Fra Pasquale Baylón, maestro nella semplicità guidato dallo Spirito


Statua venerata
nella chiesa di San Pasquale al Granatello a Portici
(solitamente è esposta nella navata sinistra)
(fonte: pagina Facebook della parrocchia)
Chi è?

Pascual Baylón (o Bailón) nacque a Torre Hermosa, nell’allora Regno di Aragona, il 16 maggio 1540, giorno in cui quell’anno cadeva la Pentecoste (che è detta anche “Pasqua di rose” perché spesso cade in maggio; per questo lui ebbe quel nome).
I suoi genitori, Martín Baylón e Isabel Yubera, erano molto poveri, per cui dovette iniziare a lavorare come pastore. Mentre pascolava le pecore, trascorreva molto tempo a pregare, iniziando a pensare di diventare religioso.
Bussò quindi alla porta del convento di Santa Maria di Loreto a Monforte del Cid, dei Frati Minori Riformati o Alcantarini (dal nome dell’iniziatore di quel nuovo stile di francescanesimo, frate Pedro de Alcántara, morto nel 1562 e canonizzato nel 1669). Il padre guardiano, ossia il superiore del convento, gli suggerì di riflettere con attenzione prima d’intraprendere quel cammino.
Pascual, a quel punto, decise di mettersi a servizio di Martín García, un ricco proprietario di greggi. Costui, sposato, anziano e senza figli, gli propose di adottarlo. Il giovane pastore rifiutò, perché voleva vivere da consacrato e in povertà. Il dialogo fu riferito ai frati, che a quel punto accettarono di riceverlo tra di loro.
Il 2 febbraio 1564 Pascual fu ammesso al noviziato; emise la professione religiosa un anno dopo. Dal 1573 al 1589 passò per vari conventi delle provincie religiose di Alicante e Castellón, addetto ai servizi di portinaio, cuciniere, questuante e ortolano. Quando i superiori gli chiesero di cominciare a studiare per ricevere l’ordinazione sacerdotale, replicò che gli bastava essere un religioso fratello.
Nel 1576 il Ministro Provinciale l’inviò a Parigi per consegnare un’importante lettera al Ministro Generale di tutto l’Ordine francescano. Frate Pascual si mise in cammino, ma, giunto a Orléans, rischiò la vita perché fu pesantemente picchiato da alcuni ugonotti, i quali, subito dopo, gli chiesero se credesse nella presenza di Gesù nell’Eucaristia. Rientrò al suo convento invecchiato di colpo e segnato nel fisico.
Trascorse i suoi ultimi tre anni di vita nel convento di Vila-Real, sempre come portinaio e questuante. Proprio durante un giro di questua, si accasciò a terra: comprese che la sua fine era prossima. Morì quattro giorni dopo, a Vila-Real, il 17 maggio 1592; ancora una volta, era la domenica di Pentecoste.
Fu proclamato Beato da papa Paolo V il 29 ottobre 1618 e canonizzato il 16 ottobre 1690 da papa Alessandro VII. Col Breve Providentissimus Deus del 28 novembre 1897, papa Leone XIII lo costituì patrono speciale dei Congressi Eucaristici e di tutte le associazioni, anche future, in onore dell’Eucaristia.
I suoi resti mortali, venerati nella chiesa del convento di Vila-Real, furono profanati e dispersi durante la guerra civile spagnola. Quel poco che fu possibile recuperare venne restituito ai frati nel 1952; da allora sono custoditi nella stessa chiesa.

Cosa c’entra con me?

Penso di aver incontrato per la prima volta san Pasquale dal salumiere vicino alla casa di una mia zia di Portici: una piccola statua, nella quale era raffigurato in contemplazione di un Ostensorio posto fra le nuvole, si vedeva benissimo dietro al bancone. Non ricordo se da piccola i miei parenti mi portassero spesso nella chiesa dedicata a lui, situata nei pressi del porto del Granatello, perché è un po’ distante da dove abita la zia.
Almeno di nome lo conoscevo, però, perché ricordo di avere letto, su quei redazionali di Topolino che facevano da agenda della settimana, la filastrocca che lo proclama «protettore delle donne» nella variante che si conclude con «come te, tale e quale, o beato san Pasquale». Non capivo perché invocarlo così, comunque.
Di certo, nessuno mi ha mai spiegato né quand’era vissuto, né come o perché entrò tra i Frati Minori Alcantarini (poi confluiti nell’Ordine dei Frati Minori) e neanche la ragione per cui era raffigurato mentre contemplava estatico l’Eucaristia.
Circa dieci anni fa, una delle mie cugine di Portici mi mandò una medaglietta e un libriccino con la vita, il quale però non mi convinse molto: le prime pagine contenevano quelli che a me sembravano luoghi comuni poco verosimili, relativamente alla sua infanzia.
Grazie alle Figlie di San Giuseppe di Rivalba, se non sbaglio, ho scoperto che era il patrono delle opere eucaristiche e che, di conseguenza, era molto venerato anche da loro, grazie al compito di confezione di tutto quello che compete al culto eucaristico dato dal loro fondatore, il Beato Clemente Marchisio.
Nel frattempo, avevo cominciato a visitare ogni tanto anche la chiesa del Granatello, durante le vacanze. Restavo però nell’ignoranza circa altri fatti della sua vita, anche se ormai ero sicura che il suo patronato più noto non fosse mai stato ratificato.
Correggendo dal punto di vista della sintassi la sua scheda biografica per santiebeati, ho finalmente appurato la sua vera storia: come da pastorello pascolava apposta in vista del santuario di Nostra Signora de la Sierra, come aveva rifiutato di essere adottato dal suo datore di lavoro perché desiderava farsi frate e come si univa in spirito alla Messa celebrata dai frati di Nostra Signora di Loreto, appena sentiva rintoccare la campana in modo particolare.
Mi colpì poi la sua difesa dell’Eucaristia, che non culminò con la morte violenta: in epoca di guerre di religione, lui aveva fatto presente le verità della fede disputando correttamente con i suoi aggressori ugonotti. Mi fece pensare a quella volta che, parlando con una mia compagna universitaria cattolica, mi venne da compiangere chi non crede che Gesù è tutto presente nel Santissimo Sacramento: non sa cosa si perde, commentai.
Leggendo un’altra biografia, ho trovato un parallelo tra lui e il contadino di cui parla un apologo di cui circolano varianti diverse, tutte accomunate dal fatto che quell’uomo, per pregare, ripeteva di continuo l’alfabeto. Pasquale, invece, imparò a leggere sul Piccolo Ufficio della Vergine Maria, fermando i passanti per chiedere come si pronunciassero le parole. Quanto alla scrittura, copiava le lettere usando una canna come penna e un impasto di acqua e fuliggine come inchiostro.
Frequentando la chiesa del Granatello, ho scoperto anche la figura di fra Umile Fidanza, morto il 3 marzo 1990. Il popolo di Portici gli attribuiva segni e prodigi, che lui invece, facendo fede al suo nome, riferiva alle preghiere che rivolgeva a Dio mediante san Pasquale. Ora che ci penso, meriterebbe anche lui un post.
Lo scorso anno, la mia permanenza a Portici prima del matrimonio di un’altra mia cugina corrispondeva precisamente alla festa con la processione. Pur meravigliata dalla folla e dalle luci, mi sono chiesta quanti tra i fedeli conoscono davvero la sua vita e le sue virtù e s’impegnino a farle proprie. So che i frati sono molto attenti a questo e promuovono varie iniziative, sia di carità, sia di preghiera, specie il 17 di ogni mese (quest’ultima proposta è un’eredità dei “ritiri di perseveranza” voluti da fra Umile, se non sbaglio).
In questi giorni di distanza dall’Eucaristia celebrata di persona, san Pasquale mi è stato costantemente presente. Affacciandomi alla finestra di casa, infatti, vedo l’abside della mia chiesa parrocchiale: come faceva lui quando sentiva le campane, penso che Gesù si trova nel Tabernacolo e prego di poterlo ricevere di nuovo sotto le sacre specie.

Il suo Vangelo

L’unico onore che san Pasquale ricercò fu di essere frate minore secondo lo stile di san Francesco vissuto ancora più seriamente da san Pietro d’Alcántara. Il suo unico amore fu l’Eucaristia, che difese quasi fino al sangue. L’unica donna della sua vita fu la Vergine Maria, tanto che moderava i suoi istinti anche con mezzi che oggi reputeremmo esagerati.
In ultima analisi, la sua esistenza fu pienamente eucaristica perché seppe riconoscere i doni di Dio, compreso quello del Pane consacrato. Anche se non era molto istruito, era ricercato dal popolo e dai confratelli per la sua sapienza, che dopotutto è uno dei doni dello Spirito Santo.
Gli scritti che ha lasciato contengono tracce di quella sapienza:
Rendi molte, anzi infinite grazie, rallegrandoti della potenza e della bontà del Signore, che ti elargisce doni e benefici, per i quali ora gli rendi grazie. E se vuoi che il tuo rendimento di grazie sia accetto a Dio, prima di farlo, umilia, rinnega e disprezza te stesso, riconoscendo la tua povertà e miseria, sì da comprendere che tutto quello che hai, lo hai ricevuto dalla munificenza di Dio, godendo e rallegrandoti nel vederti arricchito di grazia e di doni, e poco considerando il bene o l'utilità che ne potrebbe derivare, affinché tu possa meglio servire Dio.
Oggi al Granatello la festa è ridotta, ma spero ugualmente che da domani, con la ripresa delle Messe col popolo, tutti i fedeli, porticesi e non, chiedano a san Pasquale un amore sempre più grande per il Santissimo Sacramento.

Per saperne di più

Silvano Bracci, San Pasquale Baylón - L'innamorato dell'eucaristia, Velar – Elledici 2012, pp. 48, € 3,50.
Biografia sintetica e illustrata.

Louis-Antoine De Porrentruy, La vita autentica di san Pasquale Baylon - Patrono dei congressi e delle associazioni eucaristiche, Libreria Editrice Vaticana 2016, pp. 292, € 24,00.
Biografia basata sulle deposizioni dei processi di beatificazione e canonizzazione, pubblicata nell’originale francese nel 1899.

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