Terra Santa 2014 #2: a Gerusalemme, tra eccesso e santità (seconda parte)




Proseguo il mio racconto di viaggio con il secondo giorno trascorso a Gerusalemme, nel quale ho fatto un nuovo incontro che mi ha fatto ricordare uno dei miei Testimoni preferiti, ripensato a come convertire gli aspetti più duri del mio carattere, vissuto un concerto spettacolare e ricevuto un inatteso incoraggiamento. Come al solito, dove non specificato le foto sono opera mia. Partiamo?

Martedì 5 agosto
Attaccando bottone prima della Messa

Anche quel giorno si è aperto con la Messa nella Cappella del Santissimo della Basilica del Santo Sepolcro. Mentre cercavo posto a sedere, ho adocchiato una suora che aveva, tra i suoi libri di meditazione, un testo che mi sembrava di aver già visto: si trattava di Hasta la cumbre, di don Pablo Domínguez Prieto. Mi sono seduta accanto a lei, poi, cercando di mettere insieme qualche parola in spagnolo, ho indicato il libro. La religiosa, che si chiamava suor Fermina, apparteneva alle Francescane Missionarie di Maria, uno dei numerosi istituti e congregazioni che conosco (magari potrei parlare della sua Fondatrice o di qualche altra figura importante); si trovava anche lei a Gerusalemme per un pellegrinaggio, dato che al momento risiede in Paraguay.
Quanto al libro, ha detto che le piaceva tantissimo e che sperava, un giorno, di vedere beato o santo il suo autore, esortandomi a pregare perché ciò avvenga. La mia naturale prudenza mi ha portata, invece, a chiedere che sempre più persone, entrate in contatto con la storia di quel sacerdote spagnolo tramite il libro o il film L’ultima cima, rivalutino la propria considerazione circa i preti o comprendano come amare meglio il Signore. Se poi un giorno partisse il processo canonico su di lui e avesse buon esito, tanto meglio.

11:00 – Il pentimento di san Pietro e il mio

La visita della mattina aveva come meta la chiesa di San Pietro in Gallicantu, dove si fa memoria del pentimento, più che del triplice rinnegamento, di san Pietro e della prigionia di Gesù, forse in una delle cisterne conservate sotto l’edificio.
La mia riflessione si è soffermata sul fatto che al peccato, fosse anche il più grave, va necessariamente opposto un pentimento profondo, perché Gesù attende una risposta positiva da parte nostra. Ho ripensato, quindi, a tutte quelle storie di convertiti che, dopo essersi sentiti guardati da Lui tramite un’opera d’arte o altro, hanno sentito lo stimolo a cambiare.
Io per prima devo smussare le asperità del mio caratteraccio, imparando a rispondere a chi mi offende nel modo più pacato possibile o, se ci riesco, a tacere, esattamente come fece il Signore di fronte a quelli che lo accusavano; dopotutto, Lui ha sofferto ben più di me.

16:00 – Un, due, tre, prova!

Finalmente era venuto il momento del primo dei due concerti previsti nel corso del pellegrinaggio. L’auditorium del Pontifical Institute Notre Dame of Jerusalem Center è forse uno dei posti più lussuosi dove abbiamo mai suonato, anche se la collocazione in cui ci siamo sistemati sul palco non era molto comoda. L’orario d’inizio era stato fissato per le 17, ma dovevamo fare un po’ di prove per ripassare i canti e controllare l’acustica.

18:00 – Sing for peace

Dopo i necessari preparativi e l’abituale discorso esortativo da parte di don Bortolo, siamo saliti sul palco. Avevamo con noi la maglietta rossa che è stata pensata come segno distintivo del nostro viaggio, ma eravamo d’accordo che l’avremmo indossata prima dei bis, al momento di cantare Sing for joy, brano composto per l’occasione e ispirato al Salmo 100.
Per far comprendere i nostri pezzi al pubblico, molto esiguo ma entusiasta (applaudiva dopo ogni brano, nonostante il don, come ogni volta, avesse raccomandato di battere le mani al termine di tutto), a ciascuno di essi è stata premessa una piccola introduzione in lingua inglese.
Sette anni fa, quando ho mandato un’e-mail al direttore Filippo per entrare in Shekinah, non avrei mai immaginato che sarei arrivata fino laggiù. Ho visitato parrocchie, oratori, centri culturali, visto comunità diverse dalla mia, ma quella che avevo di fronte meritava un sovrappiù di intenzione positiva, di occhi, di sorriso, appunto per la questione della difficoltà linguistica.
Sulla pagina Facebook del Notre Dame c’è un filmato del nostro canto Voce di lode; purtroppo, essendo ancora un po’ impedita con trucchi smanettoni, non riesco a condividerlo qui. Non sarà come sentirlo dal vivo, ma almeno così vi fate un’idea o, se siete miei compagni, ripensate a quello che abbiamo provato nell’eseguirlo. Eccolo!

20:00 – Un messaggio pieno d’affetto

Il concerto è andato veramente molto bene. Le consacrate che partecipavano al viaggio con noi ci hanno riferito che moltissimi del pubblico si sono complimentati con loro, affermando che grazie a noi avevano trascorso un’oretta di Paradiso. Quella considerazione mi ha colpita sul vivo: mi sembrava di stare prendendo eccessivamente sottogamba la vita della gente di Gerusalemme, perennemente in stato di allerta. Io, invece, non perdevo l’occasione di scherzare con gli altri, intonando canzoni dei cartoni animati o chiacchierando di scemenze, invece di stare in silenzio e, al massimo, di confidare a qualcuno quello che provavo dentro di me.
Appena ho riacceso il telefonino, mi è arrivata, via SMS e solo in parte, la risposta di un mio amico a un messaggio in cui mi raccomandavo alle sue preghiere ed esprimevo il timore che non l’avrei mai più rivisto su questa terra. Lui, invece, mi rassicurava che sarebbe andato tutto bene e che Gesù, per il coraggio che avevamo dimostrato nel decidere di calpestare ugualmente la Sua terra, ci avrebbe donato la Sua carezza.

Due parole su cibo e alloggio
Hummus... come avremmo fatto senza di te? (fonte)

Per concludere questo secondo post ho pensato di descrivere brevemente il posto dove stavamo a dormire e come facevamo a nutrirci.
Per abbattere i costi, è stato scelto di farci alloggiare alla Casa Maria Bambina, che un tempo era un orfanotrofio gestito dai Frati Minori della Custodia di Terra Santa. La struttura rispecchiava pienamente la sua precedente destinazione: io e sei mie compagne, ad esempio, dormivamo in una grossa camerata, mentre gli altri avevano camere da due o tre letti.
Dalla terrazza si poteva godere una meravigliosa vista della città, tanto che alcuni di noi, l’ultimo giorno a Gerusalemme, si sono alzati prestissimo per poter ammirare l’alba. Perlopiù l’abbiamo sfruttata per stendere il bucato, per un po’ di riposo o per le prove precedenti al concerto al Notre Dame.
Quanto ai pasti, la colazione e il pranzo erano a base di pane arabo, ben diverso da quello che vediamo alle nostre latitudini, farcito con tutto quello che la fantasia e le provviste a nostra disposizione potevano fornirci: marmellate con gusti mai visti (le mie preferite: fichi e zenzero), insaccati incredibili ma deliziosi (ribattezzati “salame d’oca” e “tacchino con l’henné”, quest’ultimo così detto perché aveva i bordi delle fette tinti di rosso) e, su tutti, il formaggio labneh e il compagno di mille pranzi, lo hummus.
A cena, invece, eravamo ospitati dal ristorante della Casa Nova dei Francescani. Anche lì avevamo di fronte pietanze insolite, come brodini di cui ogni sera cercavamo d’intuire la composizione e salsine come quella alle melanzane affumicate. C’erano anche carni e verdure, va detto. Nessuno di noi ha avuto grossi problemi, quindi state tranquilli!

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