Antonietta Capelli, come una voce che apriva la via a Dio

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Chi è?

 

Antonietta Capelli nacque a Milano il 23 settembre 1896, secondogenita di Adriano Cappelli (all’anagrafe, il cognome della bambina fu scritto con una sola “p”) e Agnese Teresa Giusti. Nel 1902 si trasferì a Parma, dove suo padre, paleologo, era stato nominato direttore dell’Archivio di Stato. Bambina irrequieta e vivace, si placò verso i nove anni, trovando attrattiva per le immagini sacre e immergendosi sempre più nella preghiera.

Il 25 marzo 1910, Venerdì Santo, Antonietta si trovava nella chiesa di San Rocco a Parma, per la celebrazione della Passione del Signore: fu allora che nel suo spirito sentì una speciale chiamata a salvare le anime. Cominciò dalla domestica di casa, allargandosi poi alle compagne di scuola e alimentando la propria formazione come membro dell’Azione Cattolica.

Il 13 luglio 1923 si laureò in Medicina e Chirurgia, quindi vinse il concorso per Aiuto nella Clinica Neuropsichiatrica dell’Università di Parma: fu una delle prime donne medico neuropsichiatra in Italia. Nello stesso anno, avviò i Convegni di Cultura Religiosa, per riavvicinare alla fede professori e intellettuali, a cui si aggiunsero i Corsi di aggiornamento per il Clero.

Il 1° novembre 1927 si dimise dalla Clinica, per darsi interamente all’opera di evangelizzazione, che ebbe numerosi frutti di conversioni e vocazioni al sacerdozio. Il 20 novembre dello stesso anno iniziò a fare vita comune con le prime tre compagne, Nerina Balestrieri, Laura Frassineti e Dina Crotti, presso Villa Maria, a Campomorone di Genova, dono del conte Ernesto Lombardo, conosciuto tramite padre Agostino Gemelli e Armida Barelli (beatificata nel 2022). Quello fu l’inizio dell’Istituto di San Giovanni Battista, che ottenne il decreto diocesano di erezione il 29 novembre 1930.

L’attenzione di Antonietta per le vocazioni adulte, molte delle quali erano avvenute grazie ai Convegni di Cultura Religiosa, la condusse a pensare a una congregazione maschile, la Congregazione Sacerdotale San Giovanni Battista Precursore, diventata immediatamente, ovvero il 24 giugno 1959, di diritto pontificio, senza passare per l’approvazione diocesana. L’Opera Capelli, com’era più nota, contribuì anche al recupero di molti sacerdoti in crisi.

Tuttavia, Antonietta fu praticamente estromessa dal governo della Congregazione maschile; inoltre, nel 1968 fu impedito a lei e alle congregate dell’altro Istituto di occuparsi dei sacerdoti in difficoltà. Accettò tutte quelle decisioni con spirito di obbedienza.

Negli ultimi tre anni di vita Antonietta fu colpita da una malattia cardiocircolatoria, che l’obbligò a risiedere a Villa Lazzarini, una delle case dell’Istituto femminile, a Passo di Treia, in provincia e diocesi di Macerata. Morì in quel luogo il 13 luglio 1974.

La prima sessione del processo diocesano della sua causa di beatificazione e canonizzazione, volta a indagare l’eroicità delle sue virtù, si svolse il 6 ottobre 2023 a Genova, città e diocesi cui Antonietta fu molto legata. I suoi resti mortali riposano nel cimitero di Treia, precisamente nella cappella funeraria Bordoni Vici.

 

Cosa c’entra con me?

 

Credo proprio che il mio primo contatto con Antonietta sia avvenuto leggendo, anzi, riprendendo la lettura per farne un post, una biografia del Venerabile Enzo Boschetti (di lui ho parlato qui): vedere che lui, nel suo diario spirituale, ringraziava Dio per avergli messo sulla sua strada l’Opera da lei fondata (monsignor Carlo Allorio, vescovo di Pavia, l’aveva indirizzato lì, precisamente a Villa Grazia, situata a Giogoli, dopo la sua uscita dai Carmelitani Scalzi), mi aveva fatto incuriosire parecchio.

In effetti, ho più volte letto di donne che avevano avviato opere per i sacerdoti o che pregavano per essi, ma si trattava soprattutto di religiose: vedere che si parlava di una “dottoressa” mi aveva condotta a pensare che fosse una laica, anche se non consacrata. 

Le scarne note che avevo trovato su di un forum ora non più online, per il momento, avevano appagato la mia curiosità. Lo scorso ottobre, però, mentre consultavo l’Agenzia SIR, ho scorto un lancio che annunciava l’apertura del processo diocesano su vita, virtù e fama di santità di Antonietta. Lei mi è subito tornata alla mente, ma non mi sentivo ancora di approfondirne la conoscenza.

L’impulso è venuto quando ho notato che, sull’Enciclopedia dei Santi, Beati eTestimoni, era stato pubblicato il medesimo lancio d’agenzia. Ho subito sentito dentro di me che una figura tanto poliedrica come la sua non andasse ridotta a quelle poche righe, tanto più che, a parte quelle informazioni lette sul forum, non circolava molto sul suo conto.

Ho proseguito le ricerche, magari per verificare se la sua Opera avesse un sito o comunque dei contatti, ma ho trovato solo un riferimento sul sito della Vita Consacrata in Liguria e uno su quello della diocesi di Parma, dove ho rintracciato l’Editto della causa. L’11 ottobre, quindi, ho telefonato alla casa madre di Campomorone-Genova: mi è stato risposto che dovevo rivolgermi alla casa generalizia di Parma.

Nel frattempo, scoprire che Antonietta era nata ed era stata battezzata a Milano, ma anche che vi aveva vissuto fino al 1902, quindi un tempo piuttosto lungo, mi aveva portato a domandarmi perché l’Editto non fosse stato pubblicato anche sul Portale della mia diocesi. In ogni caso, dovevo includerla tra i personaggi esemplari legati in vario titolo a Milano (qui l’elenco, in costante aggiornamento).

Per risolvere quel dubbio e chiedere il controllo del testo che avevo iniziato ad abbozzare, ho scritto all’indirizzo di posta elettronica che mi era stato fornito dalla casa madre. La mia richiesta è stata girata a una congregata (le consacrate dell’Istituto femminile si chiamano così), la quale ha rivisto il mio testo e ha risposto alle domande che mi erano venute durante la stesura.

Ho colto l’occasione per chiederle di spedirmi la biografia più recente di Antonietta e i suoi santini, impegnandomi sia a non farli ammuffire in qualche mio scatolone (e a non pentirmi se la sua causa progredisse e io ne avessi ancora parecchi), sia a non rendere la sua vicenda in modo bidimensionale, come appunto è un’immaginetta.

Ho fatto proprio bene: sia quel libro, sia un altro più piccolo, nonché l’opuscolo dal quale erano stati tratti i testi che avevo trovato online, mi hanno permesso di conoscere meglio Antonietta e di capire che tra me e lei intercorrono alcune affinità.

Credo che la principale sia il desiderio di soccorrere i sacerdoti, sorto per entrambe in età giovanissima. Nel mio caso, è iniziato quando, da bambina, avevo saputo che uno dei preti della mia parrocchia si faceva spesso male durante la gita sulla neve con l’oratorio, ma si è reso presente in modo più forte a diciannove anni, quando, fresca di maturità classica, ho appreso che un altro sacerdote (lo stesso che mi aveva accompagnata negli anni del liceo, sempre in oratorio) aveva lasciato il ministero. Il dolore è peggiorato quando ho scoperto che a noi ragazzi era stata raccontata una bugia: non se n’era andato per servire meglio gli ultimi, ma perché aspettava un figlio.

Per Antonietta, invece, è accaduto da adolescente, quando ha cominciato a cercare un direttore spirituale e, dopo averlo trovato, si è accorta che lui era in peccato mortale. Non so cos’avrei fatto, se fossi stata al suo posto: lei, invece di rompere i legami, ha aspettato e ha pregato per lui. Alla fine gli ha consegnato una lettera: leggendola, il sacerdote (del quale Antonietta non ha mai rivelato il nome, per riservatezza) ha capito il suo peccato.

Credevo di aver vissuto la maternità spirituale anche per quei miei amici che avevo conosciuto da seminaristi, ma alcuni di essi, da sacerdoti, hanno finito col cadere in faccende brutte. Per questo mi sono impegnata, con quelli che hanno perseverato, a non disturbarli se non in rare occasioni durante l’anno.

Antonietta ha potuto svolgere questo compito anche tramite le competenze acquisite sul campo medico, che le sono tornate utili quando ha capito che non poteva più continuare a lavorare alla Clinica Universitaria, anche se il suo superiore le concedeva tutti i permessi necessari per allontanarsi per motivi di apostolato.

Proseguendo con la lettura, ho ammirato ancora di più la discrezione con cui lei organizzava i Convegni di Cultura Religiosa: non faceva affatto pubblicità, ma accostava personalmente sia quanti potevano trarne beneficio (e in molti casi avveniva), sia i relatori da invitare. Con lo stesso stile ha vissuto la consacrazione religiosa e ha insegnato alle prime compagne come viverla; tra l’altro, le congregate dell’Istituto di San Giovanni Battista sono religiose, ma non portano l’abito né alcun segno distintivo, proprio per avvicinare meglio le persone refrattarie all’insegnamento della Chiesa.

Dev’essere per questa ragione che, oggi, l’Istituto femminile e la Congregazione Sacerdotale non hanno un sito ufficiale né presenze sui social media: del resto, non credo che Antonietta, se fosse viva oggi, avrebbe qualche account. Nemmeno, mi pare di capire, lei voleva che le conversioni venissero raccontate, come anche l’aiuto donato alle vocazioni adulte.

Mi ha poi meravigliato come, a partire dall’esperienza del 25 marzo 1910, Antonietta si sia costantemente sentita guidare da una «parola senza suono», come la chiama nell’Autobiografia. L’esperienza mi ha insegnato che non devo pensare, quando incontro vicende così, solo all’aspetto eccezionale (voci, apparizioni, segni esteriori come le stigmate): principalmente, devo vedere quali frutti hanno prodotto. Nel caso di Antonietta, quella parola o voce l’ha guidata molto, donandole anche il patrono dell’opera che doveva avviare: san Giovanni Battista, il Precursore di Gesù.

Mi viene da immaginare che monsignor Guido Maria Conforti, vescovo di Parma (canonizzato nel 2011), che si era offerto di aiutarla da subito, sperasse che avrebbe adottato san Francesco Saverio, così l’avrebbe coinvolta nella fondazione del ramo femminile dei Missionari Saveriani. Alla fine, quel sogno si è realizzato molti anni dopo, grazie a Celestina Bottego (della quale ho scritto qui, attualmente Venerabile e a padre Giovanni Spagnolo, uno dei suoi Saveriani.

Quello con monsignor Conforti è solo uno dei legami che lei aveva con molte personalità di spicco della Chiesa del suo tempo: per limitarmi a quelle che c’entrano anche con me, penso a padre Mario Venturini, ai Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, alla Beata Armida Barelli (i loro percorsi di vita sono al tempo stesso simili e diversi) e al già citato Venerabile Enzo Boschetti (che peraltro riuscì a salutarla il 20 giugno 1974, un mese prima della morte), per non parlare dei Papi san Giovanni XXIII e san Paolo VI.

Avendo ricevuto il materiale su Antonietta proprio all’inizio dell’Avvento ambrosiano, mi era venuta l’idea di parlare di lei nella Corona d’Avvento dei Testimoni, ossia il ciclo di post, uno per settimana d’Avvento (romano, per essere più universale), che dedico a personaggi nei quali ravviso una spiritualità connotata dal mistero dell’Incarnazione e del Natale. Nel suo caso, il collegamento era più con la figura del Battista, che è presente in molti dei Vangeli d’Avvento. Però ho rimandato all’anniversario tondo dei cinquant’anni dalla sua morte, così da venire più incontro all’attualità.

                                                                                                                   

Il suo Vangelo

 

Antonietta ha vissuto il Vangelo facendosene portavoce subito, non appena aveva avuto l’uso della ragione; fu aiutata in questo sia dalla sua famiglia, sia dalla sua vivace intelligenza. Non si è mai fermata di fronte a nessun limite, fosse l’età troppo giovane o il fatto di essere una donna: una delle prove a cui era andata incontro, quando stava ancora pensando alla congregazione maschile, era proprio vedersi criticata perché una donna non poteva pensare di fondare qualcosa per uomini consacrati.

Inoltre, non si è limitata alle buone intuizioni, ma si è impegnata a dare corpo a esse, con l’aiuto di molti amici, “lunga mano” della Provvidenza divina. Il suo stile di carità è stato un bene che non faceva rumore, almeno in prima battuta: l’effetto che ha causato si è visto nel recupero di tanti sacerdoti, ma anche nella formazione di quei laici convinti che la Chiesa non avesse nulla da dire loro.

Nella sua Autobiografia ha raccontato come sia arrivata a capire cosa Dio volesse da lei, anche a costo di qualche difficoltà, ma anche domandando, con tenace insistenza, dei segni a conferma della coincidenza tra il suo volere e quello divino.

È successo così anche quando non riusciva a trovare né la casa, né i conferenzieri per il primo Convegno di cultura religiosa: dopo molta preghiera, culminata in un caldo giorno di luglio, precisamente il 21 luglio 1923 (il 21 è un po’ il numero speciale per Antonietta: il 21 dicembre 1916 emise il voto di castità perpetua, mentre il 21 novembre 1927 fu celebrata la prima Messa nella prima casa dell’Istituto femminile), il segno le è arrivato tramite un telegramma, ricevuto dalla segretaria di Armida Barelli, che prima non conosceva: padre Gemelli, inizialmente restio, aveva accettato di essere uno dei conferenzieri, dopo aver parlato di quell’iniziativa con papa Pio XI.

Antonietta conclude il racconto di quell’evento, in cui riconobbe l’intervento divino, con queste parole:

Oh, come bisogna perseverare in preghiera e in umile attesa e come, prima di rinunciare a un progetto del quale i Superiori hanno giudicato che possa tentarsi l’esecuzione, bisogna fare quanto sta in nostro potere onde aprire la via all’esecuzione di esso!

«Aprire la via»: esattamente la missione con cui san Giovanni Battista aveva preparato la venuta di Gesù.

 

Per saperne di più

 

Donatella Dresda (a cura di), Il fuoco bruciante di una chiamata – Antonietta Capelli – Un medico al servizio della Verità, Paoline 2018, pp. 208, € 14,00.

Biografia basata principalmente sull’Autobiografia di Antonietta e sulla prima biografia scritta da Angela Lagostena, che le succedette alla guida dell’Istituto femminile.

 

Informazioni e relazioni di eventuali grazie ricevute possono essere richieste alla casa generalizia dell’Istituto San Giovanni Battista, Strada Gaione 31, 43124 Parma (PA); telefono 0521648180; e-mail isgb.operacapelli@libero.it.

 


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