato Clemente Vismara, sacerdote e missionario del PIME, Centro Ambrosiano 2011, pp. 144, € 8,00.

La biografia uscita per la beatificazione, curata dal responsabile del Servizio delle Cause dei Santi della diocesi di Milano, Delegato vescovile anche per la causa di padre Clemente.

 

Piero Gheddo, Fare felici gli infelici – Il segreto della vita lunga e vittoriosa di Clemente Vismara, missionario beato, EMI 2014, pp. 272, € 16,00.

Promotore e divulgatore della storia del suo confratello, padre Gheddo, tre anni prima di morire, diede alle stampe questo libro, sintesi e arricchimento dei suoi precedenti lavori su di lui.

 

Altro materiale, ormai fuori catalogo o esaurito, può essere consultato dietro richiesta presso la biblioteca del Centro Missionario PIME di Milano.

 

Su Internet

 

Sito dell’associazione Amici di Padre Clemente, di Agrate Brianza



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