Don Luigi Orione, santo della carità ecclesiale e sociale
Don Orione mentre sale le scale
dell’Istituto San Filippo Neri di Roma,
foto
scattata il 26 maggio 1938 (fonte)
|
Chi
è?
Luigi
(al Battesimo, Giovanni Luigi) Orione nacque a Pontecurone, in provincia di Alessandria
e diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872, quarto figlio di Vittorio Orione,
selciatore di strade, e Carolina Feltri. Dovette interrompere la frequenza agli
studi con l’inizio della seconda elementare, per contribuire ad aiutare la sua
famiglia, misera ma onesta.
Nel settembre 1885, grazie al canonico Michele Cattaneo, fu accolto tra i Frati Minori a Voghera. Il Giovedì Santo 1886, però, cadde ammalato di polmonite. Si riprese, ma venne rimandato a casa, con suo dispiacere.
Il canonico Cattaneo l’aiutò di nuovo, permettendogli di entrare nell’Oratorio di Valdocco a Torino, voluto da san Giovanni Bosco. Nello stesso periodo, conobbe la Piccola Casa della Divina Provvidenza di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Poco dopo la morte di don Bosco, iniziò la formazione, studiando con profitto, per diventare membro della Società di San Francesco di Sales, da lui fondata. Tuttavia, durante gli Esercizi Spirituali in preparazione all’ingresso in noviziato, gli venne il pensiero di domandare di entrare nel Seminario di Tortona. Dopo aver pregato a lungo sulla tomba di don Bosco, all’epoca situata a Valsalice, sede del noviziato, decise di tornare a casa.
Fu accolto in Seminario, ma per mantenersi agli studi, anche perché suo padre era morto all’improvviso, chiese di poter essere aiuto-sacrestano nel Duomo di Tortona. Un giorno, in sacrestia, incontrò Mario Ivaldi, un ragazzo che era stato cacciato dalla lezione di catechismo perché aveva disturbato i compagni. Luigi lo consolò, gli spiegò a sua volta il catechismo e gli chiese di tornare il giorno dopo alla stessa ora. Mario tornò, ma non da solo: il chierico comprese che doveva impiantare in diocesi l’Oratorio secondo lo stile di don Bosco.
Il 15 ottobre 1893 inaugurò un istituto per ragazzi poveri e bisognosi d’istruzione, anche in vista del sacerdozio. Il 13 aprile di due anni dopo, invece, fu lui stesso ordinato sacerdote. In quel medesimo giorno, per concessione del suo vescovo, consegnò l’abito clericale ad alcuni dei suoi ragazzi.
Non molto tempo dopo, cominciò ad aprire scuole, collegi e colonie agricole anche al di fuori del territorio diocesano. Cominciò anche l’epoca dei suoi viaggi, compreso quello, nel 1908, per soccorrere le vittime del terremoto di Messina.
Intanto prendeva forma la Piccola Opera della Divina Provvidenza, diramata in varie strutture e in quattro congregazioni religiose: i Figli della Divina Provvidenza, che comprendono religiosi sacerdoti e fratelli e gli Eremiti della Divina Provvidenza; le Piccole Suore Missionarie della Carità; le Suore Sacramentine non vedenti; le Suore Contemplative di Gesù Crocifisso.
Don Luigi continuò i suoi viaggi fino al 1° aprile 1939, quando, durante una visita ad Alessandria, ebbe un attacco di angina pectoris. Gli fu proposto di andare a riposare a Villa Santa Clotilde, a San Remo (oggi Sanremo), ma lui voleva, invece, morire in mezzo ai suoi poveri. Obbedì solo quando glielo chiese il suo vicario, don Carlo Sterpi. Morì quindi a San Remo il 12 marzo 1940.
È stato beatificato e canonizzato da san Giovanni Paolo II, rispettivamente il 26 ottobre 1980 e il 16 maggio 2004. I suoi resti mortali sono venerati presso il Santuario della Madonna della Guardia a Tortona, a destra dell’entrata. La sua memoria liturgica, invece, è stata spostata, dopo la canonizzazione, al 16 maggio.
Nel settembre 1885, grazie al canonico Michele Cattaneo, fu accolto tra i Frati Minori a Voghera. Il Giovedì Santo 1886, però, cadde ammalato di polmonite. Si riprese, ma venne rimandato a casa, con suo dispiacere.
Il canonico Cattaneo l’aiutò di nuovo, permettendogli di entrare nell’Oratorio di Valdocco a Torino, voluto da san Giovanni Bosco. Nello stesso periodo, conobbe la Piccola Casa della Divina Provvidenza di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Poco dopo la morte di don Bosco, iniziò la formazione, studiando con profitto, per diventare membro della Società di San Francesco di Sales, da lui fondata. Tuttavia, durante gli Esercizi Spirituali in preparazione all’ingresso in noviziato, gli venne il pensiero di domandare di entrare nel Seminario di Tortona. Dopo aver pregato a lungo sulla tomba di don Bosco, all’epoca situata a Valsalice, sede del noviziato, decise di tornare a casa.
Fu accolto in Seminario, ma per mantenersi agli studi, anche perché suo padre era morto all’improvviso, chiese di poter essere aiuto-sacrestano nel Duomo di Tortona. Un giorno, in sacrestia, incontrò Mario Ivaldi, un ragazzo che era stato cacciato dalla lezione di catechismo perché aveva disturbato i compagni. Luigi lo consolò, gli spiegò a sua volta il catechismo e gli chiese di tornare il giorno dopo alla stessa ora. Mario tornò, ma non da solo: il chierico comprese che doveva impiantare in diocesi l’Oratorio secondo lo stile di don Bosco.
Il 15 ottobre 1893 inaugurò un istituto per ragazzi poveri e bisognosi d’istruzione, anche in vista del sacerdozio. Il 13 aprile di due anni dopo, invece, fu lui stesso ordinato sacerdote. In quel medesimo giorno, per concessione del suo vescovo, consegnò l’abito clericale ad alcuni dei suoi ragazzi.
Non molto tempo dopo, cominciò ad aprire scuole, collegi e colonie agricole anche al di fuori del territorio diocesano. Cominciò anche l’epoca dei suoi viaggi, compreso quello, nel 1908, per soccorrere le vittime del terremoto di Messina.
Intanto prendeva forma la Piccola Opera della Divina Provvidenza, diramata in varie strutture e in quattro congregazioni religiose: i Figli della Divina Provvidenza, che comprendono religiosi sacerdoti e fratelli e gli Eremiti della Divina Provvidenza; le Piccole Suore Missionarie della Carità; le Suore Sacramentine non vedenti; le Suore Contemplative di Gesù Crocifisso.
Don Luigi continuò i suoi viaggi fino al 1° aprile 1939, quando, durante una visita ad Alessandria, ebbe un attacco di angina pectoris. Gli fu proposto di andare a riposare a Villa Santa Clotilde, a San Remo (oggi Sanremo), ma lui voleva, invece, morire in mezzo ai suoi poveri. Obbedì solo quando glielo chiese il suo vicario, don Carlo Sterpi. Morì quindi a San Remo il 12 marzo 1940.
È stato beatificato e canonizzato da san Giovanni Paolo II, rispettivamente il 26 ottobre 1980 e il 16 maggio 2004. I suoi resti mortali sono venerati presso il Santuario della Madonna della Guardia a Tortona, a destra dell’entrata. La sua memoria liturgica, invece, è stata spostata, dopo la canonizzazione, al 16 maggio.
Cosa
c’entra con me?
Non ho affatto memoria della prima volta in cui ho sentito parlare di don Orione. Di certo, quando fu canonizzato, non mi era sconosciuto, al pari di due degli altri che salirono agli altari con lui, ossia i santi Gianna Beretta Molla e Annibale Maria Di Francia (di quest’ultimo fu contemporaneo e lo conobbe personalmente, come dimostra una fotografia che li ritrae insieme).
Proprio perché sapevo sì e no che il suo nome era abbinato a una grande opera di carità, quando trovai nel mio oratorio un piccolo libro su di lui, domandai di prenderlo in prestito. Il primo elemento che mi sorprese fu che era riportato un brano dello scrittore Ignazio Silone, il quale s’imbatté in lui dopo il terremoto del Fucino del 13 gennaio 1915; era un ragazzo, all’epoca. Avevo letto Fontamara, uno dei suoi romanzi, tra le medie e il liceo, per cui sapevo chi era.
Il secondo fu apprendere che, a sua volta da ragazzo, Luigi era stato per tre anni all’Oratorio di don Bosco. Da lui aveva avuto due doni speciali: la guarigione da una brutta ferita che si era causato mentre tagliava del pane, scomparsa dopo che aveva accostato la mano destra al corpo del futuro santo, ma soprattutto la bontà con cui quest’ultimo aveva ascoltato le sue confessioni sacramentali e l’amicizia che gli aveva garantito. Tant’è che, dopo essermi procurata un libro sui Santi della Famiglia Salesiana, non fui tanto sorpresa nel vedere un paio di pagine anche per lui, sebbene la sua opera sia distinta da quelle salesiane propriamente dette.
Quella lettura rientrava nel mio percorso di riavvicinamento alle figure di santità e alla storia della Chiesa, anche quella locale. In un altro caso, ossia su alcune pagine del mensile diocesano Il Segno in occasione di non ricordo più quale anniversario preciso dalla fondazione del Piccolo Cottolengo di Milano (le strutture assistenziali da lui volute presero quel nome a livello popolare, ma lui non lo respinse), scoprii la natura profonda del legame tra lui e il Beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Non era quindi a caso che, nel suo «ultimo ricordo» ai seminaristi di Teologia, l’allora Arcivescovo aveva domandato: «Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione?». In effetti, le sue spoglie da Sanremo arrivarono a Tortona dopo un viaggio di una settimana, attraversando Liguria, Lombardia e Piemonte.
Un’altra lettura, stavolta di un piccolo libro sul Venerabile frate Ave Maria, Eremita della Divina Provvidenza, mi fece capire la sua fecondità come fondatore. So che non bisognerebbe fare confronti di questo tipo, ma penso proprio che sia secondo solo al Beato don Giacomo Alberione per numero d’istituti e congregazioni da lui fondati (a cui vanno aggiunti, postumi, l’Istituto Secolare Orionino e il Movimento Laicale Orionino).
Prima di traslocare e di lasciare la mia vecchia parrocchia, feci in tempo a partecipare a uno degli ultimi spettacoli con la compagnia teatrale giovanile di cui facevo parte. Era la prima volta che un musical in cui recitavo usciva dal nostro teatro di casa: precisamente, doveva essere rappresentato al Teatro Don Orione, annesso al Piccolo Cottolengo di Milano.
Mi era venuta voglia di scappare nella chiesa vicina, intitolata a San Benedetto Abate (mi sa che anche questa dedicazione è un collegamento con Schuster, che era un Benedettino) e parrocchia, ma desistetti: un po’ per la tensione, un po’ per mancanza di tempo. Non riuscii a passarci neanche al termine dello spettacolo: a quel punto, mi ripromisi di tornarci, perché non era troppo lontano dalla mia vecchia casa.
Per tutta una serie di ragioni, non ultima una certa pigrizia, ho mantenuto l’impegno solo quando ho dovuto partecipare a un funerale. Sono tornata cinque anni fa, perché ero andata al Centro per l’Impiego che è lì a due passi.
Don Orione è ricomparso nella mia vita di nuovo per via di un funerale, sempre in una parrocchia diversa dalla mia, ma non a San Benedetto. Sul sussidio per seguire le esequie, stampato in proprio, c’era un pensiero a firma sua. Me l’annotai sulla mia agenda, ma solo lavorando a questo post ho appurato che era davvero un suo testo, tratto, se ho capito bene da quel che leggo qui, dalla Lettera 67. Mi colpì perché mi sembrava contenere molta più fede di tante espressioni quasi pacchiane (e a volte non molto cristiane o falsamente attribuite a Santi o simili) scelte per i ricordini funebri.
Lo scorso anno, poi, sono venuta a sapere dell’ordinazione speciale del giovane orionino Michał Łos. Per non annoiare i miei lettori, dato che ho più volte trattato storie di giovani ordinati sacerdoti con dispensa per malattia (ad esempio qui), pensai di non dire la mia sull’argomento. Piuttosto, sarebbe stato meglio andare a pregare don Orione a San Benedetto, così da chiedergli d’intercedere per quel suo figlio così provato.
Anche in quel caso, però, mi distrassi e accantonai l’idea, almeno finché, a giugno, non ho saputo della morte di don Michał. Sentendomi tremendamente in colpa, andai alla chiesa orionina il giorno dopo la notizia: pregai a lungo all’altare del Santo suo fondatore, per chiedergli di portarlo con sé. Peraltro, nessuno in parrocchia sapeva di quella storia; nessuno dei laici collaboratori della segreteria, almeno, ai quali avevo chiesto di poter prendere libri e santini tra quelli che si vedevano in un armadio.
Pensai di prendere anche una selezione di pensieri del fondatore, ma rimandai ad altre occasioni. La preparazione di questo post sarebbe stata quella migliore, ma non mi sento ancora di muovermi troppo per Milano come fino a tre mesi fa.
L’idea d’inserire don Orione nella mia lista di santi da invocare in tempo di pandemia è venuta, alla fine, dopo aver appreso che sono morti sette sacerdoti Figli della Divina Provvidenza e cinque Piccole Suore Missionarie della Carità, anche se per un sacerdote non c’è sicurezza, dato che era molto anziano.
Il suo Vangelo
Il nome di san Luigi Orione è uno di quelli che vogliono “dire carità”, per riprendere la pubblicità di una marca di salumi (credo di averlo già scritto, ma non ricordo per chi). In effetti, il modo con cui lui visse il Vangelo era proprio quello di raccogliere per vero amore e prendersi cura di quella parte del popolo di Dio che poteva sembrare più scartata: disabili (per i quali aveva pensato anche a modalità inconsuete di consacrazione), orfani, poveri sfollati. Il suo amore per la Chiesa avvolgeva loro, ma anche la persona del Papa, chiunque fosse: insieme alla redenzione sociale degli umili, la fedeltà al Pontefice è tuttora uno dei capisaldi della spiritualità orionina.
Molti hanno fondato opere caritative e meritorie, ma lui si distacca per una consapevolezza particolare: che la santità di uno debba riverberarsi in un’azione che non porti solo ad ammirarlo, ma a cambiare il contesto in cui si vive. In un appunto senza data precisa, ma risalente al 1939, annotava infatti:
Non ho affatto memoria della prima volta in cui ho sentito parlare di don Orione. Di certo, quando fu canonizzato, non mi era sconosciuto, al pari di due degli altri che salirono agli altari con lui, ossia i santi Gianna Beretta Molla e Annibale Maria Di Francia (di quest’ultimo fu contemporaneo e lo conobbe personalmente, come dimostra una fotografia che li ritrae insieme).
Proprio perché sapevo sì e no che il suo nome era abbinato a una grande opera di carità, quando trovai nel mio oratorio un piccolo libro su di lui, domandai di prenderlo in prestito. Il primo elemento che mi sorprese fu che era riportato un brano dello scrittore Ignazio Silone, il quale s’imbatté in lui dopo il terremoto del Fucino del 13 gennaio 1915; era un ragazzo, all’epoca. Avevo letto Fontamara, uno dei suoi romanzi, tra le medie e il liceo, per cui sapevo chi era.
Il secondo fu apprendere che, a sua volta da ragazzo, Luigi era stato per tre anni all’Oratorio di don Bosco. Da lui aveva avuto due doni speciali: la guarigione da una brutta ferita che si era causato mentre tagliava del pane, scomparsa dopo che aveva accostato la mano destra al corpo del futuro santo, ma soprattutto la bontà con cui quest’ultimo aveva ascoltato le sue confessioni sacramentali e l’amicizia che gli aveva garantito. Tant’è che, dopo essermi procurata un libro sui Santi della Famiglia Salesiana, non fui tanto sorpresa nel vedere un paio di pagine anche per lui, sebbene la sua opera sia distinta da quelle salesiane propriamente dette.
Quella lettura rientrava nel mio percorso di riavvicinamento alle figure di santità e alla storia della Chiesa, anche quella locale. In un altro caso, ossia su alcune pagine del mensile diocesano Il Segno in occasione di non ricordo più quale anniversario preciso dalla fondazione del Piccolo Cottolengo di Milano (le strutture assistenziali da lui volute presero quel nome a livello popolare, ma lui non lo respinse), scoprii la natura profonda del legame tra lui e il Beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Non era quindi a caso che, nel suo «ultimo ricordo» ai seminaristi di Teologia, l’allora Arcivescovo aveva domandato: «Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione?». In effetti, le sue spoglie da Sanremo arrivarono a Tortona dopo un viaggio di una settimana, attraversando Liguria, Lombardia e Piemonte.
Un’altra lettura, stavolta di un piccolo libro sul Venerabile frate Ave Maria, Eremita della Divina Provvidenza, mi fece capire la sua fecondità come fondatore. So che non bisognerebbe fare confronti di questo tipo, ma penso proprio che sia secondo solo al Beato don Giacomo Alberione per numero d’istituti e congregazioni da lui fondati (a cui vanno aggiunti, postumi, l’Istituto Secolare Orionino e il Movimento Laicale Orionino).
Prima di traslocare e di lasciare la mia vecchia parrocchia, feci in tempo a partecipare a uno degli ultimi spettacoli con la compagnia teatrale giovanile di cui facevo parte. Era la prima volta che un musical in cui recitavo usciva dal nostro teatro di casa: precisamente, doveva essere rappresentato al Teatro Don Orione, annesso al Piccolo Cottolengo di Milano.
Mi era venuta voglia di scappare nella chiesa vicina, intitolata a San Benedetto Abate (mi sa che anche questa dedicazione è un collegamento con Schuster, che era un Benedettino) e parrocchia, ma desistetti: un po’ per la tensione, un po’ per mancanza di tempo. Non riuscii a passarci neanche al termine dello spettacolo: a quel punto, mi ripromisi di tornarci, perché non era troppo lontano dalla mia vecchia casa.
Per tutta una serie di ragioni, non ultima una certa pigrizia, ho mantenuto l’impegno solo quando ho dovuto partecipare a un funerale. Sono tornata cinque anni fa, perché ero andata al Centro per l’Impiego che è lì a due passi.
Don Orione è ricomparso nella mia vita di nuovo per via di un funerale, sempre in una parrocchia diversa dalla mia, ma non a San Benedetto. Sul sussidio per seguire le esequie, stampato in proprio, c’era un pensiero a firma sua. Me l’annotai sulla mia agenda, ma solo lavorando a questo post ho appurato che era davvero un suo testo, tratto, se ho capito bene da quel che leggo qui, dalla Lettera 67. Mi colpì perché mi sembrava contenere molta più fede di tante espressioni quasi pacchiane (e a volte non molto cristiane o falsamente attribuite a Santi o simili) scelte per i ricordini funebri.
Lo scorso anno, poi, sono venuta a sapere dell’ordinazione speciale del giovane orionino Michał Łos. Per non annoiare i miei lettori, dato che ho più volte trattato storie di giovani ordinati sacerdoti con dispensa per malattia (ad esempio qui), pensai di non dire la mia sull’argomento. Piuttosto, sarebbe stato meglio andare a pregare don Orione a San Benedetto, così da chiedergli d’intercedere per quel suo figlio così provato.
Anche in quel caso, però, mi distrassi e accantonai l’idea, almeno finché, a giugno, non ho saputo della morte di don Michał. Sentendomi tremendamente in colpa, andai alla chiesa orionina il giorno dopo la notizia: pregai a lungo all’altare del Santo suo fondatore, per chiedergli di portarlo con sé. Peraltro, nessuno in parrocchia sapeva di quella storia; nessuno dei laici collaboratori della segreteria, almeno, ai quali avevo chiesto di poter prendere libri e santini tra quelli che si vedevano in un armadio.
Pensai di prendere anche una selezione di pensieri del fondatore, ma rimandai ad altre occasioni. La preparazione di questo post sarebbe stata quella migliore, ma non mi sento ancora di muovermi troppo per Milano come fino a tre mesi fa.
L’idea d’inserire don Orione nella mia lista di santi da invocare in tempo di pandemia è venuta, alla fine, dopo aver appreso che sono morti sette sacerdoti Figli della Divina Provvidenza e cinque Piccole Suore Missionarie della Carità, anche se per un sacerdote non c’è sicurezza, dato che era molto anziano.
Il suo Vangelo
Il nome di san Luigi Orione è uno di quelli che vogliono “dire carità”, per riprendere la pubblicità di una marca di salumi (credo di averlo già scritto, ma non ricordo per chi). In effetti, il modo con cui lui visse il Vangelo era proprio quello di raccogliere per vero amore e prendersi cura di quella parte del popolo di Dio che poteva sembrare più scartata: disabili (per i quali aveva pensato anche a modalità inconsuete di consacrazione), orfani, poveri sfollati. Il suo amore per la Chiesa avvolgeva loro, ma anche la persona del Papa, chiunque fosse: insieme alla redenzione sociale degli umili, la fedeltà al Pontefice è tuttora uno dei capisaldi della spiritualità orionina.
Molti hanno fondato opere caritative e meritorie, ma lui si distacca per una consapevolezza particolare: che la santità di uno debba riverberarsi in un’azione che non porti solo ad ammirarlo, ma a cambiare il contesto in cui si vive. In un appunto senza data precisa, ma risalente al 1939, annotava infatti:
Dobbiamo essere
santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto
dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto
splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini, da essere, più
che i santi della Chiesa, i santi del popolo e della salute sociale.
Pur
senza che se lo aspettasse, ora lo veneriamo come Santo in tutte queste accezioni.
Per
saperne di più
Flavio
Peloso – Giovanni Venturelli, San Luigi Orione. L'apostolo della carità,
Velar – Elledici 2004, pp. 48, € 4,00.
Biografia
piccola, curata anche da uno dei maggiori storiografi orionini.Arcangelo Campagna, San Luigi Orione, Marna – Velar 2013, pp. 488, € 22,00.
Biografia più volte ampliata e ristampata, scritta da un sacerdote Figlio della Divina Provvidenza.
Luigi Orione (a cura di Flavio Peloso), Fede speranza carità, San Paolo Edizioni 2013, pp. 256, € 14,00.
Raccolta di brani dai suoi scritti e dai suoi discorsi sui temi delle virtù teologali e della sua esperienza di Dio.
AA. VV., San Luigi Orione: da Tortona al mondo. Atti del Convegno di studi (Tortona, 14-16 marzo 2003), Vita e Pensiero Edizioni 2004, pp. 312, € 25,00
Atti del convegno promosso in vista della canonizzazione, che ricostruiscono il rapporto di don Orione con la società del suo tempo, con la realtà della sua diocesi e con la Chiesa a tutti i livelli.
Giuseppe
Umberto Maria Lo Bianco e Enrico Casolari (a cura di), Il Volto di Don Orione, Velar
2006.
Una
selezione dal ricchissimo patrimonio dell’Archivio Generale Don Orione. Si può
ordinare direttamente all’Ufficio Stampa presso la Sede generalizia, ai contatti
che si trovano qui.
Su Internet
Sito istituzionale ufficiale della Piccola Opera della Divina Provvidenza
Sito
della Provincia italiana della Piccola Opera della Divina Provvidenza
Sito
di approfondimento storico e spirituale, a cura di don Flavio Peloso
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