Nunzio Sulprizio, quando il bene di Dio è più forte del male

Dipinto di Sofia Novelli
realizzato per la rassegna Il volto di Nunzio,
esposto attualmente nel piccolo museo
interno alla chiesa di San Domenico Soriano a Napoli.
Di solito preferisco le immagini ufficiali,
ma questa mi ha letteralmente conquistata.
Chi è?

Nunzio Sulprizio nacque a Pescosansonesco, oggi in diocesi di Pescara-Penne, il 13 aprile 1817, unico figlio di Domenico Sulprizio, calzolaio, e Domenica Rosa Luciani, filatrice.
A tre anni rimase orfano di padre e, tre anni dopo, anche di madre. Il secondo marito della madre non ebbe per lui considerazione, per cui il bambino fu affidato ad Anna Rosaria del Rosso vedova Luciani, sua nonna materna. Da lei ebbe una buona formazione religiosa, mentre per l’istruzione seguì la scuola parrocchiale.
Dopo aver perso anche la nonna, a nove anni, Nunzio andò a vivere dallo zio Domenico Luciani e lavorò come apprendista fabbro ferraio nella sua bottega. Durante una consegna di lavoro, in pieno inverno, si ammalò tanto da non riuscire più ad alzarsi: oltre alla febbre, gli si era gonfiata la gamba sinistra.
Un altro zio, Francesco Sulprizio, militare a Napoli, fu informato da un compaesano delle condizioni del nipote. Lo fece venire da lui e lo presentò al proprio superiore, il colonnello Felice Wochinger, che provvide a ricoverarlo all’ospedale di Santa Maria del Popolo, detto “degli Incurabili”. Gli fu diagnosticata una carie ossea, ossia una grave malattia dell’apparato muscolo-scheletrico.
Lì Nunzio ricevette la Prima Comunione, che al suo paese, per consuetudine, non veniva amministrata prima dei quindici anni (e lui ne aveva uno in meno). Il suo comportamento e la carità che mostrava anche nei confronti degli altri degenti stupivano quanti entravano in contatto con lui.
Desiderava farsi religioso: per questa ragione, il colonnello gli fece conoscere don Gaetano Errico, fondatore in quegli stessi anni, dei Missionari dei Sacri Cuori (canonizzato nel 2008). L’aggravarsi della malattia non portò a compimento quel desiderio, ma Nunzio si attenne al regolamento di vita che si era dato, a cui non venne mai meno.
Verso la metà del 1835 peggiorò ancora, tanto che non si procedette neanche ad amputargli la gamba. Morì alle 21 del 5 maggio 1836; aveva compiuto diciannove anni quasi un mese prima.
Beatificato da san Paolo VI il 1° dicembre 1963, è stato canonizzato da papa Francesco il 14 ottobre 2018, durante il Sinodo dei Vescovi su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».
I suoi resti mortali sono venerati presso la parrocchia di San Domenico Soriano a Napoli, ma altre reliquie del suo corpo sono custodite nel santuario di Pescosansonesco dedicato a lui.

Cosa c’entra con me?

Pur avendo origini napoletane, non avevo mai sentito parlare di Nunzio fino agli anni universitari. Ho un vaghissimo ricordo di aver letto la sua scheda biografica su santiebeati.it e di essere rimasta colpita dalle numerose prove che patì, ma nulla di più. Forse la ragione era che mi ero lasciata angosciare dagli aspetti negativi, trascurando il fatto che lui, stando alle testimonianze, era sempre gioioso.
Ritrovarlo tra le pagine de Il paradiso siamo noi, il primissimo repertorio di santità giovanile riconosciuta che avessi mai consultato, mi fece molto bene. Riuscii a capire che non dovevo considerarlo solo per le sue sofferenze, né equipararlo automaticamente a san Luigi Gonzaga, se non altro perché i loro percorsi di vita erano profondamente diversi.
Sul finire del 2016, non ricordo più per quale ragione, lessi un articolo in cui si parlava della visita del cardinal Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, a Pescosansonesco. Mi sorprese vedere che lui accennava a un presunto miracolo in fase di esame, che avrebbe garantito la canonizzazione di Nunzio: altre volte, infatti, mi era stato fatto presente che sui miracoli, specie quelli per i futuri Santi, grava una sorta di embargo.
In ogni caso, per sapere se includerlo nella revisione della scheda o di aspettare almeno il decreto sul miracolo, pensai di dover sentire il rettore del santuario di Pescosansonesco, ma il mio contatto non ebbe buon fine. Pensavo che fosse più naturale interpellare il luogo dove nacque, solo perché non ricordavo che il grosso delle sue reliquie si trovava a Napoli.
Il sito della diocesi mi confermò che il postulatore era il parroco di San Domenico Soriano, quindi non ci volle molto per trovare i suoi contatti. Lui fu ben lieto di aiutarmi e mi segnalò la pagina Facebook della parrocchia, dato che era in corso il Giubileo per il bicentenario della nascita del Beato: lì, però, la canonizzazione era data per imminente, con tanto di appositi hashtag.
Pur pensando che, a quel punto, valeva attendere ancora, decisi di visitare la chiesa dov’era venerato. Il 17 agosto 2017, quando arrivai là con mia madre, il parroco era assente, per cui feci quel che era più necessario: pregare di fronte all’urna del Beato, accendere un paio di candele e prendere qualche santino; pochi, però, dato che speravo di prendere presto quelli con l’ovvia modifica nel titolo. Visitai anche la chiesa di Santa Maria di Caravaggio dei Barnabiti, ma la storia del mio legame col Venerabile padre Vittorio Maria De Marino, come si dice, è un’altra.
Qualche mese dopo, nella mia parrocchia arrivò un seminarista tirocinante, nativo dell’Abruzzo. Parlando con me di Santi e affini, mi disse di essere molto devoto del Beato Nunzio e di attendere con ansia la sua canonizzazione.
Quel ragazzo accennò alla storia del suo compaesano anche al sacerdote del mio oratorio, il quale, a sua volta, si rivolse a me. Sapendo che spingere sulle disgrazie di Nunzio non avrebbe giovato a far interessare il don a lui, pensai di fare leva su altri aspetti: lo sfruttamento come garzone di bottega, oppure il sogno della consacrazione che non si era realizzato.
Quando fu fissata la data della canonizzazione, pensai di avere il via libera per l’aggiornamento della scheda. Per completezza, però, avevo bisogno di altri dati, che solo il postulatore poteva fornirmi. Tornai quindi a farmi sentire da lui, ma era, comprensibilmente, molto impegnato. A quel punto, pensai che avrei dovuto tornare a San Domenico Soriano approfittando delle successive vacanze estive e dell’indulgenza plenaria offerta il 5 di ogni mese, alle solite condizioni.
Dato che quell’anno non sono partita per Napoli in tempo per il 5 luglio o il 5 agosto, perché impegnata nelle prove per l’incontro dei giovani italiani col Papa (qui la cronaca), di nuovo d’accordo con mia madre, fissai l’appuntamento col postulatore al 5 settembre, il giorno prima di tornare a Milano.
Come già raccontavo, pochi giorni prima avevo visitato Torre del Greco, luogo di nascita e di ministero di un altro personaggio che sarebbe stato canonizzato il successivo 14 ottobre (Nunzio venne aggiunto dopo, nel Concistoro di sabato 9 giugno 2018), don Vincenzo Romano.
Dopo aver ottenuto le informazioni che mi occorrevano per completare l’articolo, partecipai alla Messa, nella quale il postulatore tenne l’omelia. Mi rimase impressa la definizione che aveva dato: Nunzio era orgoglioso di essere discepolo del Signore. Oggi mi fa pensare a quelle volte in cui il mio arcivescovo afferma che dobbiamo essere fieri della fede che viviamo, ma non dobbiamo però tenerla per noi.
Alla canonizzazione non c’ero, perché avevo promesso che avrei partecipato alla prima celebrazione del genere per un candidato nativo della mia diocesi (anche se san Francesco Spinelli era nato a Milano e san Paolo VI era stato arcivescovo, quindi comunque entrambi erano “di casa nostra”). Allo stesso modo, mi ero impegnata a tornare da Nunzio ormai Santo, ma non ci sono ancora riuscita.
Un’altra promessa che avevo rivolto al postulatore era che avrei dedicato un post al suo assistito. Lo faccio oggi perché penso che san Nunzio abbia molto da insegnare ai malati di questa pandemia. Lo stesso sacerdote ne è convinto, come ha dichiarato lo scorso 22 aprile, in collegamento con la trasmissione Bel tempo si spera di TV 2000 (la parte su san Nunzio è da 36:40 a 1:07:35).


Il suo Vangelo

San Nunzio ha annunciato, con i suoi diciannove anni di vita, che nel Signore si può trovare una forza che l’uomo da solo non può darsi. Altrimenti, risulterebbe difficile pensare che un ragazzo come lui, anche dei suoi tempi, potesse affrontare il lavoro, la fatica fisica e la malattia in maniera così serena.
Era poi sicuro che nella vita non ci sono solo aspetti spiacevoli, ma tanti segni di bene, che arrivano dalle persone che ci stanno accanto. Per lui sono stati in particolare sua nonna e il colonnello Wochinger a concretizzare l’amore e la Provvidenza divini, tanto da portarlo ad affermare:
Tutto il bene viene da Dio.
L’autore del libro di Giobbe, invece, metteva in bocca al suo protagonista l’affermazione per cui da Dio, dal quale riceviamo già il bene, dobbiamo accogliere anche il male. La sua concezione era diversa da quella del santo abruzzese, che aveva incontrato Gesù e sentiva, contemplando la Croce, di poter essere anche lui segno che indicasse la salvezza a tanti.

Per saperne di più

Antonio Salvatore Paone, San Nunzio Sulprizio – Gloria dei giovani, Velar 2018, pp. 48, € 4,00.
Biografia curata dal postulatore, già uscita prima della canonizzazione, poi aggiornata e ristampata.

Valentino Salvoldi, Cammino verso la santità. Nunzio Sulprizio, patrono dei giovani, Velar 2018, pp. 32, € 3,50.
Più che una biografia, una riflessione sulla sua vita e sugli spunti che può offrire.

Edoardo De Luca, San Nunzio Sulprizio. Il sentiero della semplicità, Lupieditore.
Uscito due mesi dopo la canonizzazione, scritto da un giovane devoto. È sicuramente disponibile presso il santuario di Pescosansonesco.

Su Internet

Pagina Facebook della parrocchia di San Domenico Soriano, ormai dei Santi Domenico Soriano e Nunzio Sulprizio
Pagina Facebook del santuario di San Nunzio a Pescosansonesco
Scheda biografica sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni

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