Sulla scia di… Carlo Acutis

Questa e le altre foto del post sono opera mia


Oggi si è aperto ufficialmente l’ultimo tratto di preparazione alla beatificazione di Carlo Acutis, con l’esposizione dei suoi resti mortali alla venerazione dei fedeli e l’inizio di incontri e convegni, secondo quanto indica il programma sul sito del Santuario della Spogliazione di Assisi.

Anch’io ho iniziato a prepararmi al pellegrinaggio diocesano, a cui mi sono iscritta appena possibile. A dire il vero, una tappa importante è stata la stesura di un articolo per Sacro Cuore VIVERE, la rivista dell’omonimo santuario dei Salesiani di Bologna: il direttore mi aveva suggerito di occuparmi di lui da tempo, ma io ho continuamente rinviato, perché temevo che non sarei stata in grado di aggiungere qualcosa di nuovo rispetto agli altri articoli usciti sul suo conto in tutti questi anni.

Alla fine, ho accettato di dedicargli la mia rubrica per il numero di dicembre, non di ottobre, perché era stata data priorità a un pezzo su don Olinto Marella, la cui beatificazione è prevista questa domenica 4 ottobre. Per ragioni di risparmio, l’uscita di dicembre è sostituita da un calendario 2021; di conseguenza, anche il contributo su Carlo passa all’anno prossimo.

A parte questo, avevo in animo da tempo di cercare le sue tracce nei luoghi della mia, anzi, della nostra città dove passava più spesso. Dopotutto, se è vero che Assisi, come lui stesso ammetteva, era il luogo dove si sentiva più felice, mentre Centola, il paese dei nonni materni, era un altro posto che amava molto, è Milano la città dove si è compiuta la maggior parte della sua «vita da figlio, vita da alunno, vita da sportivo, vita da amico, vita da compagno», come lasciò in un appunto manoscritto sulla sua agenda scolastica.

 

Un libro da restituire

 

Per il mio articolo e per abbozzare il mio itinerario, ho riletto L’Eucaristia: la mia autostrada per il Cielo di Nicola Gori, che già avevo. Quando si è conclusa l’inchiesta diocesana, invece, non avevo comprato Un genio dell’informatica in Cielo, dello stesso autore.

Dato che immaginavo che i contenuti fossero grosso modo gli stessi, ho pensato di chiederlo in prestito a don Matteo Baraldi, attuale vicario parrocchiale per la pastorale giovanile a Gesù Buon Pastore, San Francesco d’Assisi al Fopponino e Santa Maria Segreta; quest’ultima, per quelli che ancora non lo sapessero, era la parrocchia a cui Carlo apparteneva territorialmente e che frequentava più spesso.

Ho tenuto il libro ben oltre la scadenza fissata dal direttore, perché mi è servito per un altro articoletto. Prima del 10 di questo mese, però, credevo fosse giusto restituirlo al proprietario. Così, dopo uno scambio di e-mail, ho pensato di lasciarlo presso l’ufficio parrocchiale di Santa Maria Segreta.

Dal 2008, anno in cui ho iniziato a conoscere meglio la storia di Carlo, ogni anno andavo là per la Messa in suo suffragio, il 12 ottobre o a ridosso di quella data (se cadeva di domenica). Da quando non si è più celebrata lì ma ad Assisi, non ci sono andata più, anche perché non è vicinissima a casa mia.
L’ultima volta è avvenuta nel giugno 2016, quando ho partecipato a una vendita di torte per autofinanziare il viaggio verso la GMG di Cracovia, perché i giovani del Decanato Navigli, dove ora vivo, si erano associati a quelli del Decanato Vercellina, in cui appunto ricade Santa Maria Segreta. Credo sia stato allora che, per la prima volta, ho iniziato a ricorrere all’intercessione di Carlo; se non altro, speravo che potesse smuovere il buon cuore dei suoi comparrocchiani.

In ufficio ho trovato una gentile signora, che, naturalmente, mi ha chiesto la ragione della mia venuta. Ho tirato fuori libro e DVD e le ho chiesto di restituirli al don. Al vedere che la segretaria aveva un’espressione felice, mi è venuto spontaneo domandarle semmai avesse conosciuto Carlo. Ha risposto che l’ha visto un paio di volte, nulla di più.

Ho soggiunto che un po’ invidio i fedeli di quella comunità: saranno venute persone da mezzo mondo per vedere la chiesa dove pregava il nostro prossimo Beato, né più né meno di come ho fatto io andando a Ponticelli, nella parrocchia dov’era stato destinato don Fabrizio De Michino.

 

Un Tabernacolo davanti a cui pregare

 


Non potevo andarmene senz’aver pregato in chiesa, più o meno nel punto in cui, secondo le testimonianze, Carlo trascorreva molto tempo prima o dopo la Messa. Ammetto che ricordavo che il Tabernacolo fosse diverso, almeno, che la porticina non fosse quella, ma forse mi sbagliavo. La collocazione, invece, è rimasta al lato destro del presbiterio per chi entra, poco più avanti rispetto all’altare maggiore; ignoro se prima dell’adeguamento liturgico fosse dietro l’altare. 
Mi è venuto da pensare che, in fin dei conti, Carlo non avesse tutti i torti a pensare che noi oggi siamo forse più fortunati di coloro che vissero negli anni della vita pubblica di Gesù: loro hanno ascoltato i suoi insegnamenti per un tempo limitato, o comunque non gli sono stati sempre vicini. A noi, invece, basta andare nella chiesa più vicina e sappiamo di poterlo trovare in quel punto dove brilla un lume rosso.

 

Una scuola dove imparare

 

La seconda tappa che avevo in mente era l’Istituto Niccolò Tommaseo delle Suore Marcelline, dove Carlo ha frequentato parte delle elementari e le medie. Ovviamente, per le ragioni legate all’emergenza sanitaria e perché non avevo preannunciato la mia visita, non sono entrata a scuola. Mi ricordo, però, che proprio la prima volta in cui andai alla Messa di suffragio chiesi di poter visitare la cappella a una Marcellina che avevo conosciuto nella casa di piazza Cardinal Ferrari, ora destinata a quell’altra comunità.

A dirla tutta, la religiosa che all’epoca era preside era una delle persone meno propense a testimoniare a favore dell’esemplarità di Carlo: parlava in classe, a volte disturbava, oppure si meritava qualche nota. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da pensare: anche alcune consorelle non erano d’accordo a canonizzare santa Teresa di Lisieux, che oggi festeggiamo, perché in lei non avevano visto nulla di particolarmente esemplare.
Di fronte alla scuola c’è un giardino pubblico, dove Carlo si fermava a giocare. Al guardare le signore che portavano a spasso i cani, oppure i passanti frenetici, o ancora nello scorgere un sacco a pelo abbandonato in un angolo, ho supposto che non fosse differente lo scenario di quando lui si trovava lì.

Ho poi fantasticato su che genere di fratello maggiore sarebbe stato, per i fratellini gemelli venuti alla luce dopo il suo transito: il suo biografo ufficiale e postulatore, infatti, attesta che amasse molto stare in compagnia dei bambini più piccoli.

 

Una casa dove abitare

 

A proposito di famiglia, sul sito ufficiale e sulla prima biografia è riportato l’indirizzo di via Ludovico Ariosto 21; penso proprio che fosse il suo indirizzo di casa.

Anni fa ero andata a vedere, ovviamente da fuori, come fosse quel palazzo, così ci sono tornata. Si tratta di Casa Agostoni, un palazzo del 1909 in stile liberty, come si nota dalle due figure che campeggiano accanto al balcone sull’ingresso.
Anch’io, per anni, ho abitato in un palazzo dei primi del Novecento, non fosse che era uno di quelli che a Milano si chiamano “di ringhiera”, ossia edifici di edilizia popolare dove gli appartamenti di un piano danno tutti sullo stesso ballatoio, protetto appunto da una ringhiera.

Ho concluso che non conta il palazzo in cui si abita, ma come si vive la propria strada e il proprio quartiere. Da quando ho traslocato me ne rendo sempre più conto.

 


La foto panoramica forse non rende bene, ma all’estremità sinistra c’è Santa Maria Segreta, mentre a quella destra il palazzo di via Ariosto 21. Letteralmente, lui aveva il Signore dietro l’angolo!

 

Una strada su cui salutare


Per il mio itinerario, avevo deciso di rifarmi non solo a quanto raccontato nella prima biografia, ma anche a un articolo (Nella Milano di Carlo Acutis la fede trasformata in opere) comparso a pagina III della Cronaca dalla Lombardia di Avvenire del 23 febbraio scorso, il giorno successivo alla notizia del decreto sul miracolo.

Il giornalista Danilo Poggio ha interpellato infatti monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio per le Cause dei Santi della diocesi di Milano, nonché delegato arcivescovile per il processo diocesano di Carlo, sui luoghi della città che il ragazzo preferiva. Il mio elenco si è quindi allungato di parecchie tappe e non sono ancora riuscita a toccarle tutte. L’altroieri, però, ho pensato di raggiungere almeno quelle più vicine alla sua parrocchia.

Ho quindi imboccato via Lorenzo Mascheroni, proseguendo lungo via Fratelli Ruffini, per arrivare alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, retta dai Padri Domenicani. I marciapiedi costeggiavano altri palazzi d’epoca, i cui portoni aperti lasciavano intravvedere giardini e cortili.

Ho ripensato a quell’altro aspetto di Carlo che lasciava stupiti: salutava tutti i portinai delle vie adiacenti alla sua, con fare garbato. Un esempio anche di “buon vicinato”, quindi, per riprendere il primo Discorso alla Città di monsignor Mario Delpini come nostro arcivescovo.

 

Un manto sotto cui sostare

 


Da Santa Maria delle Grazie, invece, non mancavo da molto. Anche lì, la segnaletica per il distanziamento sociale limitava di molto gli spostamenti, compreso il passaggio nel negozietto dove molto spesso ho trovato libri interessanti sulla storia dell’Ordine Domenicano.
L'antica icona della Madonna, che col suo manto copre i fedeli che ricorrono a lei, non è al momento situata nella cappellina riservata alla preghiera più raccolta, ma è presso l’altare maggiore. Credo che sia stata posta lì per invitare anche i turisti più distratti a guardare a lei, l’unica donna nella vita di Carlo, che però trattava le compagne con la sua abituale gentilezza.

Mi sono fermata il tempo di recitare l’Angelus, dato che era mezzogiorno inoltrato, poi sono ripartita.


Un brevissimo passaggio

 

Per i primi mesi delle elementari, Carlo fu inserito nel Collegio San Carlo, in corso Magenta; fu poi trasferito al Tommaseo. Dato che ci sono passata davanti, ho pensato di considerarlo tra le tappe.

 

Un porticato per abbracciare (peccato che fosse chiuso)

 


Ultima tappa, almeno per il momento, la basilica di Sant’Ambrogio. Dato che mi sono mossa con molta calma, sono arrivata lì che l’atrio di Ansperto, davanti alla chiesa, era già stato chiuso.
Ogni volta che visito Sant’Ambrogio, mi si allarga il cuore al vedere quell’atrio. Ripenso agli incontri che ho avuto là e alle occasioni in cui la mia fede si è rafforzata, specie durante gli Esercizi Spirituali serali per i giovani della Zona pastorale I.

 

Temo di non riuscire a toccare tutte le tappe, anche perché in questi giorni vorrei cercare di non parlare solo di Carlo, anche per non annoiare i lettori. In compenso, delineo almeno le tappe degli altri due itinerari che avevo abbozzato.

 

Secondo itinerario

 

Chiesa del Sacro Cuore, viale Piave

 

Nella sua intervista al Corriere della Sera, la signora Antonia, madre di Carlo, riferisce di essere andata sulla tomba dell’allora Servo di Dio fra Cecilio Cortinovis quando Carlo si ammalò e fu chiaro che era prossimo alla morte.

Questo perché, come già raccontavo, lui visitava spesso quella chiesa e quel convento. Avrebbe anche voluto fare il volontario all’Opera San Francesco per i poveri, ma non aveva l’età minima prescritta.

 

Santa Maria degli Angeli e San Francesco, piazzale Velasquez

 

Una delle guide spirituali di Carlo era padre Giulio Savoldi, che viveva nel secondo degli attuali conventi cappuccini di Milano, morto quattro anni dopo di lui.

Peraltro, il suo legame con i Cappuccini non si è esaurito con la sua fine terrena: il Santuario della Spogliazione, infatti, è affidato a loro.

 

Arco della Pace

 

Carlo sapeva di poter trovare lì, come di fronte alla sua chiesa, molte persone senza fissa dimora. A loro, più di una volta, donò dei sacchi a pelo comprati coi propri risparmi.

 

Istituto Leone XIII

 

Carlo vi frequentò solo un anno completo, come allievo del liceo classico.

Rispetto alla testimonianza della preside delle medie, quelle dei padri Gesuiti che l’ebbero come allievo virano decisamente verso il positivo, anche se lasciano intravvedere che lui, in ogni caso, rimaneva se stesso, col suo ardore e l’entusiasmo per ideali alti come quelli che erano suggeriti nella Comunità di Vita Cristiana (CVX).

 

Terzo itinerario

 

San Simpliciano

 

Stando a quanto riferisce monsignor Apeciti nell’articolo succitato, passava anche per quella che era l’antica Basilica Virginum, una delle quattro volute da sant’Ambrogio medesimo.

 

Torre Branca

 

Anche questo edificio era uno dei suoi preferiti: gli permetteva di guardare la città dall’alto e di pensare a come dovesse essere più a misura d’uomo, sempre stando all’articolo di cui sopra.

 

Cappella della Compagnia di Maria Riparatrice, via Sant’Antonio

 

È aperta solo la domenica: la mattina come sede della parrocchia Sant’Ambrogio Vescovo della Chiesa Ortodossa Bulgara ;al pomeriggio, per le funzioni della Compagnia di Maria Riparatrice (finché Carlo era vivo, solo per questo uso), che prevedono la Messa e l’atto di consacrazione alla Madonna.

Gori si riferisce a queste celebrazioni, quando, a pagina 117 della prima biografia, racconta che Carlo compì molti atti di affidamento alla Madonna lì, come attestano le Medaglie Miracolose con nastri azzurri che conservava. In più, a ridosso di un Capodanno non altrimenti precisato, portò i suoi cuginetti romani in quella cappella.

A causa della chiusura, suggerirei di compiere la tappa nella chiesa di Sant’Antonio Abate, lì accanto.


Clinica De Marchi, via della Commenda


Dato che il pediatra di Carlo operava lì, quando si ammalò fu deciso di ricoverarlo preso quella struttura, da cui fu trasferito per cercare di salvarlo al San Gerardo di Monza.

 

Santa Maria della Scala in San Fedele

 

Sempre Gori nella prima biografia, a pagina 123, scrive che nel 1998, poco dopo la Prima Comunione, volle con insistenza che i suoi compissero l’atto di consacrazione della famiglia al Sacro Cuore: «In effetti, la consacrazione venne fatta pochi giorni dopo presso il Centro San Fedele di Milano davanti a un padre gesuita».

 

Duomo

 

Anche il suo passaggio per la nostra Cattedrale era citato nell’articolo del 23 febbraio, ma in effetti era praticamente impossibile che non ci fosse mai stato.

 

Concludendo

 

Forse ho esagerato nell’ambrosianizzare Carlo, che a ben vedere non è nato a Milano città e non ci è neppure morto (ma almeno Monza, dove terminò i suoi giorni, è nel territorio ambrosiano). Ripercorrere questo suo cammino, però, me l’ha fatto tornare vicino, come quando la sua fama di santità era appena agli inizi.

Mentre stilavo queste tappe, mi è però venuta un’idea. Dato che Carlo era molto amico anche dei senzatetto, perché non suggerire questo cammino ai Gatti Spiazzati, ossia i frequentatori del centro diurno La Piazzetta di Caritas Ambrosiana, che da anni accompagnano milanesi e non in posti inattesi della città? Quasi quasi ci provo…

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