Suggestioni leggendo «One – Un modo per avvicinarsi a Dio» di fra Federico Russo

Quand’ero alle scuole medie ho iniziato ad ascoltare la musica degli U2, il gruppo musicale irlandese il cui cantante, Paul Hewson ossia Bono Vox, oggi compie sessant’anni.
Nell’età in cui le altre mie compagne di scuola s’interessavano alle boyband, io mi davo al rock impegnato, sognando di lavorare per MTV e di avere un’impeccabile pronuncia inglese per poter intervistare lui e gli altri.
Mi sentivo però emarginata, anzi, una volta fui proprio denigrata perché ascoltavo musica “da vecchi”; per questo motivo, per molto tempo ho taciuto questo mio interesse.
A lungo andare, però, avevo sviluppato per loro un’adorazione eccessiva. Devo al cardinal Dionigi Tettamanzi e, per certi versi, a san Giovanni Paolo II se ho capito che dovevo appassionarmi al Vangelo, non, ad esempio, a come spendono i soldi i miei beniamini musicali.
Più di un anno fa, guardando le ultime uscite librarie, ho visto che era in uscita per San Paolo, quindi un editore cattolico, un volume in cui le canzoni degli U2 erano affiancate ad alcuni dei testi biblici che le avevano ispirate.
Leggerlo mi ha fatto vedere in senso meno conflittuale quel mio interesse, riaccendendo il “fuoco indimenticabile” che avevano suscitato in me quelle canzoni.

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Ormai anche in italiano sono molte le pubblicazioni che indagano il rapporto tra la Sacra Scrittura e le canzoni di parecchi artisti. Nel nostro Paese, però, mancava un’analisi del genere relativamente alla produzione musicale degli U2, che restano tra i gruppi musicali più apprezzati per l’afflato spirituale presente nei loro testi. «One – Un modo per avvicinarsi a Dio. Gli U2 tra rock e Bibbia», appena edito da San Paolo, si propone di colmare questa carenza.
L’autore è Federico Russo, che ha scoperto il gruppo dublinese a quindici anni e, da allora, non ha smesso di ascoltare e meditare i brani da esso realizzati in oltre quarant’anni di carriera. Non l’ha fatto neanche dopo che, ventitreenne, ha iniziato la formazione tra i Frati Minori. La sua fama non è altrettanto mondiale, ma nelle parrocchie, nei gruppi giovanili e negli incontri diocesani accade spesso di ascoltare «Il Canto dell’amore», che gli è stato ispirato dal capitolo 43 del profeta Isaia. Il libro non è altro che la pubblicazione della tesi con cui ha concluso il percorso degli studi teologici.
Sfruttando il percorso delineato negli ultimi due album in studio, ripreso del resto dal poeta William Blake, Russo li ripercorre quasi pezzo per pezzo, certo di potervi trovare, come afferma nella prefazione, delle tracce della presenza di Dio. «Gli anni dell’innocenza», che comprendono gli album dagli esordi fino a «The Unforgettable Fire» del 1984, sono seguiti da «Gli anni dell’esperienza», che coprono tutti gli anni ’90, da «Achtung Baby» a «Pop». Infine, «Gli anni della saggezza», che comprendono le produzioni più recenti. In tutte queste fasi, i rimandi scritturistici sono a volte palesi, altre reinterpretati, altre ancora meno evidenti ma sempre come in filigrana.
Il libro che ha più segnato il modo di comporre testi da parte del gruppo appare essere quello dei Salmi, specie nei primi tre album. In «Boy», che ne segna l’esordio, è però più marcata l’esperienza del lutto che Paul Hewson, il futuro Bono Vox, aveva avuto pochi anni prima. La perdita di sua madre Iris aveva prodotto in lui una mancanza tanto grande «che, per cercare di colmarla, non si può che andare in cerca di qualcosa di smisurato», scrive l’autore, affermando che questa ricerca produsse in lui una spinta a uscire da se stesso, ma anche a rientrarvi.
Negli stessi primi tempi del gruppo, la frequentazione della comunità Shalom, di probabile radice pentecostale, è stata per gran parte dei componenti una tappa per maturare un’opzione di fondo: «Stare nel mondo», afferma Russo, «cercando di essere rilevanti, ovvero di avere la capacità di comunicare qualcosa e di essere ascoltati, di farsi promotori di un messaggio che si avverte come urgente e che più avere la forza di cambiare la storia».
Pezzi come «Gloria» dal secondo disco, «October», rappresentano invece il loro modo di «cantare un canto nuovo”, quando le inquietudini giovanili trovano completezza solo in Dio. «Sunday Bloody Sunday», dall’opera terza «War», esprime la rabbia dei quattro musicisti di fronte al conflitto in corso nella loro terra, l’Irlanda. Ecco quindi che l’interrogativo contenuto nel brano, «How long must we sing this song?», viene ricondotto da Russo a quello, simile, contenuto nei Salmi 6 e 94. In brani come «The Drowning Man», il riferimento è invece Isaia, che riaffiora anche in «The Unforgettable Fire», dall’album omonimo.
L’esperienza del popolo ebraico nell’esodo, invece, è riferibile ai contenuti del quinto disco, «The Joshua Tree», anche grazie agli influssi della teologia della liberazione percepiti da Bono e sua moglie durante una settimana in Nicaragua ed El Salvador. Canzoni come «Where The Streets Have No Name» hanno fatto pensare al desiderio di un luogo dove si possa vivere in pace: la città di Dio presentata, di nuovo, da Isaia e dal libro dell’Apocalisse. Infine, l’album «Rattle and Hum», nel 1988, con l’influsso di artisti come Bob Dylan e BB King, presenta da una parte un’invocazione all’amore personificato in Dio («Love Rescue Me»), dall’altra un’esperienza di peccato purificata dalla redenzione portata da Gesù in croce («When Love Comes To Town»).
Gli anni ’90 portano una nuova svolta nel cammino musicale e spirituale dei quattro di Dublino. L’album «Achtung Baby» contiene brani dove lo smarrimento esistenziale è percepibile sia dalle parole, sia dai suoni distorti presi dall’elettronica. Gli influssi della Scrittura sembrano meno evidenti, tranne in «Until The End Of The World» e in «Mysterious Ways», dove i collegamenti sono al tradimento di Giuda e al martirio di Giovanni il Battista, quest’ultimo filtrato dalla rielaborazione offerta da Oscar Wilde nella tragedia «Salomé». In «One», il brano più noto del disco, che dà il titolo anche al libro stesso, una situazione di crisi tra due persone fa però emergere «un’idea importante: il fatto che l’unità non si fonda sull’essere uguali implica la necessità di cominciare a sostenersi a vicenda» e che, sulla scorta di Clive Staples Lewis e di Benedetto XVI, “eros” ha bisogno di “agape” per garantire un’unione che duri per sempre.
La tematica religiosa è presente anche nei due dischi che genericamente potrebbero sembrare i più superficiali della discografia degli U2. «Zooropa», nato durante i concerti dello «Zoo TV Tour», la riflessione sulla televisione e sul suo influsso accompagna momenti intimi come in «Stay (Faraway, So Close!)», parte della colonna sonora di «Così lontano, così vicino» di Wim Wenders, o altri in cui, di nuovo, la figura materna ha tratti divini, come in «Lemon», dove c’è un rimando al prodigio dell’acqua dalla pietra contenuto nel libro dell’Esodo.
Allo stesso modo «Pop» del 1997, che ha sconcertato parecchi appassionati ma ne ha attirati altri, è colmo d’interrogativi e di preghiere. In essi, il cantante si chiede cosa succederà all’umanità se Dio manderà i suoi angeli, oppure, tornando a rivolgersi alla madre (o a Dio che «è papà; più ancora è madre», per dirla con papa Giovanni Paolo I, espressamente citato dall’autore agli inizi del libro), le domanda se è ancora suo figlio.
«Gli anni della saggezza», infine, sono quelli in cui molte riflessioni degli anni giovanili sembrano essersi placate. I brani su cui Russo si sofferma sono in numero inferiore rispetto a quelli dei dischi precedenti, ma esprimono ugualmente un’oscillazione tra fede e dubbio, tra certezze e domande, richiamando ad esempio la parabola del povero Lazzaro nel brano «Crumbs From Your Table». Fino ad arrivare al dittico «Songs of Innocence» e «Songs of Experience», dove «forse mai come adesso la scrittura di Bono era arrivata a toccare così in profondità il nucleo essenziale della fede cristiana», ovvero il mistero della Pasqua.
All’esame degli echi biblici e cristiani, Russo accompagna in alcuni casi un’analisi dal punto di vista musicale. A suo parere, infatti, le canzoni migliori degli U2 sono quelle che riescono a esprimere la dualità «che la teologia cristiana esprime quando parla di una speranza fatta di “già” e di “non ancora” e di una fede chiamata a tenere insieme la dimensione della croce e quella della resurrezione». Quest’effetto è ottenuto dal chitarrista, The Edge, tramite l’uso di accordi privi della nota “terza”, quella che permette di capire se l’accordo sia “in maggiore” o “in minore”. Un esempio tra tutti è in «I Still Haven’t Found What I’m Looking For»: all’uso di questi accordi si accompagna una voce che nelle strofe segue il registro alto, mentre nei ritornelli scende fino al Re bemolle. Il tutto mentre basso e batteria danno l’idea di un cammino ancora da percorrere.
Di fatto è così anche per la vita di fede dei membri del gruppo, in particolare di Bono. Russo non si sbilancia in considerazioni estreme sul suo operato politico e sociale: da una parte afferma che la posizione da lui assunta nei due recenti referendum in Irlanda sulle unioni omosessuali e sull’aborto «certamente non corrisponde al Magistero cattolico». Dall’altra, invece, descrive con efficacia i suoi tormenti spirituali e i tentativi di colmare «quel buco a forma di Dio», idea ripresa da Pascal e contenuta in «Mofo», brano d’apertura dell’album «Pop».
Lui e i suoi ex compagni di scuola, per i loro ammiratori (e il libro non è destinato solo a essi), non sono tanto esempi da seguire, ma persone che non hanno ancora trovato quello che stanno cercando. Allo stesso tempo continuano a indicare, nelle loro canzoni, che Dio è presente e che vale la pena di fidarsi di lui.

Originariamente pubblicato su «La Croce - Quotidiano», 27 marzo 2019, p.3

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