Padre Luigi Maria Monti: uomo di Dio al servizio di malati e orfani, protetto dall’Immacolata
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Luigi Monti (al Battesimo, Luigi Gaetano) nacque il
10 febbraio 1825 a Bovisio (dal 1947 Bovisio Masciago), in provincia e diocesi
di Milano, ottavo degli undici figli di Angelo Monti e Maria Teresa Monti,
contadini omonimi ma non parenti.
Rimasto orfano di padre a dodici anni, fu mandato a
imparare il lavoro del falegname in una bottega di Cesano Maderno. Durante la
sua permanenza lì, conobbe un giovane prete, don Luigi Dossi, e lo scelse come
direttore spirituale. Tra il gennaio e il febbraio 1842, durante una missione
al popolo predicata dagli Oblati Missionari di Rho, si sentì spinto a un
cammino di fede ancora più serio.
Così, domenica 24 febbraio 1842, insieme ad altri
quattro amici, andò a cercare padre Angelo Taglioretti, il missionario che
aveva ascoltato, per chiedergli consiglio su come orientare la propria vita: fu
quindi incoraggiato a essere un apostolo in mezzo ai suoi coetanei.
Otto anni dopo, tornato in paese, aprì un
laboratorio di falegnameria, proprio sotto casa sua. Diede seguito ai consigli
di padre Taglioretti, radunando un gruppo di ragazzi e ragazze suoi compaesani,
a cui la gente di Bovisio, forse per ammirazione o forse per scherno, diede il
soprannome di “Compagnia dei Frati”: ogni sera si riunivano per ascoltare brani
di letture spirituali, per cantare e per pregare insieme.
Quel modo di radunarsi suonava sospetto nei tempi
delle guerre d’indipendenza e sotto il dominio austriaco: per questa ragione,
il 7 settembre 1851, tredici giovani della Compagnia furono arrestati; cinque
giorni dopo, toccò a Luigi e ad altri due compagni. Dopo settantadue giorni di
carcere preventivo, tutti furono rimessi in libertà.
Poco tempo prima, Luigi aveva emesso nelle mani di
don Dossi il voto di castità. L’8 dicembre 1846 lo rinnovò in perpetuo,
aggiungendo il voto di obbedienza, ma sempre in forma privata. Con lui e altri
due compagni iniziò a fare vita comune, finché non conobbe l’esperienza dei
Figli di Maria, poi Figli di Maria Immacolata, fondati a Brescia da don
Lodovico Pavoni (canonizzato nel 2016).
Sentendosi affine a quel carisma, partì per Rodengo
Saiano, sede del noviziato, dove imparò a lavorare come infermiere, ma operò
anche come educatore. Fu subito pronto a offrirsi volontario per chiudersi nel
lazzaretto di Brescia, durante la violenta epidemia di colera del 1855.
Tramite don Dossi, che era entrato tra i Figli di
Maria ma se ne era poi separato giuridicamente, incontrò Cipriano Pezzini, di
Cremona, che aveva iniziato a pensare a un gruppo d’infermieri volontari che
affiancassero quelli stipendiati, che però si comportavano come mercenari nei
confronti dei malati.
Discutendo con lui, decise che il gruppo
d’infermieri avrebbe preso il nome di Figli dell’Immacolata Concezione, ma quel
progetto confluì in quello che i frati Cappuccini, incaricati dell’assistenza
spirituale nell’ospedale di Santo Spirito a Roma, dove Pezzini si era
stabilito, avevano denominato Istituto Ospedaliero dell’Immacolata Concezione
sotto la protezione di san Francesco d’Assisi: la prima vestizione religiosa fu
celebrata l’8 dicembre 1857.
L’11 aprile 1858 Luigi partì per Roma, arrivando
undici giorni dopo e trovando una situazione caotica e confusa, acuita dai
contrasti tra il direttore dell’ospedale e i religiosi che vi prestavano
servizio, che portarono anche all’allontanamento di Pezzini. Continuò a
studiare da infermiere all’Università di Roma, e ottenne il titolo di flebotomo,
cioè operatore sanitario che compiva piccoli interventi chirurgici, compresi
quelli odontoiatrici.
Dopo aver aderito al Terz’Ordine francescano, come
tutti gli altri membri del futuro istituto, detti Concettini, Luigi affrontò
emarginazioni e sofferenze, sentendosi però confortato dalla benedizione di
papa Pio IX (beatificato nel 2000), che seguiva con attenzione le vicende del
Santo Spirito.
Il 21 novembre 1868 partì per Orte, le cui autorità
cittadine si erano rivolte al Santo Spirito per risolvere la questione
dell’ospedale cittadino. Fratel Luigi Maria da Milano, com’era ormai noto,
sistemò la faccenda in breve tempo, tanto da essere invitato anche nei paesi
vicini per situazioni analoghe.
La questione dei Concettini, intanto, era diventata
così complicata che il Papa chiese l’intervento di don Giovanni Bosco, suo uomo
di fiducia (canonizzato nel 1934): pensava infatti che l’istituto avrebbe
potuto confluire nella Società Salesiana da lui fondata. Fratel Luigi Maria
difese l’autonomia e la specificità di quello stile di consacrazione, tanto che
don Bosco dovette desistere.
L’8 dicembre 1881, quando fu presentato il Decreto
di approvazione per un quinquennio ad experimentum delle Costituzioni, firmato tre giorni prima, fratel Luigi Maria fu
acclamato dai confratelli presenti col titolo di “padre”, che gli rimase per
sempre, benché non fosse sacerdote né avesse mai voluto esserlo.
Il 13 settembre 1886, padre Luigi Maria e due
confratelli partirono per Saronno, tornando quindi nel territorio della diocesi
di Milano. Lì fondarono un orfanotrofio, o meglio, una casa dove gli orfani
avrebbero imparato un mestiere e sarebbero stati educati nella fede. Col tempo
si dispose ad accettare che i Figli dell’Immacolata Concezione avessero
sacerdoti propri, ma solo per garantire la celebrazione della Messa nelle
comunità.
Padre Luigi Maria guidò l’istituto finché, a causa
di varie malattie, morì nella casa di Saronno il 1° ottobre 1900. Vent’anni
dopo, il XVI Capitolo generale della sua Congregazione lo definì fondatore in
maniera inequivocabile.
Fu beatificato dal Papa san Giovanni Paolo II, in
piazza San Pietro a Roma, il 9 novembre 2003. La sua memoria liturgica, nella
Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione (ora più comunemente detti
Concezionisti) e nel calendario della diocesi di Milano, ricorre il 22
settembre, anniversario del giorno del 1940 in cui i suoi resti mortali vennero
traslati dal cimitero di Saronno all’antica chiesa dell’Istituto
dell’Immacolata, ovvero la casa madre; nel 1994 trovarono collocazione nella
cripta della chiesa nuova, poi Santuario a lui dedicato, in via Ambrogio
Legnani 4 a Saronno.
Cosa
c’entra con me?
L’inizio del mio legame con padre Monti non risale al tempo della beatificazione: in quel periodo non mi tenevo granché aggiornata su beatificazioni e canonizzazioni; nemmeno approfondivo l’attualità della mia Chiesa diocesana. Almeno di nome l’ho poi conosciuto se, passando in Università Cattolica per alcune ricerche a causa della mia tesi di laurea (non ricordo se triennale o specialistica, quindi tra il 2007 e il 2011), mi era venuta voglia di prendere alcune sue immaginette.
Scoprendo che la casa madre della sua congregazione
era a Saronno, cittadina che avevo imparato a conoscere perché sede delle prove
del Gruppo Shekinah, avevo iniziato a pensare di andare in casa madre, ma mi
sembrava parecchio distante.
La decisione si è concretizzata venerdì 16 dicembre
2013, quando si sarebbe svolta la festa di Natale di Shekinah, con una cena in
cui ogni corista o musicista avrebbe portato qualcosa. Proprio in quel giorno,
però, era stato indetto uno sciopero dei treni, per cui mi ero mossa con
larghissimo anticipo.
Dato che avevo tempo, ho pensato di visitare il
santuario di padre Monti, tanto più che, cercando informazioni su come
arrivare, avevo letto che era in corso una mostra di presepi. Rimando quindi al
post che avevo scritto per l’occasione, in cui raccontavo la mia visita.
Naturalmente, non potevo non fermarmi nella cripta
del santuario, per pregare sulla tomba del Beato e per fare incetta, come mio
solito, di libri e santini non solo suoi, ma anche degli altri candidati agli
altari della stessa Congregazione, che al tempo erano fratel Bonifacio Pavletić
e fratel Emanuele Stablum (attualmente Venerabile). Tra le immagini che ho
ritirato, una portava scritta la “Ricetta per godere di buona salute”
che il fondatore mise all'inizio di un ricettario di preparazioni galeniche scritto tutto a mano (citata anche qui): un sintetico trattato di fede e d’ironia, ma
di quella buona e santa.
La lettura della biografia che avevo preso mi
lasciò una forte impressione: mi aveva colpita la determinazione di Luigi e dei
suoi “frati” (e “frate”, inteso come plurale femminile dialettale!) sia agli
estremi inizi, sia nel voler preservare l’autonomia dai Cappuccini prima, dai Salesiani
poi.
Mi ero però domandata perché, se proprio si voleva
che il gruppo dei Concettini fosse seguito da un altro ordine religioso, non si
fosse pensato di accorparli ai Fatebenefratelli o ai Camilliani, dalla storia
di servizio ai malati ben più antica, o ai Figli di Maria Immacolata Pavoniani,
presso i quali Luigi aveva vissuto per sei anni, nel pieno di un periodo
difficilissimo della loro storia. In realtà a Cipriano Pezzini era stato
proposto di aggregarsi ai Camilliani, ma aveva rifiutato, per mantenere la propria
libertà d’iniziativa.
La vicenda di padre Luigi mi è più volte tornata alla memoria,
ma non mi ero messa d’impegno a scrivere il post, sebbene avessi avuto più di
un’occasione: i centovent’anni dalla nascita al Cielo, i venti dalla
beatificazione e, infine, il giorno giusto del bicentenario della nascita.
In particolare, lo ricordavo sia quando leggevo le
notizie relative all’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI) di Roma, di cui
il già citato fratel Stablum fu direttore e primario, sia soprattutto quando ho
affrontato, in piena pandemia, la storia di sant’Agostina Pietrantoni, delle Suore
della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, assassinata da un paziente
proprio al Santo Spirito.
Come mi aveva spiegato la postulatrice di quella
congregazione, negli anni in cui lei ha operato lì, ossia dal 1887 al 1894,
anno della morte, erano stati espulsi dall’ospedale non solo i Concettini, ma
anche i Cappuccini, che pure erano incaricati della sola assistenza spirituale.
Le stesse Suore della Carità erano appena tollerate, ma esclusivamente per
ragioni di servizio.
Lo scorso anno, invece, passando per il Tempio del
Sacro Cuore in via Marsala, a pochi passi dalla stazione di Roma Termini, ho
preso un opuscolo sui venti viaggi di san Giovanni Bosco nella Città Eterna. Lì
ho ricordato la questione per la quale il Santo era stato incaricato da papa
Pio IX di rivedere le Regole dei Concettini e di assumerne la direzione
spirituale, poi affidata al salesiano don Giuseppe Scappini, il quale però
lasciò Roma poche settimane dopo, per ragioni di salute. Il fondatore fu poi
messo davanti all’evidenza che padre Luigi aveva trovato un altro direttore
spirituale, il gesuita padre Antonio Angelini: accettò che, per una volta, i
suoi piani non fossero riusciti.
Non solo: riprendendo la biografia di padre Luigi,
ho riscontrato che don Bosco l’incoraggiò a chiedere l’ordinazione sacerdotale,
ma lui gli rispose con chiarezza di essere sicuro di poter essere un vero
consacrato anche senza diventare prete.
Un altro elemento che non ricordavo era l’impulso
che gli avevano dato gli Oblati Missionari di Rho, anzitutto con la missione al
popolo a cui aveva partecipato quando viveva e lavorava a Cesano Maderno: il
fiore all’occhiello dell’attività di questo corpo speciale di sacerdoti
ambrosiani fondati dal Venerabile Giorgio Maria Martinelli (del quale ho
parlato qui),
continuava – e continua ancora adesso – a dare i suoi frutti.
In particolare, due Oblati Missionari lo hanno
sostenuto: padre Angelo Taglioretti, che gli diede lo spunto per formare la
“Compagnia dei Frati”, e l’allora superiore, padre Angelo Ramazzotti, futuro
fondatore del Seminario Lombardo per le Missioni Estere, poi incluso nel Pime,
e in seguito Patriarca di Venezia (anche lui è Venerabile: la sua è fra le
storie che mi sono ripromessa da tempo di raccontare, ma che non riesco mai a
concludere).
Quasi avevo ignorato, nella mia prima lettura del
libro, la parte giovanile della vita di padre Luigi Maria, sbagliando
clamorosamente: lì tutto è cominciato, per usare le parole che fanno da guida a
questo bicentenario della nascita che è ormai in via di conclusione.
Ha
testimoniato la speranza perché...
Padre Luigi Maria è un testimone della speranza perché in qualsiasi prova della vita, dall’essere rimasto orfano fino all’ultima malattia, passando per le vicissitudini vocazionali e per le umiliazioni (a leggerle oggi, a me sembrano veri e propri abusi di potere) subite sia in gioventù, sia negli anni romani, ha continuato a sentire Dio vicino e a non sentirsi mai abbandonato da Lui.
Lo confortava in questo il ricordo di
un’intuizione, o meglio, di una voce, che l’aveva spinto ad andare nella
cappella della casa di Bussolengo, aperta da don Dossi, nel corso della novena
dell’Immacolata del 1857. Lì, come raccontò il 31 gennaio 1896, vide la Madonna
e Gesù: la prima lo rassicurò che non l’avrebbe abbandonato, dopo tutto quel
che aveva fatto per i giovani, mentre il secondo, con parole analoghe e
riferendosi al conforto che aveva portato ai malati, gli ricordò che l’avrebbe
sempre aiutato.
Le “voci” ultraterrene, che gli si manifestarono in
altri punti chiave della sua esistenza, servono a ricordare che, anche in mezzo
a un’attività spesso frenetica come quella ospedaliera, padre Luigi Maria non
smarriva il senso della propria speranza, restando aperto a ciò che lo Spirito
gli suggeriva.
Il
suo Vangelo
L’aspetto che rende attuale la testimonianza del Beato Luigi Maria a due secoli dalla nascita terrena e a centoventicinque anni da quella al Cielo è la sua intuizione fondamentale: Dio vuole la felicità dei suoi figli e che essa non debba rimanere chiusa in chi l’ha scoperta, ma trasmessa indipendentemente dal genere o dallo stato di vita. Tanti, anche recentemente, hanno affiancato l’apostolato del giovane Luigi ai movimenti laicali esplosi nella Chiesa due secoli più tardi, senza dimenticare il retroterra ambrosiano rappresentato dalla vita di fede popolare e dall’attività degli oratori.
Quando
poi ha capito di essere chiamato a risolvere la situazione dei Concettini, ha
aperto una via per certi versi inedita nella Chiesa, ma che costituiva quasi un
ritorno alle origini, in cui i religiosi fratelli dovevano sentirsi non
soggetti ai sacerdoti né relegati alla cosiddetta bassa manovalanza, ma capaci
di prendere decisioni anche delicate.
Ai suoi
figli, che da sempre, come lui stesso, sono Figli di Maria Immacolata, ma anche
a quanti scoprono la sua storia, ripete quel che scrisse in una lettera del
1883 a
padre Stanislao Pastori, che divenne superiore generale nel 1920 (citata in uno
dei sussidi predisposti per il bicentenario):
Allegri nel Signore,
benché avvolti nelle sofferenze e nei più grandi travagli e dispiaceri; qui è
dove si conosce l’uomo di Dio che combatte con l’acquisto di una gloria.
Perciò, animo e coraggio, e fiducia nella protezione di Dio e dell’Immacolata
nostra Madre.
Spero
proprio di trovare il tempo di tornare alla casa madre di Saronno, prima o poi.
Per
saperne di più
Giovanni Cazzaniga, Beato Luigi Maria Monti - Fondatore dei Figli dell'Immacolata Concezione, Velar-Elledici 2009, pp. 48, € 3,50.
Piccola biografia illustrata, scritta dal Figlio di
Maria Immacolata che fu postulatore della sua causa (adesso tutte le cause dei
Figli dell’Immacolata Concezione sono seguite dal dottor Paolo Vilotta).
Ennio Apeciti, Luigi Maria Monti beato, Monti 2003, pp. 222, € 15,00.
La biografia uscita per la beatificazione, che
contestualizza la vicenda di padre Monti nella Chiesa e nella storia italiana
del suo tempo.
Olmo Guagnetti, Tutti in arresto - La storia ritrovata di Luigi Monti e dei suoi compagni, Ancora 2025, pp. 256, € 19,00.
L’approfondimento del periodo in cui Luigi e
compagni furono messi in carcere, con un testo dell’avvocato Filippo Meda
scritto nel 1933, in occasione della trasformazione della stanza carceraria in
cappella.
Maurizio Onnis, Il mistero di padre Luigi, Monti 2004, pp. 80, € 7,00.
Testo dedicato soprattutto ai ragazzi.
Attenzione: il 31 ottobre 2015 le edizioni Monti
hanno annunciato la chiusura. Suggerirei quindi di richiedere questo testo,
come anche quello di monsignor Apeciti presentato sopra, alla casa madre di
Saronno.
Su
Internet
Sito della casa madre e del santuario di Saronno (fermo al 2021)
Sito della Provincia italiana dei Figli dell’Immacolata Concezione
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