Francesco, il Papa della mia maturità
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Chi è?
Jorge Mario Bergoglio è nato a Buenos Aires, in Argentina, il 17 dicembre 1936, primo dei cinque figli di Mario Bergoglio, contabile nelle ferrovie, e Regina Sivori, casalinga.
Il 21
settembre 1953 avvertì i primi segnali della vocazione al sacerdozio. Entrò quindi
nel Seminario diocesano di Villa Devoto nel 1957, l’11 marzo di due anni dopo
scelse la Compagnia di Gesù e venne ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969.
Dopo aver esercitato il ministero come confessore e direttore spirituale ed
aver approfondito i suoi studi, venne nominato da papa Giovanni Paolo II
Vescovo ausiliare di Buenos Aires e, successivamente all’ordinazione episcopale
(27 giugno 1992), Vicario generale e Arcivescovo coadiutore del cardinal
Antonio Quarracino. Alla morte di questi, gli è succeduto il 28 febbraio 1998.
Creato
Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001, ha partecipato al Conclave del
2005, da cui venne nominato Pontefice Benedetto XVI. In seguito al Conclave
convocato a causa della rinuncia al ministero petrino da parte di quest’ultimo,
il 13 marzo 2013 è stato eletto a sua volta Papa, assumendo, per la prima volta
nella storia della Chiesa, il nome di Francesco.
Tra i
documenti ufficiali del suo pontificato si contano 7 Esortazioni apostoliche,
39 Costituzioni apostoliche e molte Lettere apostoliche, perlopiù in forma di
Motu Proprio. Ha indetto l’Anno Santo straordinario della Misericordia (2015-2016)
e il Giubileo attualmente in corso.
Ha
canonizzato 942 Santi presi singolarmente (già con la prima canonizzazione, che
comprendeva gli 813 Martiri di Otranto, ha superato di colpo i predecessori),
facendo uso anche della canonizzazione equipollente e della dispensa sul
miracolo necessario.
È morto lunedì 21 aprile 2025, nel suo appartamento di Casa Santa Marta, nella Città del Vaticano. In base alle sue disposizioni testamentarie, riposerà nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, precisamente nella tomba preparata tra la Cappella Paolina e la Cappella Sforza.
Cosa c’entra con me?
Il post di oggi costituisce un ampliamento e un aggiornamento di quello che avevo scritto il 19 marzo 2014, a un anno esatto dalla celebrazione d’inizio pontificato. Avevo deciso di operare così per evitare sia di darmi a facili entusiasmi, sia di lasciarmi convincere da quelli che, come si dice, sono “più papisti del Papa”.
Dopo la rinuncia di papa Benedetto XVI e la sua partenza per il monastero Mater Ecclesiae, mi ero disposta ad attendere l’inizio del secondo Conclave della mia vita. Seguivo le trasmissioni di approfondimento giornalistico, anche se avevo finito col lasciarmi influenzare dalle chiacchiere dei giornalisti e di parecchia gente circa i papabili, in particolare quelli italiani.
Eppure,
mentre mi trovavo nel Duomo della mia città prima dell’ultimo appuntamento
della Via Crucis diocesana, a cui non prendeva parte il mio Arcivescovo in
quanto Cardinale elettore, avevo come una intima convinzione: il mondo non gira
attorno a noi italiani, e nemmeno la Chiesa. Pensavo che sarebbe stata
veramente una grossa sorpresa se fosse stato eletto un “non famoso” ricco di
tutte le virtù necessarie per guidare i cattolici.
L’indomani,
in attesa della fumata bianca serale, mi ero messa a sfogliare le pagine dei
miei diari spirituali risalenti al Conclave del 2005. Avevo quindi ripercorso
le attese, le invocazioni, le ipotesi sui papabili di allora.
Improvvisamente,
da uno dei televisori di casa mia ho sentito che era uscita la fatidica fumata
bianca. L’angoscia e le preghiere si alternavano, finché non avevo visto
affacciarsi il cardinal Tauran e l’avevo udito pronunciare, ancora una volta,
la più bella notizia dopo quella data dagli angeli nella notte di Betlemme. La
Chiesa aveva di nuovo un capo visibile: restava solo da sapere chi fosse.
Poco
dopo, ecco svelato il nome. Poche volte nella vita ho esultato come in quel
momento, anzi, sono letteralmente saltata sul divano! Immediatamente dopo
quella reazione, mi sono domandata: «E chi è questo? “Bergoglio”? Ma tra gli
italiani papabili non ho mai sentito questo cognome». A quel punto, non
m’importava più di nulla: né il nome Francesco, né il fatto che fosse uscito
senza abito corale, né che avesse una croce di metallo argentato. L’unica cosa
che contava era che avessimo di nuovo una guida, qualcuno a cui chiedere di
essere confermati nella fede giorno dopo giorno.
Poi è
uscito, col «Buonasera» che ha fatto esplodere piazza san Pietro e con quella «preghiera
di voi su di me» che, repentinamente, l’ha fatta ammutolire. Allora sì che mi
sono sorpresa, tanto da aver ripreso, appena possibile, proprio l’immagine del
nuovo Papa in preghiera sul mio profilo Facebook.
Le
novità esteriori, come dicevo, non avevano sconvolta più di tanto: a lasciarmi
interdetta erano, invece, quelle contenute nelle parole. Al sentirlo parlare di
periferie fin da subito, mi sentivo quasi giustificata: avevo da poco
traslocato (la notizia della rinuncia di papa Benedetto mi arrivò via telefono,
proprio mentre l’elettricista stava installando il mio nuovo lampadario)
e per giunta in un quartiere al confine sud di Milano.
Inoltre non comprendevo quella massiccia insistenza sull’uscire da sé stessi e soprattutto l’invito ai sacerdoti, nella prima omelia della Messa Crismale al Giovedì Santo, a prendere su di sé le pecore fino a rimanere impregnati del loro odore. Fino ad allora, credevo che un prete dovesse anzitutto profumare di buono, dell’incenso simbolo della preghiera per sé e per il popolo, senza ovviamente puzzare di sacrestia, intesa come ambiente chiuso dove conservare gelosamente qualcosa che – non va dimenticato – è stato ricevuto da altri (è questo che significa davvero “tradizione”).
A quel punto, non potevo far altro che pregare Dio di
far capire a me e ai sacerdoti che conoscevo come mediare tra quelle due
dimensioni, come immagino il Papa avesse imparato a fare nei suoi anni di
ministero. Dopotutto, l’incenso non serve anche a mascherare i cattivi odori?
Pochissimi
giorni dopo, eccomi in viaggio per Roma in occasione del pellegrinaggio diocesano di cui già raccontavo: avrebbe dovuto essere in ringraziamento per la
visita papale del 25 marzo precedente, ma si era caricato di altri significati.
Nel seguire in televisione altre Udienze generali, vedevo che papa Francesco mostrava davvero di gradire l’entusiasmo dei gruppi, specie giovanili, e apprezzavo come s’impegnasse a far capire loro che il vero chiasso non va fatto per lui, a volte reso come un supereroe o un personaggino puccioso per bambini. Il rumore che deve sconvolgere il mondo andava fatto per il Signore, trovando, per portarlo agli altri, modi nuovi o ridando il cuore ad altri apparentemente antichi.
Negli
anni seguenti ho dato seguito all’impegno che avevo preso dopo la rinuncia di
papa Benedetto XVI e che avevo rinnovato dopo il 13 marzo 2013: avrei meditato
gli insegnamenti, letto i documenti ufficiali, ma soprattutto avrei pregato per
lui.
Riconosco
di non aver letto nessun documento da cima a fondo, ma ho comunque tratto
indicazioni per il mio cammino, che ho sintetizzato nel post che ho pubblicato
nel 2013, a dieci anni dall’inizio del ministero petrino. Nel 2016 ho immaginato d’intervistarlo in occasione del
suo ottantesimo compleanno, poi ho ricavato dalla Gaudete et exsultate alcune litanie che spero siano servite a qualcuno, mentre in occasione dell’uscita di C’est
la confiance ho evidenziato i legami tra santa Teresa di Gesù Bambino e
altri candidati agli altari.
Mi sono
poi impegnata ancora di più in occasione del Giubileo della Misericordia,
accettando la sfida che aveva lanciato ai giovani, ossia praticare un’opera di
misericordia al mese. Avevo provato a documentare quell’impegno nella
#MercyChallenge,
che però è durata pochissimo, finché un lettore mi ha rimproverata di
sbandierare gesti di carità che dovevano, per loro natura, rimanere segreti.
Di
altre sfide sono diventata più consapevole quando ho accettato di coinvolgermi nella Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ovvero l’Apostolato della Preghiera.
Ho capito perché lui avesse deciso di avviare la ricreazione di
quest’organismo, tanto da farlo diventare un’Opera Pontificia, soprattutto
quando ho seguito Il Cammino del Cuore, percorso formativo ormai indicato a tutti
quelli che abbracciano quella via spirituale.
Oltre a
questo, provavo non poco fastidio per la contrapposizione tra lui e i
predecessori più o meno immediati, quella che a certi aveva fatto gridare il
proprio disappunto per “questo” Papa, come tenevano a rimarcare.
Sono ancora
piuttosto giovane e continuo ad avere poca esperienza rispetto a giornalisti
più avanti di me, ma penso di aver capito una cosa: quella di vescovo di Roma e
servo dei servi di Dio è una carica, una responsabilità anzitutto. A rivestirla
sono pur sempre degli uomini, dei credenti, con i loro caratteri ed esperienze,
diversi per epoca e provenienza. In papa Francesco vedevo un uomo capace di
slanci calorosi, ma anche di tornare serio nei momenti necessari, anzi, nel più
importante di tutti (bastava osservare l’espressione che aveva quando celebrava la
Messa).
Un
altro presunto contrasto mi addolora ancora tantissimo: quello tra lui e gli arcivescovi
di Milano durante il suo pontificato. In nome di questo, nel 2016,
approfittando del fatto che un mio amico avrebbe partecipato all’annuale
pellegrinaggio dei diaconi transeunti, gli ho consegnato una lettera-matrioska.
In essa
avevo tre richieste: la prima, che annunciasse presto la nuova data della
visita apostolica alla nostra diocesi, così da far capire che voleva bene a noi
e al nostro vescovo. La seconda, che mi aiutasse a capire se, scrivendo dei
Santi e dei Testimoni, io contribuissi a lasciare la mia impronta, come aveva
indicato ai giovani presenti (me compresa) alla GMG di Cracovia. Infine, gli chiedevo
d’interessarsi ad Alessandro Galimberti, il seminarista della mia diocesi a cui devo
veramente tanto; alla lettera accludevo il mio biglietto da visita, comprensivo
di numero telefonico, sperando quindi in una delle sue ormai famose telefonate.
La
risposta ci fu, ma non come speravo: proveniva dalla Segreteria di Stato e non
faceva riferimento preciso alla mia lettera, men che meno ad Alessandro. Ho
però colto l’invito, seppur vago, a fidarmi della Provvidenza.
Quanto
all’attuale arcivescovo, in questi giorni ha rimarcato che a noi ambrosiani e a
lui personalmente voleva bene, rallegrandosi quando sapeva che qualcuno veniva
dal nostro popoloso territorio, che aveva a sua volta visitato nel 2017 (qui il
mio racconto).
Anche in questi giorni non sono mancate voci che li hanno contrapposti,
dimenticando invece le profonde affinità che quasi nessuno ha fatto notare: su
tutte, la lotta al chiacchiericcio che distrugge la Chiesa, invece di
edificarla.
Di
certo, con le sue scelte mai compiute per inerzia, papa Francesco ha
contribuito a ricordarci (non solo a noi, ma a tutte le diocesi italiane) quanto
avevo intuito poco prima che venisse eletto. Già nella sua visita sopra citata
aveva ribadito che siamo parte del popolo di Dio, che supera ogni confine
geografico e amministrativo-ecclesiale.
Parallelamente al magistero ufficiale, notavo che si moltiplicavano citazioni inesatte, per non dire fasulle, di cui non riuscivo a spiegarmi la ragione. Gran parte della mia rubrica Bufale di Chiesa ospita infatti post riguardanti testi attribuiti a suoi interventi: quello sul perdono in famiglia (a oggi il più visitato della storia del blog), quello in cui un testo di una ragazza di Anacapri, creato durante la pandemia, gli veniva erroneamente attribuito, quello sugli atti di carità da sostituire al digiuno in Quaresima, quello sulla “dogana pastorale” e i “santi coi jeans” (testo vero solo in parte).
Ho voluto ospitare qui anche lo sbufalamento dell’ultimo testo pseudo-bergogliano,
quello circolato nei giorni dell’ultima degenza al Gemelli. Ancora prima, l’ho proposto ad
Avvenire e l’ho visto pubblicato sul sito; a quanto pare, ha avuto un
buon successo.
Quando
ho saputo che il Gruppo Shekinah, di cui faccio parte, era il coro del Nord
Italia selezionato per salire sul palco del Circo Massimo, insieme ad altre due
formazioni del Centro e del Sud, per la veglia di preghiera dell’incontro dei
giovani italiani dell’agosto 2018, ho avuto quasi un mancamento: mi appariva
una responsabilità troppo grande, ma sapere di condividerla con gli altri
coristi mi ha subito risollevata.
Come
raccontavo a caldo dopo quell’esperienza, avevo attuato una tattica: mi
sarei posizionata al centro del coro, così da avere più possibilità di
avvicinare il Papa, dato che ci era stato vietato di stringergli la mano e di parlargli. Non è servito a nulla: sono inciampata in un cavo e, nonostante le
mie grida di aiuto, chi era accanto a me non mi ha liberata da quell’impiccio.
Solo molti anni dopo ho scoperto che nella foto di gruppo si vede comunque la
mia faccia…
Per
questo, quando ho partecipato al convegno La santità oggi nel 2022,
sentivo di non dover sprecare quell’occasione e, compatibilmente con le regole
del protocollo, di restare davanti al Papa il tempo di quattro o cinque scatti,
ovviamente dopo avergli stretto la mano. Di foto, ora, ne ho solo una, ma conto
di recuperare quella dello scorso anno, con quella benedizione causata, forse,
dalle lacrime con cui imploravo che venisse colto il mio desiderio di servire
la Chiesa raccontando i Santi.
Ho ricevuto la notizia della sua morte mentre mi preparavo alla Messa del Lunedì dell’Angelo. Il sacerdote che doveva celebrare ha raggiunto me e gli altri del coro, poi ha commentato che non sapeva quale Messa seguire. Io credevo che si riferisse all’alternativa tra quella “per i battezzati” e quella del giorno, ma poco dopo ho sentito che era indeciso tra una celebrazione di suffragio o quella dell’Ottava di Pasqua.
Chi era
accanto a me ha creduto che fossi sconvolta per la notizia in sé, quando in
realtà ero abbastanza preparata: anzi, mi ero fatta influenzare da quanti avevano
dato papa Francesco per moribondo non appena ha ripreso a farsi vedere in
pubblico. Persino l’uscita a Santa Maria Maggiore mi era parsa come una
raccomandazione alla Madonna per il proprio ultimo viaggio, esattamente come
faceva prima dei viaggi apostolici. Mi preoccupava, invece, il fatto che la
presentazione di Nuovi Martiri, che avrei dovuto moderare martedì 29,
rischiava di essere cancellata, come di fatto è stato deciso il giorno
seguente.
Una mia
compagna, vedendo che faticavo a calmarmi, mi ha ricordato un brano del musical
Forza venite gente su san Francesco d’Assisi (come raccontavo nel mio
post su di lui, da ragazza ho interpretato sua madre e altri piccoli ruoli in una produzione
amatoriale, che riprendeva quelle stesse canzoni ma con un altro testo recitato
a fare da cornice), E piansero i lupi nel bosco: accompagna il cordoglio
per la morte del Poverello, ma inizia con «Frate Francesco è vivo tra noi». Per
consolarmi, la corista l’ha cambiata in «Papa Francesco è vivo tra noi».
Nei
giorni seguenti sono stata combattutissima se partire ugualmente o meno. Alla
fine ho raggiunto un compromesso: tornerò a Milano prima del previsto, così da
riprendere i miei impegni appena possibile. Sicuramente cercherò di fermarmi
sulla tomba di papa Francesco, tanto più che il mio alloggio è a due passi da
Santa Maria Maggiore.
Il suo Vangelo
Per me, insomma, papa Francesco ha rappresentato un’altra possibilità per affezionarmi alla Roccia, qualsiasi nome essa avesse, su cui posa la Chiesa. Nei suoi dodici anni di pontificato ha pronunciato una serie di affermazioni a volte paradossali, a volte intense, altre ancora ironiche e brucianti al tempo stesso. Gran parte di esse sembra però entrata nel cosiddetto “ecclesialese”, ma ora sta a noi riempirle di significato rinnovato.
Nel
post già citato menzionavo quali espressioni bergogliane terrò sempre con me,
ma questa volta devo sceglierne un’altra. Riprendendo il sussidio del Rosario
realizzato dall’Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale
Italiana, ho riletto con attenzione le meditazioni, trovandone una che fa
proprio al caso mio, soprattutto in questa giornata in cui si sono celebrate le
esequie. Precisamente, è tratta dall’omelia nella Veglia di Pasqua del 2022, il
16 aprile:
Grazie alla Pasqua di
Gesù possiamo fare il salto dal nulla alla vita, «e la morte non potrà ormai
più defraudarci della nostra esistenza» (K. Rahner, Cosa significa la Pasqua,
Brescia 2021, 28): essa è stata tutta e per sempre abbracciata dall’amore
sconfinato di Dio. È vero, può intimorirci e paralizzarci. Ma il Signore è
risorto! Alziamo lo sguardo, togliamo il velo dell’amarezza e della tristezza
dai nostri occhi, apriamoci alla speranza di Dio!
Che questo
incoraggiamento serva ancora di più ora, mentre la Chiesa aspetta il nuovo
Successore di Pietro.
Per saperne di più
Evangelii
gaudium, edizione a piacere
L’Esortazione
apostolica più volte dichiarata come base e programma dell’intero pontificato.
Papa
Francesco. Il papa si racconta - Conversazione con Francesca Ambrogetti e
Sergio Rubin, Salani 2014, pp. 192, € 6,90.
Il
primissimo libro-intervista tradotto in italiano.
Luigi Accattoli e Ciro Fusco, C’era un vecchio gesuita “furbaccione” – 100
+ 10 parabole di papa Francesco, Paoline Editoriale Libri 2019, pp. 208,
€ 14,00.
Racconti
e fatti evangelici tratti da discorsi, interviste e omelie.
Papa
Francesco, L’amore di Dio è per tutti – La passione per l’evangelizzazione,
San Paolo 2024, pp. 224, € 18,00.
Dieci
anni dopo Evangelii gaudium, il Papa tornava sul tema con un ciclo di
catechesi del mercoledì in cui presentava anche figure di Santi e candidati
agli altari noti per il loro zelo evangelizzatore (effettivamente sono state le
udienze che ho apprezzato e seguito di più).
Francesco
(a cura di Carlo Musso), Spera – L’autobiografia, Mondadori 2025, pp.
400, € 22,00.
L’autobiografia
completa, uscita poco prima dell’ultimo ricovero al Gemelli.
Su Internet
Sezione a lui dedicata del sito della Santa Sede
Sul sito del Dicastero delle Cause dei Santi sono elencati i Santi, i Beati e i Venerabili del suo pontificato.
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