Carlo Acutis: Eucaristia, autostrada per il cielo – Intervista immaginaria (ma non troppo) ad un “santo 2.0”

 

La copertina del numero di marzo
di Sacro Cuore VIVERE

A partire dal numero di gennaio 2025, l’intervista nella rubrica Testimoni della fede della rivista Sacro Cuore VIVERE non è più a qualche personalità famosa, ma segue lo schema dell’intervista impossibile o immaginaria che dir si voglia. 

Il direttore me ne ha commissionata almeno una: ho fortemente voluto che fosse a Carlo Acutis e che andasse nel numero di marzo, nell’imminenza della sua canonizzazione. Quando la malattia di papa Francesco è sopraggiunta, la rivista era ormai in stampa e non era più possibile pensare a un piano B: naturalmente, quando il Papa è morto, il paragrafo introduttivo non andava più bene.

Avevo già in animo di ripubblicare l’intervista qui il 26 aprile, ma naturalmente non ho potuto farlo, essendo stata la canonizzazione sospesa. Lo faccio quindi ora, alla vigilia immediata della nuova data e quasi sulla scia di un altro dialogo immaginario ma non troppo, questa volta tra Carlo e Gesù medesimo, scritto dal mio arcivescovo.

 

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Quella di Carlo Acutis è una delle meraviglie più incredibili che Dio ha fatto sorgere nella Chiesa negli ultimi tempi. Non si può restare indifferenti di fronte alla fede e all’entusiasmo di questo ragazzo, nato a Londra il 3 maggio 1991 e morto a Monza il 12 ottobre 2006, che in brevissimo tempo arriverà al massimo onore degli altari: la sua canonizzazione si svolgerà infatti a Roma il 27 aprile, in occasione del Giubileo degli Adolescenti [rinviata a domenica 7 settembre, ndr].

Se fosse ancora fra noi, sicuramente avrebbe rilasciato più di un’intervista in cui si sarebbe raccontato, parlando di cosa animava profondamente la sua vita. Abbiamo provato a immaginare come si sarebbe espresso, basandoci sugli episodi raccontati nelle sue biografie e sulle testimonianze di sua madre.

 

Che ricordi hai della tua infanzia?

Ricordo che ero molto piccolo quando sono entrato per la prima volta in una chiesa. Mi colpivano le luci, le statue, le candele e quella lampada rossa vicina all’altare. Ho iniziato a tempestare di domande sulla storia di Gesù la mia tata, Beata Sperczynska, ma anche mamma e papà: con quegli interrogativi, seppure fossi così piccolo e inconsapevole, stavo contribuendo a risvegliare la fede dei miei genitori.

Cos’hai provato il giorno della tua Prima Comunione?

Volevo a tutti i costi ricevere l’Eucaristia, ma ero ancora troppo piccolo rispetto all’età prevista. Monsignor Pasquale Macchi, che era stato segretario di papa Paolo VI, ha garantito di persona che ero pronto per la Prima Comunione: avevo compiuto da poco sette anni.

Quel 16 giugno 1998 è stato uno dei giorni più belli della mia vita. La celebrazione si è svolta nel raccoglimento della chiesa delle Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio in Nemus, a Bernaga di Perego. Sono rimasto affezionato a quelle monache, le quali mi volevano anche loro un gran bene: ricordavano ancora, a distanza di anni, che quel giorno ero veramente felice, quasi raggiante.

Da allora hai iniziato a ricevere la Comunione tutti i giorni, sia quand’eri a casa tua a Milano, sia quando eri in vacanza.

Ero convinto che per avere più Grazia occorre essere assidui nel sacramento dell’Eucaristia. Del resto, Gesù ha voluto rendersi presente lì perché ci ha amati fino al dono di sé: chi più di un Dio che si offre a Dio, infatti, può intercedere per noi? Francamente, mi rattristava il fatto che migliaia di giovani e meno giovani riempissero gli stadi per partecipare a qualche concerto, oppure facessero la coda per procurarsi un telefonino di ultimo modello, mentre nelle chiese, accanto a Gesù, non c’erano folle oceaniche.

In fin dei conti, noi oggi siamo più fortunati di quelli che vissero duemila anni fa insieme a Gesù, perché loro per trovarlo e stargli accanto dovevano spostarsi continuamente, mentre noi abbiamo Gesù presente realmente sempre con noi: basta scendere sotto casa nella chiesa più vicina (e io abitavo davvero vicinissimo alla mia parrocchia, santa Maria Segreta).

Questa è anche la ragione per cui, pur avendo visitato tanti santuari in Italia e non solo, quando mi è stato offerto un pellegrinaggio a Gerusalemme, ho rifiutato: non ne sentivo il bisogno, dato che potevo visitare Gesù in una qualsiasi chiesa.

Riuscivi sempre a concentrarti?

Be’, ammetto che i primi tempi facevo un po’ fatica, perché tendevo a distrarmi. Mi sono fatto aiutare da alcuni sacerdoti, come don Ilio Carrai, che era diventato il padre spirituale di mia mamma, oppure il mio parroco, monsignor Gianfranco Poma. Pensate che il mio primo incontro con lui, che era appena arrivato in parrocchia, è avvenuto proprio davanti al Tabernacolo.

Davanti a Gesù portavo tutta la mia vita di figlio, di alunno, di sportivo, di amico, di compagno. Pensavo che fosse bellissimo non dovergli mai chiedere udienza con preavviso. Potevo sempre confidargli qualcosa, chiedergli aiuto o anche lamentarmi. Nell’essere unito a Gesù come il tralcio alla vite ho trovato il mio programma di vita.

Naturalmente il primo ambito della tua vita era rappresentato dalla tua famiglia: raccontaci qualcosa di come vivevi in casa.

Sapevo che il mio primo impegno era non far dispiacere i miei genitori, quindi cercavo di obbedire e di essere pronto quando mi chiamavano. Protestavo solo quando mi veniva regalato qualche vestito nuovo, o un altro paio di scarpe: pensavo che sarebbe stato meglio se avessero donato quei soldi ai poveri. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia benestante, ma dei beni terreni mi curavo poco: pensavo che rispetto ai soldi, che sono carta straccia, contasse di più la nobiltà d’animo.

Avevo un ottimo rapporto col nostro domestico, Rajesh Mohur: per me era anche un compagno di giochi e un aiuto nel visitare i poveri del mio circondario, a cui portavo da mangiare, o per i quali compravo dei sacchi a pelo. In più gli mostravo le mie ricerche e i miei approfondimenti sulla fede: sono stato veramente felice quando mi ha chiesto di aiutarlo a diventare cristiano.

Amavo poi molto gli animali, a cominciare da Briciola, Stellina, Chiara e Poldo, i quattro cani di casa. Anche loro erano miei fedeli compagni, nonché soggetti dei video amatoriali che giravo per gioco. Avevo anche due gatti e alcuni pesci rossi; in più, mi prendevo cura di qualche animale smarrito.

Che aiuto cercavi di dare invece alla tua comunità cristiana?

Il mio parroco aveva moltissima fiducia in me, quindi mi sentivo libero di avanzare anche qualche proposta apparentemente ardita. Un giorno, per esempio, gli ho chiesto di poter progettare un sito Internet per la nostra parrocchia: così sarebbe stato più facile trovare gli orari delle celebrazioni, ma non solo. Monsignor Poma mi diede il suo benestare, affiancandomi a uno studente del Politecnico di Milano.

Oltre ad occuparmi del sito, ero diventato aiuto catechista. Mi piaceva stare con i ragazzi più piccoli, pensando che ero una via di mezzo tra gli adulti e loro: in questo modo, loro avrebbero imparato più in fretta come essere veri amici di Gesù.

E a scuola, invece, come ti comportavi?

Ammetto di aver fatto spazientire molte volte la suora preside dell’istituto Tommaseo, dove ho studiato alle medie, e mi sono meritato più di una nota perché facevo il “buffone” con i miei compagni. All’esame di terza media ho preparato la presentazione delle tesine di molti di loro, prestandomi ad aiutarli.

Alle superiori, precisamente al liceo classico dell’istituto Leone XIII, diretto dai Gesuiti, cercavo di contenermi, ma esplodevo solo in alcuni casi: quando sostenevo le posizioni della Chiesa sull’aborto, sul matrimonio e sulla pornografia, ma anche quando notavo che venivano presi di mira i miei compagni più deboli. Purtroppo, anche in una scuola come quella, c’era un notevole disinteresse per gli argomenti di fede e, comunque, mi sembrava che gli altri studenti credessero che c’entrassero poco con la loro vita.

Anche lì ho usato le mie conoscenze informatiche per qualche progetto. L’ultimo a cui ho messo mano è stato un lavoro sulle attività di volontariato dell’istituto, ma non l’ho presentato in classe perché ero già malato.

Cosa puoi dirci della tua passione per il computer, grazie alla quale molti ti vorrebbero patrono di Internet?

Già a nove anni avevo cominciato a leggere testi informatici solitamente usati in ambito universitario. Di conseguenza, non ero un semplice utilizzatore, ma avevo imparato anche a essere un programmatore. Lo studente del Politecnico col quale ho progettato il sito di Santa Maria Segreta diceva che da una parte lo stupivo, dall’altra lo spronavo a migliorarsi sul piano tecnico. Cercavo di condividere le mie conoscenze con alcuni amici, che però non comprendevano cose che per me erano diventate scontate.

Mi piacevano anche i videogiochi, ma mi ero dato un tempo massimo di utilizzo: non più di un’ora a settimana. Questo sia per evitare di ammalarmi, sia per non avere uno sguardo spento, come a volte succede a chi abusa di questi passatempi.

I ragazzi della tua età, anche oggi, hanno altri interessi, o si lanciano nelle prime esperienze amorose.

Quando mi chiedevano se avessi la fidanzata, non ero affatto contento: pensavo che fosse ancora presto perché ci pensassi. Al contrario, molti miei coetanei si comportavano da adulti prima del tempo. Non potevo fare altro che pregare e far pregare per loro, come anche per i miei compagni che, invano, volevano portarmi in discoteca: il mio Angelo Custode mi aveva indicato, con segni molto forti, di starne alla larga.

A casa, quando vedevo qualche programma in tv con scene che mi mettevano in imbarazzo, mi coprivo gli occhi con la mano, o chiedevo di cambiare canale. Un’altra volta, in piscina ad Assisi, ho protestato col bagnino perché due ragazzi amoreggiavano senza ritegno, persino di fronte a dei bambini piccoli. Solo una volta, per consolare una mia compagna di classe, le ho dato un bacio sulla guancia. Posso quindi affermare che la Madonna era l’unica donna della mia vita.

Quindi come nel “sogno delle due colonne” di san Giovanni Bosco: l’Eucaristia da una parte, la Madonna dall’altra.

«L’Eucaristia è la mia autostrada per il cielo», dicevo spesso. Quando si pensa a un’autostrada, viene in mente una via larga, spaziosa, con tante corsie, che permette di arrivare rapidamente a destinazione. Quando ho capito che la nostra meta non doveva essere il finito, ma l’Infinito, non ho fatto altro che mettermi su questa strada.

La Madonna non fa altro che indicarla, anche a voi oggi. L’ho capito sin da quando la tata mi ha insegnato a pregare il Rosario, ma me ne sono reso ancora più conto visitando tanti santuari e studiando gli appelli contenuti in molte apparizioni. Il momento del Rosario era come il mio “appuntamento galante” con la Madonna, a cui spesso si univa anche mia madre.

A queste due colonne spirituali affiancavo le basi della mia formazione spirituale, come ho scritto in un appunto sulla mia agenda: il disegno di una casetta posata sulle parole “cuore”, “testa”, “corpo”, “volontà”. Ho fatto del mio meglio per tenere in equilibrio questi elementi veramente fondamentali.

Come ti è venuta l’idea delle mostre virtuali, poi diventate a pannelli?

Mi hanno ispirato le mostre del Meeting di Rimini, ma l’idea ha preso corpo durante il mio compito di aiuto catechista: mi ero accorto che i ragazzi, spesso, arrivavano alla Cresima per nulla sicuri che nell’Eucaristia ci fosse Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Ho iniziato quindi a fare qualche ricerca sui miracoli in cui l’Ostia consacrata è diventata carne oppure ha sanguinato. Coglievo ogni occasione possibile per documentarmi, sia attraverso i libri, sia nei primi siti Internet, ma soprattutto durante le vacanze.

Oltre a questa mostra e a quella sugli appelli della Madonna, ho realizzato un sito su Inferno, Purgatorio e Paradiso, basandomi sui racconti di tanti Santi e mistici. Nulla di nuovo nei contenuti, ma il mezzo, quello sì che era moderno!

Nel settembre 2006, ritirando la posta al ritorno dalle vacanze, mia madre ha visto che le era arrivato, da un editore suo amico, un libro che parlava dei santi giovani. Ho subito esclamato: «Mi piacerebbe tanto fare una mostra dedicata a queste figure». Non ci sono riuscito, ma adesso, in più di una mostra del genere, ci sono anch’io!

A proposito di santi, avevi delle figure che ti attraevano particolarmente?

Tantissime! I pastorelli di Fatima e Bernadette Soubirous, che ho approfondito visitando i luoghi dove la Madonna è apparsa a loro; Bartolo Longo, che ho preso come esempio per diffondere il Rosario; Caterina da Genova, della quale ho letto il Trattato sul Purgatorio che mi ha molto impressionato; Faustina Kowalska, con le forme della devozione alla Divina Misericordia. Penso anche all’arcangelo Michele, a cui ricorrevo per essere forte contro le tentazioni, o a padre Pio da Pietrelcina, per le sue esperienze con le anime del Purgatorio, o anche a santa Gemma Galgani, col suo rapporto speciale con l’Angelo Custode.

Due santi, però, sentivo molto vicini. Il primo è Antonio di Padova, del quale ho letto e riletto la storia del miracolo della mula di Bonvillo: certamente quell’animale era stato ispirato direttamente dal Signore per confondere l’incredulità degli uomini, compreso il suo padrone, che non credeva nella presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento. L’altro è san Francesco d’Assisi: mi attraeva il suo “farsi piccolo”, che l’ha reso così amato in tutto il mondo. La stessa città di Assisi, dove i miei avevano acquistato una casa, era il luogo dove mi sentivo più felice.

Ho scoperto poi di essere parente di due sante dal lato materno della mia famiglia: Caterina Volpicelli e Giulia Salzano, dalle quali, come da santa Margherita Maria Alacoque, ho imparato come essere devoti al Sacro Cuore conduce a diventare missionari del suo Amore. Anzi, subito dopo la Prima Comunione, ho insistito affinché tutta la mia famiglia facesse la consacrazione al Cuore di Gesù, grazie ai gesuiti della chiesa di San Fedele a Milano.

Stiamo vivendo il Giubileo che ha come tema “Pellegrini di speranza”. Cos’è per te la speranza?

La speranza non è un risvolto sentimentale, e neppure un’evasione che permetta il non-impegno, ma la seconda virtù teologale infusa come seme nel Battesimo. Vale anche per la speranza nella vita eterna: se consideriamo la vita come un trampolino per l’Eternità, allora la morte diventa un mezzo. Se ci sganciamo dalle categorie terrene, impariamo infatti a vederla nella luce e nella vittoria di Cristo Risorto.

Un altro tema del Giubileo è l’indulgenza plenaria. Tu andavi in cerca di tantissimi modi per ottenere le indulgenze e per applicarle a favore di qualche anima, giusto?

Esatto: ho più volte ricordato che alla preghiera del Rosario fatta in comune e all’Adorazione Eucaristica fatta per almeno mezz’ora sono connesse indulgenze parziali, come anche allo Scapolare del Carmelo e ad altri sacramentali.

Raccomandavo a chiunque queste devozioni: le ritenevo un’ulteriore scorciatoia per andare in Paradiso e per portarci quanta più gente possibile. Senza l’Eucaristia, però, tutte queste pratiche sono aria fritta.

Quando ti sei ammalato, cos’hai pensato?

Mi sono subito accorto che c’era qualcosa che non andava: in famiglia, però, pensavano che fosse una parotite, o qualche dolore legato alla crescita, o a qualche sport che praticavo. Il 2 ottobre 2006 mi sono messo a letto con la febbre. Quello stesso giorno, all’improvviso, ho dichiarato ai miei genitori: «Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore per il Papa, per la Chiesa, per non fare il Purgatorio e andare dritto in Paradiso». Non volevo sprecare un’occasione simile, anche se si fosse trattato di un malessere passeggero.

Quando mi hanno spiegato che avevo una leucemia molto aggressiva, ho commentato, rivolto di nuovo a mamma e papà: «Il Signore mi ha dato una sveglia!». Avevo cercato di essergli fedele nelle piccole cose di ogni giorno: dato che mi chiedeva la vita, non potevo tirarmi indietro. Per questo rispondevo agli infermieri che mi visitavano: «Sto bene, c’è gente che soffre molto più di me».

Oggi la Chiesa ci autorizza a considerarti un vero modello, anzi, un “santo 2.0”, quasi rappresentassi una nuova versione della santità, come quelle dei programmi informatici che padroneggiavi. Qual è, quindi, il tuo segreto?

Non voglio essere ricordato come un personaggio eccezionale. Sono stato un bambino, poi un adolescente come tanti altri, ma ho saputo sempre confidare nell’amore di Dio. Ho percorso una strada – anzi, un’autostrada – possibile a tutti: basta ricorrere ai Sacramenti e ai mezzi che la Chiesa ci dona per crescere nell’amicizia con Gesù.

 

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 2 (2025), pp. 8-11 (visualizzabile qui)

 

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