Padre Vittorio Maria De Marino, servo della speranza
Chi è?
Ritratto fotografico
di padre Vittorio Maria De Marino,
ricavato da una foto di gruppo
|
Dopo le scuole elementari, studiò fino alla
quarta ginnasiale (corrispondente al primo anno della scuola secondaria) al
collegio privato “Vittorio Alfieri”, ma tornò al suo paese a causa dello scarso
rendimento scolastico. Per il triennio del liceo fu invece allievo del Collegio
Bianchi di Napoli, retto dai Chierici Regolari di San Paolo, ovvero i
Barnabiti. Concluse gli studi, ma fu respinto all’esame di maturità; lo superò
l’anno successivo.
Nel 1881 s’iscrisse alla Facoltà di Medicina
e di Chirurgia della I Clinica Medica dell’Università di Napoli, laureandosi il
10 agosto 1887. Durante gli studi universitari continuò a frequentare i
Barnabiti del “Bianchi”, perché sentiva di essere chiamato a entrare nel loro
Ordine.
Tuttavia, i genitori gli concessero di farlo
solo dopo la loro morte. Vittorio obbedì: per i successivi ventitré anni
assistette loro e la sorella Aspasia, malata di cancro all’arto inferiore
sinistro.
Il 25 febbraio 1895 fu nominato medico presso
gli Ospedali degli Ospizi di Napoli, ma scelse di esercitare la libera
professione medica. Continuava a stare accanto ai suoi familiari e in più prestava
gratuitamente la sua opera nella sacrestia della chiesa di Santa Maria della
Provvidenza alla Salute, la sua parrocchia, nelle abitazioni del Rione Sanità, dove
si era trasferito con la famiglia, e in molte comunità di suore.
Il sogno di diventare Barnabita non lo aveva
abbandonato: vincendo le proprie difficoltà, studiava privatamente Teologia nel
tempo libero, specie di notte. Il 20 febbraio 1910, dopo i genitori, morì anche
Aspasia. Vittorio poté quindi fare domanda per essere accettato tra i Barnabiti.
Il 21 aprile dello stesso anno partì per San Felice
a Cancello, sede del noviziato; il 4 luglio successivo fece la vestizione
religiosa. Il 5 luglio 1911 professò i voti religiosi, aggiungendo, il nome di
Maria a quello che già portava, secondo l’uso dei Barnabiti. Fu ordinato
sacerdote il 20 settembre 1913 a Roma, nella basilica di San Giovanni in
Laterano, mentre il 6 luglio 1914 compì la professione solenne dei voti.
La sua prima destinazione fu San Felice a
Cancello, dove fu preposto (ovvero superiore della comunità) e superiore dei
novizi, ma si dedicò anche alla predicazione e alla direzione spirituale. A causa della prima guerra mondiale, la casa
di formazione fu requisita e destinata a ospitare alcuni soldati. In più, il
paese era rimasto senza assistenza medica. Per queste ragioni, ottenuto il
permesso dei superiori, padre Vittorio Maria tornò a fornire consigli anche
medici, dirigendosi perfino nelle zone più remote della campagna circostante.
Dal 1922 al 1924 fu rettore della Scuola
Apostolica (la struttura per i probabili futuri membri dell’Ordine
barnabitico) di Arpino, mentre nel 1924 passò alla comunità di Santa Maria di
Caravaggio a Napoli. Tornò a San Felice a Cancello nell’ottobre 1928, ma ormai
era malato di tumore alla prostata. Morì il 16 luglio 1929,
presso il Collegio Bianchi di Napoli.
Le
fasi iniziali della sua causa di beatificazione e canonizzazione si svolsero prima
presso la diocesi di Acerra, poi presso quella di Napoli. Il 21 dicembre 1992, alla presenza del
Papa san Giovanni Paolo II, fu promulgato il decreto con cui padre
Vittorio Maria De Marino veniva dichiarato Venerabile.
I
suoi resti mortali riposano dal 2 maggio 1954 nella prima cappella a destra
dell’ingresso della chiesa di San Giovanni Evangelista a San Felice a Cancello.
Cosa c’entra con me?
Pur avendo una certa conoscenza, almeno di
nome, di alcuni dei candidati agli altari dell’Ordine dei Barnabiti, non credo di essermi
mai imbattuta in padre De Marino fino al 17 agosto 2017. Quel giorno, durante
le mie consuete vacanze napoletane, avevo deciso di andare in piazza Dante per
vedere la chiesa dov’era venerato Nunzio Sulprizio, all’epoca ancora Beato.
Sulla
stessa piazza, anzi, sullo stesso marciapiede si trova la chiesa di Santa Maria
di Caravaggio, che sapevo appartenere ai Barnabiti. Entrata lì anche per
venerare le spoglie di san Francesco Maria Bianchi, ho scoperto che c’era la
Messa alle 11. Ho chiesto a mia madre, che mi accompagnava, se potevamo
restare; mi disse di sì.
Con mia grande sorpresa, il celebrante era
quello stesso religioso nativo della mia vecchia parrocchia che qualche volta
avevo assistito in un paio di Messe feriali, durante alcune visite in famiglia.
Dopo la celebrazione sono andata da lui per salutarlo: si ricordava di me anche
perché aveva risposto lui alla mail con cui avevo segnalato alla Pastorale
Giovanile dei Barnabiti il mio post sul loro fondatore, sant’Antonio Maria Zaccaria.
Già che ero là, ho chiesto santini non tanto di
padre Bianchi (li avevo trovati nella chiesa dei SS. Paolo e Barnaba in via
Commenda a Milano), quanto del Venerabile Francesco Maria Castelli, chierico
barnabita pure lui sepolto là, di cui avevo corretto poco prima la scheda
biografica per santiebeati. Il sacerdote mi segnalò anche padre De
Marino e m’invitò a prendere materiale anche su di lui.
Come
spesso mi accade, quelle immagini e quegli opuscoli sono rimasti nel sacchetto
in cui li avevo sistemati fino al 2018, quando ho letto la notizia del decreto
sull’eroicità delle virtù di don Luigi Maria Raineri, chierico barnabita (per
questo “don”, non “padre”) morto durante la prima guerra mondiale. Cercando in Rete
informazioni su di lui, ho trovato un articolo alle pp. 272-387 di Barnabiti Studi 34 (2017) a firma del postulatore
generale, in cui menzionava le cause dell’Ordine seguite dal suo predecessore, padre Umberto M. Fasola.
Passando
in rassegna le schede relative, ho trovato che quella di padre De Marino era molto
da rivedere. Così, conclusa quella di don Raineri, ho ripreso in mano il materiale
e continuato le ricerche online.
Il
primo aspetto che mi ha colpita di lui, oltre alla coincidenza del giorno della sua morte con quello della mia nascita (ovviamente in un anno diverso) è stato la sua scelta di non seguire la
vocazione, per stare accanto ai suoi cari anche come medico. Altre volte mi era
capitato di leggere di donne alle quali era stata chiesta la stessa rinuncia;
quasi mai, invece, di uomini.
Un
lato che invece ho trovato curioso, ma non troppo a ben vedere, era la sua
verecondia nel visitare: mai “a corpo nudo”, come si diceva. Questo lo rendeva
molto gradito alle comunità di suore, che così, pur trovandosi di fronte a un
uomo, potevano essere esaminate senza sentirsi lese nel loro pudore.
Più
di tutti, ha destato la mia ammirazione il modo con cui si rese disponibile ad
aiutare prima i soldati che avevano occupato la casa di noviziato, poi i
sanfeliciani, ai quali dava conforto e consigli medici. In questi giorni di
emergenza sanitaria, ho letto tante storie di sacerdoti che, prima dell’ordinazione,
erano infermieri o medici: il suo caso mi sembra molto simile al loro, anche se
lui non tornò in ospedale, né prestò più visite vere e proprie.
Non
è però la prima volta che padre De Marino mi torna alla mente. Lo citavo già
nel post sul Servo di Dio Eustachio Montemurro, che divenne sacerdote dopo molti anni trascorsi
come medico. Ho poi apprezzato molto che san Giuseppe Moscati lo avesse conosciuto
inizialmente come collega e che, basandosi anche su questo terreno comune, ne avesse
fatto il proprio confessore.
Se
il professor Moscati ne aveva grande stima, non valeva lo stesso per i colleghi
Michele Ferrara e Domenico Liparulo, i quali lo accusarono di esercizio
indebito della professione medica, forse per invidia o, più probabilmente, per
ragioni economiche. Con loro, come anche in altri momenti della vita, cercò di
conformare il proprio comportamento a quello di Gesù durante la Passione, ossia
tacendo. Gli costava parecchio, dato che aveva un carattere facilmente
irritabile; da fuori, però, manteneva un contegno sorridente.
Consultando il sito curato dal Centro Studi Storici dei Barnabiti, ho poi trovato questa preghiera in cui la sua intercessione contro l’epidemia in corso viene richiesta con poche e semplici parole. Evidentemente, i suoi confratelli devono aver pensato a lui come ho fatto io, anche se con un’associazione leggermente diversa.
Il suo Vangelo
Il tratto del servizio mi sembra essere il modo particolare con cui padre De Marino ha incarnato il Vangelo. Lui stesso lo prese come motto per la sua vita sacerdotale.
Nei suoi educatori al Bianchi ammirò il servizio educativo e la pazienza con cui cercavano non solo d’istruirlo, tanto da desiderare di essere uno di loro. Per un momento lungo ventitré anni, Dio gli chiese un’altra forma di servizio, quella di stare vicino ai suoi familiari, pur senza dimenticare i bisognosi del quartiere dov’era andato ad abitare.
Ai giovani di cui fu il superiore insegnò a non arrendersi di fronte alle prime difficoltà o a un ambiente difficile per la carestia e la guerra. Non diversamente si comportava con i malati: quando non era ancora religioso, la prima medicina che dava loro era quella della speranza. Quando gli fu concesso di poter assistere i sanfelicesi sia con i Sacramenti, sia mediante consigli medici, non dimenticò di raccomandare loro di pregare e di sperare nella vita eternamente beata.
Infine, come ministro di Dio (che è poi un altro modo di dire “servo”), con la parola e l’atteggiamento esteriore invitava a dare a Lui solo il merito di tutto. Di sé stesso, infatti, disse:
Consultando il sito curato dal Centro Studi Storici dei Barnabiti, ho poi trovato questa preghiera in cui la sua intercessione contro l’epidemia in corso viene richiesta con poche e semplici parole. Evidentemente, i suoi confratelli devono aver pensato a lui come ho fatto io, anche se con un’associazione leggermente diversa.
Il suo Vangelo
Il tratto del servizio mi sembra essere il modo particolare con cui padre De Marino ha incarnato il Vangelo. Lui stesso lo prese come motto per la sua vita sacerdotale.
Nei suoi educatori al Bianchi ammirò il servizio educativo e la pazienza con cui cercavano non solo d’istruirlo, tanto da desiderare di essere uno di loro. Per un momento lungo ventitré anni, Dio gli chiese un’altra forma di servizio, quella di stare vicino ai suoi familiari, pur senza dimenticare i bisognosi del quartiere dov’era andato ad abitare.
Ai giovani di cui fu il superiore insegnò a non arrendersi di fronte alle prime difficoltà o a un ambiente difficile per la carestia e la guerra. Non diversamente si comportava con i malati: quando non era ancora religioso, la prima medicina che dava loro era quella della speranza. Quando gli fu concesso di poter assistere i sanfelicesi sia con i Sacramenti, sia mediante consigli medici, non dimenticò di raccomandare loro di pregare e di sperare nella vita eternamente beata.
Infine, come ministro di Dio (che è poi un altro modo di dire “servo”), con la parola e l’atteggiamento esteriore invitava a dare a Lui solo il merito di tutto. Di sé stesso, infatti, disse:
Fui prima niente, poi
un meschino medico ed ora sono la chimera dei religiosi.
Può sembrare indizio di una scarsa stima di sé,
ma i testi dei processi di beatificazione hanno confermato che non per questo
appariva depresso e scontento.
Su Internet
Su Internet
Ufficio Centrale per le Comunicazioni, Venerabile P. Vittorio M. De Marino. Stimarmi sempre come servo. «Il barnabita medico dei poveri». A 150 anni dalla nascita, Roma 2014, pp. 16.
L’opuscolo che avevo trovato a Santa Maria di Caravaggio, edito nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di padre De Marino. Si può scaricare da qui.
Vittorio Maria De Marino: Un medico
Venerabile sulle orme di un medico Santo
Una serie di articoli di padre Mauro Regazzoni, Postulatore generale, pubblicata sull’Eco dei Barnabiti nel 2016 (prima, seconda terza e quarta parte) e basata sulle testimonianze rese durante i processi della sua causa.
Una serie di articoli di padre Mauro Regazzoni, Postulatore generale, pubblicata sull’Eco dei Barnabiti nel 2016 (prima, seconda terza e quarta parte) e basata sulle testimonianze rese durante i processi della sua causa.
Commenti
Posta un commento